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{{Cit2|Panč­ev è proprio inutile|[[La Gazzetta dello Sport|La Gazzetta]], cinque minuti dopo il suo esordio in maglia nerazzurra.}}
{{Cit2|Panč­ev è proprio inutile|[[La Gazzetta dello Sport|La Gazzetta]], cinque minuti dopo il suo esordio in maglia nerazzurra.}}


'''Darko Panč­ev''' è la dimostrazione vivente<ref>Per quanto le prestazioni in campo possano far pensare al contrario.</ref> che alla dirigenza dell'Inter non serviva [[Massimo Moratti]] per riempirsi di bidoni, ci pensava già da sé molto tempo prima che la società fosse acquistata dal ricco magnate del petrolio.
'''Darko Panč­ev''' è la dimostrazione vivente<ref>Per quanto le prestazioni in campo possano far pensare al contrario.</ref> che alla dirigenza dell'Inter non serviva [[Massimo Moratti]] per riempirsi di bidoni: ci riusciva benissimo anche prima di lui.


== Carriera ==
== Carriera ==
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I risultati non si fecero attendere: riuscì a centrare la porta col suo primo tiro. Era quella del bagno degli uomini del settore ospiti dello stadio. Il pubblico, però, non gradì il gesto balistico e fu ricoperto di fischi a [[San Siro]]. E considerando che l'Inter giocava in trasferta e non era il derby, questo dovrebbe dare misura del suo enorme talento. Le sue prestazioni crebbero, tanto che era diventato capace di mancare la porta da qualunque posizione e in qualunque modo, con i più spettacolari ed inutili gesti tecnici che la [[Serie A]] avesse visto dai tempi di [[Perdomo]], cioè appena due anni prima.<br />
I risultati non si fecero attendere: riuscì a centrare la porta col suo primo tiro. Era quella del bagno degli uomini del settore ospiti dello stadio. Il pubblico, però, non gradì il gesto balistico e fu ricoperto di fischi a [[San Siro]]. E considerando che l'Inter giocava in trasferta e non era il derby, questo dovrebbe dare misura del suo enorme talento. Le sue prestazioni crebbero, tanto che era diventato capace di mancare la porta da qualunque posizione e in qualunque modo, con i più spettacolari ed inutili gesti tecnici che la [[Serie A]] avesse visto dai tempi di [[Perdomo]], cioè appena due anni prima.<br />
E quindi i nerazzurri furono costretti a cederlo, loro malgrado, in prestito al primo club tedesco dell'elenco, che purtroppo era il [[Bayer Leverkusen]]. Così lo scaricarono al Lipsia. Lì fu amato talmente tanto che i tedeschi non aspettarono fino a fine stagione pur di rimandarlo a [[Milano]].<br />
E quindi i nerazzurri furono costretti a cederlo, loro malgrado, in prestito al primo club tedesco dell'elenco, che purtroppo era il [[Bayer Leverkusen]]. Così lo scaricarono al Lipsia. Lì fu amato talmente tanto che i tedeschi non aspettarono fino a fine stagione pur di rimandarlo a [[Milano]].<br />
Ma l'Inter stava per cambiare proprietà, e Panč­ev non rientrava nei parametri di Moratti, che preferì rimpiazzarlo con un attaccante di maggior talento e classe: [[Dennis Bergkamp]]<ref>Che però a differenza del predecessore una volta accortosi di dov'era finito passò tutto l'anno seguente a calciare [[calcio di punizione|punizioni]] dal limite in fallo laterale per poi farsi cedere all'[[Arsenal]] e segnare valanghe di gol a [[Highbury]].</ref>. Per questo il macedone andò in cerca di fortuna e trovò, infatti, il [[Fortuna Dusseldorf]], per poi concludere la sua strepitosa carriera a [[Sion]], tra canti di lode e stufato di agnello.<br />
Ma l'Inter stava per cambiare proprietà, e Panč­ev non rientrava nei piani tecnici della società, che preferì rimpiazzarlo con [[Dennis Bergkamp]], attaccante [[Olanda|olandese]] che nel corso della sua carriera si dimostrerà di ben altra classe rispetto al macedone, tranne nella stagione in nerazzurro dove si salvò per il rotto della [[cuffia]] e trascorse gran parte dell'anno a calciare [[calcio di punizione|punizioni]] dal limite in fallo laterale. Per questo il macedone andò in cerca di fortuna e trovò, infatti, il [[Fortuna Dusseldorf]], per poi concludere la sua strepitosa carriera a [[Sion]], tra canti di lode e stufato di agnello.<br />
Della sua esperienza all'Inter dirà:
Della sua esperienza all'Inter dirà:
{{quote|Ma come cazzo ho fatto a finire lì? Voglio dire: mi cercava mezza Europa e all'altra mezza gli rodeva il culo perché non aveva abbastanza soldi per comprarmi, mi hanno detto che andavo a Milano, potevano dirmi che era la squadra sbagliata!|Darko Panč­ev nella prossima reincarnazione starà più attento.}}
{{quote|Ma come cazzo ho fatto a finire lì? Voglio dire: mi cercava mezza Europa e all'altra mezza gli rodeva il culo perché non aveva abbastanza soldi per comprarmi, mi hanno detto che andavo a Milano, potevano dirmi che era la squadra sbagliata!|Darko Panč­ev nella prossima reincarnazione starà più attento.}}

Versione delle 20:39, 21 ago 2014

Walter Fontana

« È un calcio mélato! »
(Walter Fontana riconosce l'importante ruolo dell'attrice milanese nel calcio internazionale.)
« E la lira s'impenna! »
(Walter Fontana spiega la recente crisi economica.)
« Nel mondo ci sono milioni di videocamere, ma ancora più numerosi sono gli stronzi che le manovrano. »
(Walter Fontana su tv verità.)
« Il programma che sta al giornalismo come l'alluce valgo sta all'alluce. »
(Walter Fontana su Quinta Colonna.)
« Benché abbia scoperto che esistere nuoce alla mia immagine »
(Walter Fontana si confessa su Chi)

.


Walter Fontana (Sala doppiaggio Merak Film 1957) è una famosa voce di Mai dire Gol. E nient'altro, in quanto non esiste come corpo fisico. Tanto quanto la Gialappa's Band.

Biografia

Walter Fontana nasce da un'involontario spasmo muscolo-gastro-polmonare di Carlo Romano mentre prestava la sua voce a Jerry Lewis. Era un momento critico in cui serviva una tonalità molto alta: lo sforzo fece fuoriuscire un acuto dalla gola dell'attore romano. La voce però non si esaurì e cominciò invece a riempire l'aria[1] densa e pregna ed iniziò a prendere vita, emettendo dapprima suoni, poi vocalizzi, infine elaborando concetti complessi. Improvvisò inoltre una serie di dissacranti prese in giro verso tutto lo studio; da questo episodio si poté saggiare il suo talento comico ed intuire il destino che gli profilava: posto fisso come dipendente pubblico.

Sepp mon amour

Alla vigilia dei Mondiali 1998 il mondo intero si è reso conto che la Fifa non solo esisteva davvero, ma aveva anche un presidente. Anche se stava meglio senza.
Fontana se ne accorse meglio di chiunque altro ed utilizzò le sue schede per illustrare al pubblico le grandi manovre operate dal brillante presidente Blatter, come l'introduzione del Golden Gol e del ballottaggio in caso di pareggio dopo 120', del doppio arbitro in campo, l'obbligo per tutte le nazionali di imparare a memoria l'inno composto da Ricky Martin ed usarlo in sostituzione del proprio inno nazionale e la sostituzione dei tacchetti di ferro con quelli di porcellana perché si abbinavano meglio ai manti erbosi francesi. Questo almeno secondo quanto riportavano le fonti citate da Fontana, tra cui segnaliamo beppegrillo.it. Condusse le inchieste in maniera assolutamente imparziale, anzi si fece consigliare da Emilio Fede per essere più sicuro. Portiamo come esempio alcune frasi che testimoniano la sua neutralità:

« Un altro pallino di Blatter è il suo cervello, incastrato all'interno del cranio. »

L'inganno del Dottor Frattale

Per smentire le voci sulla sua presunta mancanza di un corpo fisico un giorno si presentò davanti alle telecamere con un nuovo personaggio: uno stronzo dalla lingua di velluto (altrimenti noto come responsabile delle risorse umane), che spiegava a luminosi dirigenti dallo stipendio di giada come crocifiggere in sala mensa i propri subalterni seguendo la filosofia zen, il feng shui e tutte quelle vaccate new age che andavano tanto di moda fino al 2005; a ciò si aggiungano alcuni impercettibili manifestazioni psicotiche riguardo una Volvo i e suoi accessori, mutui a tasso variabile e altre disgrazie varie che da sempre funestano la classe media: era il 12 maggio 1998 (me lo ricordo bene fu l'ultima volta che Maurizio Gasparri disse una cosa intelligente) quando nacque il dottor Frattale.
Ma la gente era scettica e volle toccare con mano, ma fu qui che si scoprì che Walter Fontana aveva utilizzato dei fondi neri di Fininvest (cosa di cui qualche malpensante magistrato comunista avrebbe poi incolpato gli innocenti Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri) per farsi costruire da ingegneri compiacenti al CERN di Ginevra un involucro robotico in cui far risiedere la propria entità vocale; ovviamente per completare le varie operazioni si avvalse di alcuni prestacorpo, essendo lui sprovvisto di arti per portare le valigette.
Scoppiò lo scandalo e per questo gli fu proibito di ricomparire in video, motivo per cui non esistono altri personaggi fisici da lui interpretati, ma solo voci di sottofondo.

  1. ^ assieme agli odori e sapori della pajata che aveva mangiato a pranzo

Burlesque

Il Burlesque è quell'arte[citazione necessaria] che ha convinto tutte le donne più brutte del mondo di essere delle vagine di dimensioni stratosferiche capaci di sedurre anche il titanio.

Burnout 3: Takedown

« Ieri sera ho bevuto qualche Singapore Sling di troppo... »
(Dj Stryker informa sulla situazione del traffico nel sud-est asiatico)
« Prendi questo Atomika! »
(Dj Stryker con il/la suo/a amante segreto/a[1])
« Sapete cosa ci vorrebbe qui a... OH CAZZO! »
(Dj Stryker prima di essere colpito dalla portiera vagante che ha posto fine alla sua carriera)

Burnout 3: Takedown è il terzo capitolo della serie ideata da Criterion Games che ha insegnato ai videogiocatori di tutto il mondo come "pimpare" le proprie auto sui guardrails.
In questo episodio è stata aggiunta una nuova manovra, il Takedown per far cessare le bestemmie e permettere al giocatore di sfogare i propri istinti omicidi.

  1. ^ Questa ambiguità è dovuta alla differenza di sesso di Atomika tra la versione in inglese e quella in italiano.


Richard Hammond

« Yeah. »
(Richard Hammond ammette di aver guidato una Smart.)
« L'auto più bella di tutti i tempi. »
(Hammond su qualunque serie di Porsche 911.[1])
« È come fare fuoristrada con un palazzo! »
(Hammond quella volta che uscì di strada con una Fiat Multipla.)
« Hammond io ti ammazzo! »
(Jeremy Clarkson dopo aver scoperto la passione di Hammond per la Nascar.)

Richard Hammond, detto anche Hamster, ovvero criceto, per le dimensioni, l'attitudine alla corsa e la folta peluria invernale, è un famoso nano, nonché conduttore radiofonico, esperto di motori e conduttore televisivo con la passione per la terapia intensiva. Ma soprattutto nano.

Biografia

Richard Hammond nasce a Soulihull il 19 dicembre 1969, dopo due settimane di gravidanza. Ancora oggi detiene il record della gravidanza umana più controversa di tutto il Regno Unito per la durata incredibilmente lunga del parto, che durò 7 mesi 15 giorni 2 minuti e 27 secondi netti, secondo il timekeeping ufficiale. Il nascituro non voleva uscire in alcun modo dall'utero, poiché temeva le avversità della vita, come incidenti d'auto, uomini alti e stronzi o uomini di mezz'età con noiosi e con pessimo gusto nel vestire. I medici avviarono le trattative e lo convinsero, mentendo, della bellezza del mondo. La prima cosa che vide al mondo fu una Porsche 911 che subito riconobbe come madre, motivo per cui è ancora così legato a questo modello di auto, anche perché la 911 è sempre la 911. Perché non cambia mai nonostante gli anni, le serie e miliardi spesi in progettazione. Ma andiamo avanti.

  1. ^ Sì, anche il Maggiolino.

Rivalità calcistica Italia-Germania

Un intellettuale romano riassume la storica rivalità tra Italia e Germania.
(Italiano dal 2006 in poi su Italia-Germania.)
« Prima o poi... »
(Tedesco che autoalimenta false speranze.)
« Ci vendicheremo del 2006! »
(Stampa tedesca che alimenta false speranze, prima della semifinale di Euro 2012.)
« È dal 1945 che non vedevo la Germania trionfare sull'Italia! »
(Nando Martellini commenta l'amichevole dell'8 ottobre 1977, ricordando la Confederations Cup del 1945.)

Si definisce rivalità calcistica Italia-Germania l'unica rivalsa a livello internazionale che l'Italia sia mai riuscita a prendersi nei confronti dell'austerity imposta dai tedeschi.

Ragione sociale

Non pensiamo solo al calcio.

Siccome agli italiani il calcio interessa più della politica europea, ogni vittoria sulla Germania equivale al completo riscatto italiano sul piano socio-politico-economico in campo internazionale, nonostante l'Italia rischi più e più volte il default, lo spread raggunga le sei cifre e la Germania rimanga inavvicinabile in tutti i ranking possibili (Standard & Poor's, ranking UEFA, ranking FIFA, classifica sulla durata media dei rapporti sessuali...); nulla può toglierci la soddisfazione di dire ai tedeschi

« Suca »

neanche una resurrezione improvvisa di Hitler deciso a scagliare la sua arma più potente contro l'Italia.

La legge dei grandi numeri

Litografia allegorica di inizio XXI secolo.

Secondo questa legge è inevitabile che prima o poi la Germania trionfi sull'Italia. Non è possibile che ogni confronto tra Azzurri e Die Mannschaft si traduca sempre in una sconfitta per l'undici teutonico.
Se le leggi matematiche funzionassero regolarmente, però, una volta applicate nella vita vera non avreste speso 1200 euro al videopoker e un giorno vi farete una gnocca da paura invece di ricevere un mojito in faccia ogni volta che ci provate con una. Ma sappiamo bene che teoria e pratica viaggiano su due piani diversi, che raramente si incontrano: per questo motivo le uniche volte che i crucchi hanno vinto è stato durante le amichevoli.
E l'ultima vittoria risale al 1995, quando Jürgen Klinsmann giocava nell'Inter e riceveva gli elogi della stampa tedesca, al posto degli insulti tributatigli nel 2006, a causa del piccolo incidente capitato a Dortmund in semifinale.

I confronti storici

La rivalità affonda le sue radici negli anni '20, quando i giocatori erano in bianco e nero e il calcio internazionale somigliava al torneo parrocchiale di Pozzolo Formigaro.[1]
Il primo confronto in una competizione ufficiale si ha solo nel 1962, nei gironi del mondiale del Cile, durante una partita in cui a vincere fu la nazionale della Noia, mentre le due squadre evitarono la porta avversaria come la peste nera, preferendo concludere sullo 0-0.[2]

Messico '70

   La stessa cosa ma di più: Partita del secolo.
Fu una partita talmente spettacolare come il Messico non ne vedrà mai più.

Fu nel 1970 che la rivalità assunse le note di folklore e di riscatto sociale che riveste tutt'oggi.
L'Italia proveniva da una serie di critiche fatte dalla stampa nazionale che giocava allo sport preferito dagli italiani: la polemica.
Siccome da quell'anno venivano addirittura concesse ben due sostituzioni, l'allora CT, Ferruccio Valcareggi, decise che Rivera doveva occupare un posto d'onore in formazione: quello accanto a lui in panchina.[3]

L'Italia come sempre passò un girone ostico solo per un quarto e arrivò ai quarti contro i padroni di casa, reduci dalla recente rivoluzione guidata da Pancho Villa[4] e quindi non ancora pronti ad affrontare una competizione di quel livello; quindi in semifinale incontrò la Germania, reduce da un girone ancor più osceno e da un quarto contro i campioni in carica, che ottennero il titolo in quanto inventori del calcio. I tedeschi si avvalsero della maledizione di Montezuma per vincere e passare il turno.
La sfida si preannunciava tesissima, anche perché nell'intervallo si sarebbe tenuta un'appassionante gara di baffi, con le Aquile capitanate da un anziano giocatore di Monaco e da un oriundo di origini argentine e gli Azzurri capitanati da Mazzola e Poletti.

"Baffo" Mazzola traeva in inganno i tedeschi spacciandosi per uno di loro.

La partita inizia con un'Italia frizzante, a causa delle abbondanti libagioni di chinotto con cui affrontava la canicola messicana. Dopo 8' Mazzola, grazie al suo passato da esattore delle tasse, si fa consegnare la palla da una terrorizzata difesa tedesca, la passa a Boninsegna che infila la palla in rete e festeggia con un fosbury. Ed è 1-0

E dopo 82' minuti di quasi gol, in pieno recupero la Germania recupera palla con Grabowski, che, tentando di spazzare, sforna invece un cross degno di Garrincha: il milanista Karl-Heinz Schnellinger prova ad alleggerire verso il futuro compagno di squadra, il portiere Albertosi, ma con un po' troppa forza. 1-1 e a settembre sarebbero stati cazzi suoi.

Si va così ai supplementari. Al 5', nel caos generale delle prime avvisaglie del terremoto dell'Irpinia, Gerd Müller si avventa rapace sulla palla e convince il pallone ad entrare in porta, nonostante la sua ritrosia: 2-1. Albertosi tira giù tre madonne e due cherubini.

Passano 4' e i tedeschi vogliono dimostrare di non essere da meno in difesa, così una punizione non respinta viene raccolta da Burgnich che, convinto di essere come al solito nella sua area di rigore, nel tentativo di spazzare via insacca il 2-2.

La cena che venne servita alle formazioni a fine partita.

E, puntuale come un orologio messicano, dopo altri 4' arriva un altro gol, quello del 3-2: Rombo di tuono non smentisce il suo nome e fa partire un tiro più veloce della luce, il cui suono viene sentito solo dopo ulteriori 4' dal portiere crucco.

Al 110' la Germania segna il 3-3: sugli sviluppi di un calcio d'angolo Rivera s'illude di essere un difensore, dimenticandosi di illudere perlomeno i tedeschi. Il colpo di testa di Seeler, che anche il più pirla dei difensori avrebbe stoppato trafigge il milanista, che in un impeto erotomane si struscia sul palo, il quale viene sradicato da Albertosi e infranto in testa a Rivera; nel farlo il portiere azzurro tira giù anche la Trinità, proprio addosso a Rivera.
In seguito a questi traumi Rivera diviene un uomo nuovo e riesce ad inciampare fortuitamente su un invitante cross di Bonisegna, che prima di passare la palla era partito di corsa dal Costa Rica: e fu il 4-3 finale. Dopo questa partita l'Italia perderà gli arti inferiori e consegnerà l'ultima coppa Rimet al Brasile.[5]

Una serie di insipide amichevoli ed un ennesimo noiosissimo pareggio al Mondiale del '78 fecero da preludio al successivo capitolo di questa sfida.

Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!

L'Italia era reduce da un mondiale che non si può spiegare come. Uscita grazie ad una ragguardevole dose di natiche dalla prima fase a gironi, nella seconda fase venne inserita in un girone a tre assieme Brasile ed Argentina. Approfittando dell'atavica rivalità tra le compagini sudamericane l'Italia riuscì a cogliere in fallo le entrambe le difese avversarie e anche a vendergli una multiproprietà nel Gennargentu.
Arrivata in semifinale trovò la Polonia, in cerca di vendetta dopo l'Europeo perso a Varsavia nel 1939. Paolo Rossi però aveva bisogno di farsi notare da France Football e inavvertitamente eliminò i polacchi.

Si arrivò così alla finale dell'11 luglio contro la Germania. All'aeroporto di Madrid arrivarono il presidente della Germania Ovest Karl Carstens e il presidente della Repubblica Sandro Pertini, che mostrava già gli evidenti sintomi dell'arteriosclerosi.

Ad arbitrare la finale sarebbe stato il brasiliano Arnaldo Coelho, detto Scaramacai per l'effervescenza nel dirigere. A commentare invece c'era Nando Martellini, già infoiato dopo i match con Argentina e Brasile, ed eccitato dai gol di Rossi alla Polonia.

Al 24' accade il primo fatto: Alessandro Altobelli fa partire un traversone diretto in area dove Bruno Conti e Hans-Peter Briegel si stavano scambiando teneri calci volanti. Coelho scatta e sale fino al terzo anello del Bernabeu da cui indica il dischetto. A battere è Cabrini, che invece di mirare alla porta mira ad un fotografo reo di non aver reso bene il suo profilo durante la semifinale. Nando Martellini commenta pacato:

« È fuori! Fuori! Fuoooori! Mannaggia la pupazza! E io che avevo puntato tutto lo stipendio nel gol su rigore! »

Nel frattempo Pertini scambia alcune impressioni col barista che gli aveva appena portato lo spritz.
Dopo un resto di primo tempo fatto di nulla cosmico condito da noia mortale, si va a riposo sullo 0-0.

Nella ripresa l'arbitro ha deciso che la stampa dovrà parlare solo di lui a fine partita. Dopo un'accenno di rissa tra Conti e Stielike l'arbitro si frappone tra loro con sguardo torvo e sussurra ad entrambi:

« Abbassa lo sguardo o son cazzotti! »


Al 56' c'è un fallo su Gabriele Oriali che stava bene anche senza questo intervento. Siccome noi italiani siamo dei sorci bastardi, Tardelli ne approfitta per battere subito la punizione: la palla arriva a Claudio Gentile che crossa in area. La palla arriva a Ciccio Graziani che prova a prenderla di tacco, ma si ricorda di essere Ciccio Graziani e per questo non può fare gol con l'Italia; dal nulla sbuca Rossi che infila di testa il gol dell'1-0. Martellini commenta così:

« Gol! Ha segnato Rossi! Rossi! Ro... »

seguono scongiuri partenopei e inviti alle sorelle dei calciatori germanici, in ordine per numero di maglia. Intanto Pertini stringe la mano a Re Juan Carlos, scambiandolo per il suo segretario personale e raccontandogli della dura staffetta partigiana nell'inverno del '43.

Al 69' su un'innocua perdita di possesso dei tedeschi parte il contropiede dell'Italia che si porta fino all'area avversaria. Dopo aver scatenato un attacco terminale di sbadigli alla difesa della Germania il pallone viene scodellato a Tardelli fuori area, mentre un difensore tedesco si ricorda il suo ruolo, ma troppo tardi: la palla entra in rete e.d è 2-0. Tardelli lancia un urlo inumano che è stato sentito distintamente fino ad Agrigento e il nostro affezionato sottolinea tutto così:

« Goool! Gol! Tardelli! Raddoppio! Tardelli! Uno splendido gol di Tardelli! Esultiamo con Pertini! Tuffiamoci anche noi nell'oceano della demenza senile assieme al nostro presidente! »


All'80', dopo l'ennesima melina italiana,[6] parte un'altro contropiede: l'Italia in superiorità numerica ha spazio; il solito Conti pesca in area Altobelli che, solo davanti al portiere, ci pensa un po' prima di tirare. Dopo una lunga meditazione in cui ha scoperto il senso dell'esistenza si decide a tirare giusto un attimo prima di far nascere il più naturale istinto omicida nel popolo italiano: 3-0. Nando Martellini, già ubriaco dopo aver brindato con tutta la redazione sportiva della RAI, esulta:

« E sono tre! E sono tre! Altobelli! Oh ma sono il solo a vedere tre Altobelli in campo? »

e Pertini, persi completamente i freni inibitori, si esibisce in un fantastico gesto dell'ombrello ed esclama:

« Col cazzo che ci prendete più mangiakatroffen! »

Tre minuti dopo un calcio di punizione per i tedeschi ed un maldestro intervento di Gentile, inciampato nei suoi stessi baffi, regalano ai tedeschi il gol della bandiera.

Ma non c'è nulla da fare: al 90' l'arbitro requisisce il pallone, urlando "la palla è mia e ci faccio giocare chi voglio io!" emette il triplice fischio e Martellini pronuncia la frase che rimarrà impressa nei cuori di tutti:

« È finito! Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo! 'Mazza che ciucca! »

mentre Pertini esprime gli ultimi sberleffi in faccia al presidente tedesco.
L'Italia solleva la coppa nella tribuna d'onore del Bernabeu e comincia a festeggiare. Pertini, ormai completamente rincoglionito, decide di salire sull'aereo di ritorno assieme agli Azzurri:; essendo vecchio propone alla squadra una partita a scopone, ma gli unici che accettano sono due vecchi come lui: Zoff e Bearzot.
Non potendo giocare col morto visto che quel ruolo era già ricoperto dal presidente, Bearzot trascinò a forza Franco Causio nel tavolo da gioco. Dopo quell'esperienza il Barone rifiuterà ogni convocazione in nazionale, per paura di essere coinvolto in altre partite a carte, questa volta con Cossiga.

A questo trionfo seguirono altri due confronti in campo europeo: nel 1988 ai gironi degli Europei a nessuna delle due squadre interessa la vittoria e preferiscono prendersi a ceffoni e fermare la partita sull'1-1. Nel 1996 uno 0-0 spettacolare quanto soporifero sancì l'uscita dall'Europeo per la gioia dei calciatori che volevano andare a Ladispoli.

In questo intervallo di tempo i mangiacrauti avevano osato vincere il mondiale nella casa degli azzurri; in questa circostanza emerse l'anima latina del popolo italiano, deciso a vendicare tale affronto.

E, dopo una finale mondiale persa a testa, nel 2006 l'Italia ebbe la sua occasione.

Popopopopopopo

L'Italia veniva da un percorso altamente abbordabile: dopo aver superato il girone assieme al Ghana (che ottenne il posto giocandoselo a morra con Repubblica Ceca e Stati Uniti), da un ottavo più duro del previsto contro dei canguri, deciso da un rigore scaturito da un salto in area di Fabio Grosso, e un quarto contro un'Ucraina talmente debole che neanche se ci fossero stati in campo 11 Shevchenko avrebbe potuto fare qualcosa, in semifinale ritrova la Germania.

Dal canto loro i padroni di casa avevano sfruttato accordi sottobanco con la FIFA per ottenere il girone più puerile che potesse capitargli, trovandosi con Costa Rica, Polonia ed Ecuador. Ma se esiste il karma era sicuro che prima o poi l'avrebbero pagata. Agli ottavi superarono agevolmente il naso di Ibra, ma ai quarti incontrò l'Argentina: per sua fortuna Messi con addosso la maglia albiceleste ha le stesse doti tecniche di un comodino e la partita arriva ai rigori, superati grazie ad un'epidemia di verruche occorsa agli argentini, che hanno tirato addosso a Jens Lehmann due rigori.

La viglia della partita fu caldissima: nei due paesi si registrarono numerosi casi di orgasmi multipli spontanei.
Arrivò il 4 luglio, ma fondamentalmente agli americani i mondiali di calcio interessavano anche meno, perché era festa nazionale. Ad Angela Merkel, presente al Westfalenstadion, invece la partita interessava particolarmente, un po' come nel 1936 le Olimpiadi al Fürher.

Quell'anno per la prima volta mondiali furono trasmessi anche da Sky; in questa occasione Fabio Caressa diede prova del suo enorme talento da ultrà, fomentando le curve di tutti gli stadi in cui giocò l'Italia. In occasione di questa semifinale si presentò in cabina di commento con giacca verde, camicia bianca, cravatta rossa e senza pantaloni, perché non ebbe tempo di comprarne un paio in tinta col resto dell'abito.

Fin da subito l'Italia sembra più pimpante dei tedeschi, in virtù del suddetto sangue latino e della 'Nduja casalinga offerta a tutti da Gattuso poco prima dell'incontro. Lo stesaso calabrese inveirà contro tutti i tedeschi che perderanno un menisco dopo un suo fallo, chiamandoli "simulatori". Caressa gli faceva eco, incitandolo ad aggredire anche le tibie.

Durante il primo tempo la Germania prova a più riprese a sfondare la retroguardia azzurra con la fanteria, ma il muro abusivo fatto costruire da Fabio Cannavaro non vuole saperne di crollare. Nel frattempo l'Italia decide di abbonarsi all'Area di rigore della Germania, settimanale tedesco dedicato agli attaccanti.
In un primo tempo somigliante più ad una partita di ping-pong giocata sotto anfetamine che ad una partita di calcio, in cui l'Italia non aveva capito qual era la sua metà campo e in cui la Germania, da perfetta ospite di casa aveva lasciato che l'Italia facesse come a casa sua, dopo 45' si va a riposo a reti inviolate.

Nel secondo tempo la Germania esce fuori, ma l'Italia non ne approfitta per segnare; rientrata ricomincia il ping-pong, senza successo. La partita sarà decisa asi supplementari.

Ai supplementari la Germania attiva le calamite che aveva posizionato nottetempo nei palloni e nel primo supplementare l'Italia colleziona due legni e 5 pacemaker rotti nella sua curva.
Nel secondo supplementare l'Italia rischia ancora di fare gol con Del Piero, ma il pallone non vuole saperne di entrare. Buffon respinge un krapfen di Podolski, dopodiché il pallone viene sostituito con uno più accomodante.
A 2' dalla fine Pirlo costringe Lehmann a fare il portiere, mentre tutt'Europa e pure un pezzo d'Africa è ormai rassegnata ai rigori, anche se Caressa non concorda e urla

« Sti crucchi so dei rasponi fatti coi piedi, dobbiamo vincere noi, li morté! »

Ed è proprio in queste circostanze che esce la tipica bastardaggine italica.
Sugli sviluppi del corner arriva palla a Pirlo, che evita di tirare e passa palla a Grosso confondendolo con Gilardino. Il suo sinistro è un colpo di mortaio che buca Lehmann e il settore ospiti dello stadio e a questo punto la gente pensa davvero che abbia segnato Gilardino. E invece no! È proprio Grosso! E anche lui caccia un urlo disumano, tipico dei terzini, percepito distintamente fino a Reykjavík. Caressa commenta così l'1-0:

« Hai visto Beppe? Noi ce l'abbiamo Grosso, altro che sti tedeschi col würstel! »

e Bergomi risponde

« Sì Fabio. »


La Germania ci prova anche, ma vengono anche loro contagiati dalle verruche argentine. L'Italia ne approfitta e, su un disimpegno di Cannavaro il pallone arriva a qualcuno che sembra Gilardino ed effettivamente è Gilardino, che vede Del Piero correre come un ossesso perché stava perdendo il treno per Dresda, ma si trova il pallone tra i piedi: non sapendo che fare prova a calciare e trova la porta, per il 2-0. Caressa nel frattempo progetta assieme a Bergomi[7] un rocambolesco furto a Berlino, poi fallito perché Cannavaro ci aveva pensato prima di loro.

L'Italia quindi vincerà il Mondiale di testate contro la Francia capitanata da Zidane, grazie ancora a Grosso che sconvolgerà Barthez con la propria presenza in campo.

E dopo l'ennesima amichevole, nel 2011 proprio Dortmund, finita in pareggio tra la gioia masochistica dei tedeschi, l'anno successivo si scrive l'ultima eliminazione dei tedeschi.

Hulk spacca!

E si ritorna alla storica partita agli europei. Gironi ostici per entrambe con campioni e vice-campioni del monte, mentre i quarti vedono la Germania contro il circolo anziani di Patrasso e l'Italia contro una squadra fortissima perché ha inventato il calcio®, ritorna in semifinale Italia-Germania.

Ci sono cose che riescono a mettere d'accordo tutti, ma proprio tutti gli italiani.

Ora, se c'è qualcosa che i tedeschi dovrebbero aver imparato dovrebbe essere che .
Ma, avvalendosi della logica tipica della filosofia nietzschiana affermano che il passato non esiste e che il destino dell'eterno ritorno dipende solo da loro. Per questo passeranno i giorni che precedono il fatale incontro a convincere il G20 che la Germania vendicherà la semifinale di sei anni prima, grazie alla fronte di Mesut Özil, convintissimo di dare una grande prova contro l'Italia.
Probabilmente intendeva l'Italia dell'hockey su prato, perché contro quella del calcio si sono visti solo i suoi scarpini.

Quando le squadre entrano in campo i tedeschi erano reduci dall'apparizione del fantasma di Bismarck nelle loro stanze la sera prima, altrimenti non si spiega l'espressione di profondo terrore nei loro occhi, dopo le dichiarazioni fatte alla vigilia. In tutto ciò la presenza di 22 colorati in campo convince il pubblico che sta assistendo alla semifinale della Coppa d'Africa.

Dopo 20' minuti di tiri in porta di riscaldamento, Balotelli, che ha già un caldo boia, infila di testa Manuel Neuer e tenta di strapparsi la maglietta. 1-0 e Neuer mette in dubbio la mralità della signora Balotelli.

La Germania prova a rispondere con tutte le forze[8], ma al 36' ancora quell'uomo fa rinascere nei tedeschi sopiti sentimenti nazionalsocialisti, anche verso la propria nazionale non ariana: da fuori area carica una badilata che buca la rete e distrugge il ghetto di Varsavia. Balotelli riesce finalmente a togliersi la maglia, urlando "te la pago io Raffaella!" ed è 2-0. Su questo punteggio si va a riposo.

Nella ripresa Prandelli sfida Löw a sudoku, che accetta: è questa la cosa più interessante del secondo tempo, finché Federico Balzaretti, visibilmente annoiato, decide di dare un tocco di brio al match, cambiando gioco sulla sinistra: purtroppo la sua interpretazione fin troppo letterale della frase e la sua schiacciata da Beach volley non piacciono all'arbitro, che assegna la massima punizione ai tedeschi. Özil dagli 11 metri riesce a trasformare ed esulta, salvo poi scoppiare in lacrime quando scopre che il gol nel recupero non vale doppio.

Un'amichevole del 15 dicembre 2013, in cui è già scritto che la Germania non può vincere, conclusa infatti 1-1 è finora l'ultimo capitolo di questa sfida tra ignoranza e classe, tra rutti e bestemmie, tra vernacolo e filosofia, tra BundesBank e Lega. Attendiamo la prossima, in cui l'italico potrà ancora dire

« Nun vincete mai »

prima del prossimo declassamento.

Note

Template:Legginote

  1. ^ Ancora oggi uno dei tornei più prestigiosi in ambito internazionale.
  2. ^ Per la cronaca: fu uno dei mondiali più noiosi della storia, infatti fu vinto dal Brasile.
  3. ^ Almeno per un tempo.
  4. ^ Sì, lo sappiamo che si era conclusa 50 anni prima, ma, si sa, i messicani sono un popolo indolente e ci hanno messo in po' a rendersene conto...
  5. ^ Alcuni vociferano che fosse un atto voluto, in quanto nessuno voleva portarsi a casa quel perfetto esempio di arte cubista eseguita da un cieco. Nel dubbio gli italiani scaricarono il reparto ortofrutta del mercato di Roma contro gli Azzurri.
  6. ^ Perché Enzo Bearzot aveva insegnato alla sua nazionale come far addormentare il gioco per svegliarlo di soprassalto nel bel mezzo della fase REM.
  7. ^ Che si concede anche lui un po' di entusiasmo per la prima volta dal '76
  8. ^ Anche perché, si sa, in Polonia è più cattiva.


Darko Panč­ev

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La Gazzetta titolò così quando seppe dell'interesse per il macedone da parte dell'Inter.
« Macché Papin. Il vero pallone d'oro sono io. »
(Darko Panč­ev su modestia e senso della realtà.)
« Il Cobra non è un serpente, ma una pippa indecente... »
(Donatella Rettore su Darko Pančev)
« In area, dategli palla ed è gol. »
« Dite che con Pančev bisogna avere pazienza perché è della Macedonia? Sarà...ma io sono della Bovisa e se sbaglia un'altra volta davanti al portiere gli spezzo i femori con un tubo innocenti. »
« Panč­ev è proprio inutile »
(La Gazzetta, cinque minuti dopo il suo esordio in maglia nerazzurra.)

Darko Panč­ev è la dimostrazione vivente[1] che alla dirigenza dell'Inter non serviva Massimo Moratti per riempirsi di bidoni: ci riusciva benissimo anche prima di lui.

Carriera

Panč­ev era reduce da una stagione stellare, non fosse altro perché aveva giocato nello Stella Rossa Belgrado. Anche per alcuni dettagli trascurabili, come 34 reti stagionali, una Scarpa d'oro e il titolo di campione d'Europa dei due continenti col club jugoslavo. Poi andò all'Inter.
Campionato, Coppa Campioni, Coppa Intercontinentale: sperava di rivincere tutto questo; nessuno però lo aveva informato di essere approdato nel lato sbagliato del Lambro, tanto che ancora oggi non ha idea di quale maglia abbia vestito o di quale fosse il nome della squadra.
Già allora il club meneghino aveva un ottimo fiuto per gli affari: per questo pagò 2 miliardi di lire e gli fece firmare un quadriennale.
Panč­ev non volle deludere le attese e si presentò in forma migliore al primo allenamento ad Appiano Gentile, in infradito. Secondo lui lo aiutavano a perfezionare la sua proverbiale precisione sotto porta.
I risultati non si fecero attendere: riuscì a centrare la porta col suo primo tiro. Era quella del bagno degli uomini del settore ospiti dello stadio. Il pubblico, però, non gradì il gesto balistico e fu ricoperto di fischi a San Siro. E considerando che l'Inter giocava in trasferta e non era il derby, questo dovrebbe dare misura del suo enorme talento. Le sue prestazioni crebbero, tanto che era diventato capace di mancare la porta da qualunque posizione e in qualunque modo, con i più spettacolari ed inutili gesti tecnici che la Serie A avesse visto dai tempi di Perdomo, cioè appena due anni prima.
E quindi i nerazzurri furono costretti a cederlo, loro malgrado, in prestito al primo club tedesco dell'elenco, che purtroppo era il Bayer Leverkusen. Così lo scaricarono al Lipsia. Lì fu amato talmente tanto che i tedeschi non aspettarono fino a fine stagione pur di rimandarlo a Milano.
Ma l'Inter stava per cambiare proprietà, e Panč­ev non rientrava nei piani tecnici della società, che preferì rimpiazzarlo con Dennis Bergkamp, attaccante olandese che nel corso della sua carriera si dimostrerà di ben altra classe rispetto al macedone, tranne nella stagione in nerazzurro dove si salvò per il rotto della cuffia e trascorse gran parte dell'anno a calciare punizioni dal limite in fallo laterale. Per questo il macedone andò in cerca di fortuna e trovò, infatti, il Fortuna Dusseldorf, per poi concludere la sua strepitosa carriera a Sion, tra canti di lode e stufato di agnello.
Della sua esperienza all'Inter dirà:

« Ma come cazzo ho fatto a finire lì? Voglio dire: mi cercava mezza Europa e all'altra mezza gli rodeva il culo perché non aveva abbastanza soldi per comprarmi, mi hanno detto che andavo a Milano, potevano dirmi che era la squadra sbagliata! »
(Darko Panč­ev nella prossima reincarnazione starà più attento.)

Ha anche giocato in nazionale e non con una, ma con ben due maglie diverse, ma non ci interessa.

Carriera nel porno

Molti faticarono a vedere il suo talento, forse perché era ben nascosto. In campo lasciava a desiderare, ma sembra che fuori fosse un vero fuoriclasse, come d'altra parte suggeriva il soprannome di Cobra che si era guadagnato a Belgrado. Un talent scout lo notò in vacanza in campo per nudisti e gli propose un contratto. Lui disse che si era ritirato, lo scrutatore disse che avrebbe percepito uno stipendio venti volte superiore rispetto a quando era all'Inter, e sarebbe stato anche più amato. A queste parole accettò, ma rimase un po' interdetto quando al posto di un campo in erba sintetica, gli chiesero di riscaldarsi nudo e dopo aver assunto del Viagra su un letto a baldacchino con cuscini di seta e una biondona ungherese. Fu così sancito l'esordio nel cinema a luci rosse per il Cobra, che ebbe un grande successo, tanto da far capire alla Rettore che in effetti il cobra è un serpente, e anche di una certa lunghezza, e con una certa agilità.
Di seguito una lista dei suoi migliori film:

Filmografia parziale

  • Tutti frutti, soprattutto le banane Girato in patria.
  • Questa volta faccio centro! Film autobiografico.
  • Amore Internazioanale
  • Il trenino dell'amore fa ciuf ciuf e io sto dietro
  • Guarda Milano che è pieno di serpi
  • PornoStella Rossa
  • Snakes on a Plane

Caratteristiche tecniche

Velocità, fiuto del gol, precisione sotto porta: un giorno sperava di sviluppare tutte queste qualità. La storia ci dice che quel giorno non arrivò mai.
Non disponeva di raffinati fondamentali tecnici, partecipava raramente alla manovra e non era fortissimo fisicamente, ma ciò non rappresentava un grosso problema se avesse, come i tifosi nerazzurri si auguravano, trovato rapidamente la sua collocazione in campo: a tracciare le righe.
Nonostante l'infelice avventura in nerazzurra è comunque stato eletto miglior calciatore macedone degli ultimi 50 anni, superando per una manciata di voti Goran Pandev e un innaffiatoio.

I momenti più illuminanti


Note

  1. ^ Per quanto le prestazioni in campo possano far pensare al contrario.

Attore caratterista (redirect da Caratterista)

Lino Banfi approva questo articolo!

"Porca puttèna! questo articolo è stèto scritto da uno coi controchèzzi, mica da uno stronzolo. Cioè, detto papèle papèle, questo articolo usa la bi-zona"

Lo strumento necessario ad ogni caratterista per comporre il proprio copione.


« Ed elli avea del cul fatto trombetta »
(Il sommo poeta descrive la sublime arte di un caratterista.)

Con il termine caratterista si indica un artista di grande spessore e versatilità, talmente variegato da essere sempre uguale a se stesso.
Solo i grandi attori come Jerry Calà, Massimo Boldi o Nino D'Angelo possono ambire ad essere grandi caratteristi.

Storia

Gli occhiali di Mario Carotenuto grandi interpreti della commedia all'italiana. Dietro loro possiamo scorgere la loro storica spalla, Mario Carotenuto.

Il caratterista nasce a Grenoble nel 1308, quando Henry du Montesain, noto attore alla corte di Filippo il bello, pestando il piede in un chiodo sporgente esordì in un prorompente ed involontario "Li mortacci!", espressione tipica della Lingua d'oil. Il pubblico applaudì fragorosamente questa performance e l'eclettico attore romanaccio capì che avrebbe tratto un grande successo a ripetere quella battuta in tutti i suoi spettacoli. Gli stessi critici teatrali dell'epoca (già allora prezzolati servi del potere, sostenitori del governo Renzi) non definirono questo fenomeno come povertà creativa da parte dell'artista, ma come grande capacità di reinventarsi sempre allo stesso modo, senza cadere nell'ovvia originalità. Ottenne così un enorme successo ed è tutt'ora annoverato tra i padri della letteratura e del teatro francese. Ciò dimostra l'enorme povertà letteraria e teatrale di quest'orrida e bellissima nazione.

Adriano Celentano interprete dei più svariati personaggi, tra cui il"molleggiato", il "re degli ignoranti" e perfino "Adriano Celentano".

Il ruolo del caratterista si evolvette nel corso dei secoli, e numerosi sono gli esempi di grandi caratteristi che costellano il teatro, dalla drammaturgia shakespeariana alla commedia dell'arte; tra questi possiamo ricordare: Mangaldio Pernacchione, specializzato nel ruolo dello scugnizzo presso la corte borbonica, Juan Joaquim Flatulentes, scomodo commentatore dell'imperialismo di Carlo V a suon di peti, fino a Sam Zemeny, diventato famoso in epoca vittoriana con lo pseudonimo di Jack lo Squartatore.
Con l'invenzione del cinema il caratterista ha iniziato a penetrare nelle case e nei cuori delle genti.
Gli anni '70 sono il periodo di maggior prolificità di questa specie nel loro habitat naturale: la commedia all'italiana. Tra tette, culi, riflessioni sociali e lotte di classe costoro si collocano alla perfezione, mostrando ciò di cui nessuno aveva il coraggio di parlare, ovvero una spietata critica alla società attraverso ceffoni, scurregge, bestemmie e un vasto campionario di santi, espressioni emblematiche come "'amma mia gomme sdo!" feroce satira sull'oppressione delle classi sociali più basse operata dalla DC.
Gli anni '80 segnano l'inizio del declino di questa specie, fino alla sua quasi attuale estinzione, se non fosse per alcune riserve naturali in cui oggi sopravvivono i più rari esemplari. Da questo decennio in poi la gente inizia a farsi più fastidiosamente raffinata ed esigente, non gli bastano più i classici gestacci e sberleffi, vuole qualcosa di più. Tutta colpa del governo dei socialisti, diranno alcuni critici cinematografici, dopo aver baciato la foto di Lino Banfi che tengono sul comodino.
La realtà è molto più dura. La selezione naturale ha causato una diffusa sterilità tra gli esemplari di questa specie, motivo per cui gli esemplari viventi di questa specie sono gli ultimi. Ma gli studiosi prevedono in futuro un'evoluzione nel genoma umano che darà vita a nuovi esemplari.

Caratteristiche del caratterista

Come si diventa caratterista

Per la prima volta nella storia di questo sito e solo per le prime 50 telefonate in esclusiva un pratico corso da attore caratterista. Diventa anche tu una stella immobile del firmamento cinematografico in quattro semplici mosse!

  1. Irrompi sul palco o inserisciti nelle inquadrature;
  2. Fai qualcosa di caratteristico come un rutto, una scorreggia un'imprecazione, una bestemmia o qualunque altra cosa fastidiosa;
  3. Ripeti questa cosa in vent'anni di carriera;
  4. Goditi il meritato successo.

The Rocky Horror Character Show

Ed ecco a voi una ricca galleria dei più straordinari caratteristi, comprese le loro specialità:


Bombolo, specializzato in tzé tzé, pizze in faccia e la prego ispettò nun me meni!
La Sora Lella, capostipite di tutte le burine cinematografiche.
Anna Longhi, sua figlia di secondo letto, specializzata in burineria e cultura.
Alvaro Vitali, specializzato in ben 3 diversi tipi si flatulenze e in sbirciata dalla serratura.
Guido Nicheli, specializzato in alta finanza meneghina.
Enrico Montesano, specializzato nell'essere il classico ragazzo trasteverino con le pezze al culo, anche a 50 anni.
Adolfo Celi, specializzato in austerità e autorità. Già il nome parla abbastanza chiaro.
Le nouveau parfum par Coco et Reneé.
Jerry Calà. È quello sopra.
Paolo Villaggio, specializzato in Fantozzi e i suoi gemelli non legalmente riconosciuti, questo almeno finché non ha scoperto la classica depressione ed espressione un po' così che abbiamo noi prima di andare a Genova a metà degli anni '90.

Collegamenti esterni

Voci correlate

Gli altri cantieri

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