Casu marzu

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(Rimpallato da Formaggio marcio)
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Non conta la forma, ma la sostanza.
« Pappa, chi no est merda! (Mangia, che è buono!) »
(Amabile invito di pastore sardo a turista straniero.)
« Non ti si può star vicino: sembra che tu abbia mangiato merda! »
(Amici del turista straniero.)

Il casu marzu, noto anche come formaggio marcio o formaggio con i vermi, da non confondersi col cazzo marcio, è un tipico prodotto alimentare della Sardegna, vanto delle tradizioni culinarie isolane, almeno in apparenza: viene infatti esibito ai turisti d'oltremare allo scopo di dimostrare che i Sardi possiedono uno stomaco di ferro in grado di digerire qualsiasi cosa, per poi essere gettato nelle discariche al termine della stagione turistica. In verità, fa schifo a quasi tutti gli autoctoni, anche se nessuno lo ammetterà mai, per una mera questione di immagine.

Denominato in loco anche casu fattittu, casu becciu, casu frazigu, hasu muhidu, casu modde o casu giampagadu a seconda dei dialetti della lingua sarda, esso viene tuttora prodotto secondo i rigorosi dettami dell'antico disciplinare risalente a quando la Sardegna era Atlantide ed il popolo Shardana spadroneggiava in tutto il mondo allora noto. Si dice anzi che la retrocessione dell'isola da Atlantide a Sardegna sia dovuta ad un castigo comminato dalle divinità locali, stufe di trovare i loro templi ammorbati da un tanfo nauseabondo e brulicanti di vermicelli che saltellavano qua e là, ma questa teoria è accettata solo nei più remoti angoli della Barbagia, i cui abitanti preferiscono cibarsi copiosamente di tale prodotto, piuttosto che ammettere di non saper fare il pecorino come si deve. Fin qui la leggenda. Nella realtà dei fatti la storia del casu marzu rappresenta un eclatante esempio della vivacità intellettuale di un popolo che ha saputo trarre enormi vantaggi da una svista iniziale, tramutandola in un successo gastronomico.[1]

Come si fa

Una grande alleata dei pastori sardi.

Come detto, il casu marzu nasce da una serie di errori: preparazione e stagionatura in un ambiente malsano, igiene approssimativa, dose eccessiva di caglio di capretto. Una volta assicurate queste condizioni essenziali, si procede nel seguente modo, che ci faremo raccontare direttamente dall'artefice di tale prodotto, un classico pastore sardo:

  • "La forma di pecorino, ma occasionalmente può essere anche un formaggio vaccino, viene collocata in un luogo chiuso ma pieno di spifferi. Un classico ovile sardo è l'ideale".
  • "Il pastore chiama a raccolta[2] la Piophila casei, un moscerino noto agli entomologi come mosca casearia, che si introduce nel formaggio attraverso appositi pertugi appositamente praticati sulla crosta".
  • "Il pastore, a questo punto, abbandona il formaggio e va ad ubriacarsi coi suoi compari al tzilleri del paese".
  • "Nel frattempo, i moscerini danno vita ad un'orgia colossale, al termine della quale depongono milioni di uova da cui, dopo la schiusa, fuoriescono altrettante larve".
  • "La forma di pecorino diventa ora un immenso condominio di vermicelli, che si rimpinzano a più non posso di pasta di formaggio, la digeriscono e la cagano sotto forma di morbida crema dal colore giallastro".
  • "Quando il pastore smaltisce la sbornia, fa ritorno all'ovile. Qui, contento della sua solitudine, si spara una sega, si scaccola allegramente e, senza lavarsi le mani[3], procede ad un accurato controllo del formaggio".
  • "Tale controllo si effettua scoperchiando con un coltellaccio la forma nella sua parte superiore: si ottiene così un cerchio di crosta (su tappu) che trasforma il formaggio in un contenitore richiudibile".
  • "Il pastore si fa largo tra nugoli di moscerini ingoiandone una certa quantità, verifica il numero di vermi, saggia la crema da essi prodotta con la punta delle dita, testa il grado di acidità, si soffia il naso a mani nude[4], richiude la forma e torna all'osteria. Questa fase può essere ripetuta più volte".
  • "Quando il rapporto crema-vermicelli è di circa 2:1 il casu marzu è pronto per il consumo".

Come si mangia

Senza questo minuscolo esserino il casu marzu non esisterebbe. Fortuna o peccato? Allo stomaco l'ardua sentenza.
« Il casu marzu senza vermi è come una donna senza tette! »
(Non ricordo dove, ma l'ho sentita davvero.)

Ebbene sì, si mangiano anche i vermi. D'altronde, avendo essi proteolizzato il formaggio, ne hanno drasticamente abbassato la quota proteica, quindi senza di essi sarebbe un alimento squilibrato dal punto di vista nutrizionale. Il casu marzu si presenta come una crema color smegma, dall'odore pungente e dal sapore stomachevole deciso e gradevolmente piccante. Va spalmato sul tipico pane carasau oppure sulla piadina romagnola. Di regola va servito a fine pasto, poiché la sua acidità favorisce la digestione e le flatulenze, che sono indice di ottima salute. Si abbina molto bene alla marmellata di lamponi ed al surimi. Recentemente, il grande chef Gualtiero Marchesi ha farcito i vol-au-vent con un ripieno a base di casu marzu, tonno candito e petali di rosa, conquistando un posto preminente nella cucina slow-food. Si accompagna con lunghe sorsate di abbardente o filuferru, la tipica acquavite sarda, con gradazione alcolica di almeno 70°, che anestetizza l'apparato digerente scongiurando i conati di vomito.

Usi alternativi

Esistono molteplici possibilità di utilizzo del casu marzu, tutte esulanti dal concetto di alimentazione. Tra gli usi alternativi più popolari rientra senza dubbio l'applicazione in campo edilizio: mescolandolo in parti uguali con sabbia si ottiene una malta cementizia dalle indubbie proprietà leganti ed adesive, utile per edificare strutture rinforzate che risultano essere a norma con le più recenti linee guida in materia di edilizia antisismica. Usato puro, invece, sostituisce ottimamente lo stucco per otturare fori e livellare varie imperfezioni a livello dell'intonaco. Mescolato a torba e terriccio costituisce un eccellente substrato per tutte le operazioni di giardinaggio. I vermi, poi, possono essere utilizzati a scopo ludico: possedendo la caratteristica di arrotolarsi su se stessi e di spiccare salti di potenza e gittata imprevedibili, possono essere utilizzati in giochi di società in cui si scommette su dove o su chi andranno a spiaccicarsi. Infine, ma non per questo meno importante, il suo olezzo pungente costituisce un ottimo deterrente contro piazzisti, spacciatori di contratti di forniture di energia elettrica e testimoni di Geova.

Tutela del prodotto

Il grande successo ottenuto dal casu marzu ha suscitato l'invidia di alcune nazioni, come Francia ed Inghilterra, che hanno avviato vere e proprie campagne diffamatorie nei confronti di esso: da un lato i mangiarane vedevano sminuito il loro camembert, perdentissimo al confronto, dall'altro i mangiapudding diffondevano notizie false e tendenziose riguardo la presunta tossicità del prodotto sardo. L'Unione Europea, dal canto suo, emetteva una serie di ordinanze atte a scoraggiarne la produzione e la diffusione ed a impedirne la commercializzazione. La Sardegna tutta se ne è infischiata e ne ha proseguito come se nulla fosse la produzione e la vendita, da sempre gestite a livello familiare ed amatoriale, quindi non soggette alle normative europee, salutate dai Sardi con un rutto colossale che ancora rimbomba a Bruxelles[Buuuuuuuuurrrp!].

Note

  1. ^ Tolìghe Casiddu (Tullio Formaggino), "Comente la pòner a culu, faghìndesi finzas pagare", trad. it. "Come spacciare una ciofeca per prelibatezza, facendosi anche pagare profumatamente". Edizioni Bacciocciu, anno 1969, Osposidda (NU).
  2. ^ Un tempo col grido "Ajòòòòòòò!", oggi basta un semplice sms.
  3. ^ Gli ovili sardi sono privi di acqua corrente. Spesso anche di corrente.
  4. ^ Gli ovili sardi sono privi anche di kleenex.

Voci correlate

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