Sambeneddu
Il sambeneddu è una pietanza tipica delle zone interne della Sardegna. Le sue origini risalgono al Precambriano, come attestano molti reperti archeologici: i dinosauri che abitavano sulle pendici del Gennargentu solevano confezionarla in occasione delle festività pasquali. Uova di cioccolato e colombe farcite sono venute molto dopo.
Detto anche bentre e sambene, che significa ventre e sangue, in italiano correggiuto può essere reso impropriamente come sanguinaccio, ma col sanguinaccio universalmente noto ha ben poco a che fare, anzi diciamo pure che non c'entra un cazzo. L'espressione ventre e sangue ha un che di epico: non si può non accostarla ad altre espressioni ormai stabilmente accolte dall'immaginario collettivo quali sangue e arena e lacrime e sangue.
Preparazione
Per la realizzazione del sambeneddu occorre del sangue. Tanto sangue. Inutile organizzare un blitz presso il più vicino centro trasfusionale, dal momento che si tratta di sangue di pecora. Oltre al sangue, occorre anche il latte della suddetta pecora, ragion per cui è consigliabile procedere dapprima alla mungitura e solo dopo al dissanguamento del lanuto mammifero. Oltre al sangue e al latte, occorre anche uno stomaco. Guarda caso, la pecora di prima ne ha giusto uno bello grosso che fa al caso nostro: opportunamente riempito, può raggiungere le dimensioni di un pallone da basket.
Ricapitolando, bisogna alzarsi alle quattro del mattino per mungere la pecora, aspettare l'alba per procedere all'uccisione della bestia, dotarsi di un pentolone per raccoglierne il sangue, fare un corso accelerato di anatomia ovina per capire come asportare lo stomaco senza danneggiarlo: se ciò accadesse si dovrebbe uccidere un'altra pecora, cosa che renderebbe antieconomica la faccenda. Il sangue non deve coagularsi, quindi è necessario utilizzarlo quanto prima. Se per qualche ragione ciò non fosse possibile, occorre collocarlo in frigorifero e mescolarlo continuamente, di conseguenza si dovrà collocare all'interno del frigo anche un volontario disposto a mescolare.
Adesso qualcuno potrebbe pensare di essere a posto: niente di più sbagliato. A completare la lista degli ingredienti ecco il pane, il formaggio, la cipolla, l'aglio, il prezzemolo, la menta, il timo, l'olio d'oliva (o lo strutto) e il sale. Ammettendo di essersi procurati tutti questi ingredienti legalmente e senza far scoppiare faide coi vicini di casa, si procede nella guisa seguente, trascritta dalla viva voce di una massaia barbaricina accanita lettrice di Nonciclopedia:
Si samunat bene sa 'entre de 'erbeghe. S'ammeschiat su sambene, coladu, cun su latte. Si segat su pane a bicculeddos. Si faghet su suffrissu cun s'ozu ermanu o porchinu, sa chibudda, s'azu e su pedrusimula. S'ammeschiat su suffrissu cun su sambene, su pane, su casu friscu e siccu e sale. S'aggiunghen meda fozas de amenta e carchi ramigheddu de armidda. Si prenat sa 'entre a metade, si cosit cun ispau e si ponet a cogher in abba giusta 'e sale finzas chi est tostu, poi si nde ogat dae s'abba e si lassat infrittare unu pagu.
Si lava bene lo stomaco di pecora. Si mescola il sangue, senza grumi, col latte. Si taglia il pane a pezzetti. Si prepara il soffritto con l'olio d'oliva o con lo strutto, la cipolla, l'aglio ed il prezzemolo. Si mescola il soffritto col sangue, il pane, il formaggio fresco e quello stagionato ed il sale. Si aggiungono molte foglie di menta e qualche ramoscello di timo. Si riempie lo stomaco a metà, si cuce con dello spago e si mette a cuocere in abbondante acqua giusta di sale finché si rassoda, poi si toglie dall'acqua e si lascia raffreddare un po'. |
A questo punto si impone una breve esegesi della ricetta. Si noti anzitutto che mancano i dosaggi di ogni ingrediente, come pure non è indicato alcun tempo di cottura. Si tratta di carenze solo apparenti: l'unità di misura utilizzata è il cosiddetto "occhiometro", riconosciuto in tutta la Sardegna come sistema di misurazione universale, applicabile in ogni contesto: lunghezza, superficie, peso, capacità, tempo. Le parole-chiave sono le seguenti:
- unu cantu: un pezzo, una porzione;
- unu bellu cantu: un bel pezzo, un pezzone;
- unu bicculu: un pezzetto;
- unu bicculeddu: un pezzetto ancora più piccolo;
- unu pagu: un po';
- unu pagu de pius: un po' di più;
- unu pagu de mancu: un po' di meno;
- unu bellu pagu: un bel po';
- gai, o giustu: così, giusto così;
- meda: molto, abbondante;
- pagu: poco, scarso;
- fintzas chi est cottu: finché è cotto;
- cottu o non cottu, su fogu lu at bìdu: cotto o non cotto, il fuoco l'ha visto (variabile della precedente, indica anche il preciso momento in cui togliere la pietanza dal fuoco).
Utilizzando questo sistema si evita inoltre il ricorso alle equivalenze, che fanno perdere un sacco di tempo e spesso risultano sbagliate. Nello specifico della ricetta, quanto sangue occorrerà per preparare un sambeneddu? Si consideri che una pecora media ha circa due-tre litri di sangue, che riempiono più o meno a metà una pentola di medie dimensioni. Il latte che vi si mescola deve essere unu pagu de mancu del sangue. Olio, cipolla, aglio e prezzemolo andranno dosati di conseguenza, tra unu pagu e unu pagu de pius. Di sale ce ne vuole sempre unu pagu. Di formaggio fresco ne occorre meda, vale a dire almeno unu bellu cantu, mentre di quello stagionato ce ne vuole unu pagu de mancu. Il pane può essere di ogni tipo, dal carasau a quello comune, nella seconda ipotesi deve essere però raffermo e tostato in forno per renderlo croccante e altamente assorbente. Se ne prende unu o duos cantos e li si riduce in bicculeddos. Occorre unu pagu de pius di menta e unu pagu de mancu di timo. L'acqua di cottura deve essere unu bellu pagu e giusta 'e sale, cioè non ce ne vuole né un granello di più, né un granello di meno. Il sambeneddu va bollito a fuoco lento finzas chi est cottu, ossia quando assume la consistenza di una tetta siliconata.
Come si vede, è semplicissimo.
Degustazione
Il sambeneddu possiede una certa versatilità: può essere considerato indifferentemente primo o secondo piatto, piatto unico, piatto di contorno, antipasto e dessert. Se uno vuole, può anche consumarlo per colazione. È un piatto tipicamente conviviale, da servire e condividere con una vasta cerchia di persone, anche quelle che vi stanno saldamente sui coglioni. Chi lo mangia in solitudine è generalmente malvisto e in casi estremi può anche trovarsi una bomba sull'uscio di casa.
Appena tolto dall'acqua, come detto, il sambeneddu si fa raffreddare unu pagu, che corrisponde ad una sveltina più il tempo di lavarsi le mani. Fatto ciò, si serve a centro tavola e si taglia a fette grosse come una fiorentina. Nel piatto si troverà quindi una fetta di budino di sangue e formaggio agli aromi circondata dalla relativa porzione di stomaco, che va mangiata anch'essa, altrimenti la pecora sarà morta inutilmente e vi augurerà dall'aldilà una settimana di diarrea. Gli avanzi, se ne avanzano, si conservano in frigo e si possono mangiare riscaldati, ma se quell'uno di prima vuole mangiarli freddi, chi siamo noi per dirgli che non può farlo?
Il sapore non tradisce: il sambeneddu sa di stomaco di pecora, sangue di pecora, latte di pecora, formaggio di pecora, pane di pecora, soffritto di cipolla, aglio e prezzemolo, il tutto ingentilito dalla menta e dal timo. Qualcuno pensava forse che sapesse di coda alla vaccinara o di halibut in crosta di patate?
Col sambeneddu va bevuto esclusivamente vino rosso, se ci si beve vino bianco si rischia una multa salata per atti osceni in sala da pranzo e una reazione chimica incontrollata che può portare all'alitosi al gusto di lucido per scarpe. Tuttavia, se il solito uno decidesse di berci sopra il vino bianco, ha tutto il diritto di esercitare il suo libero arbitrio: mangiare sambeneddu non significa certo limitare la libertà altrui.
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