Cazu de crabittu

Da Nonciclopedia, cioè, 'sti cazzi.
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« Ma è un vero schifo, per non parlare della crudeltà! Tipico dei sardi, comunque: basta vedere cosa fanno alle pecore... »
(Simpatizzante di 100% Animalisti col 5% di animalismo in più.)
Per quelli che non hanno il senso dell'umorismo, ci dispiace ma questo articolo non è presente sulla diabolica.
Vergogna wiki!
Il vero cazu de crabittu, bello da vedere, buono da mangiare[Da verificare].

Con l'espressione cazu (o caggiu o callu) de crabittu, in italico idioma caglio di capretto, si intende un particolare prodotto alimentare sardo, di concezione, lavorazione e sapore del tutto inconsueti. A differenza del casu marzu è poco noto al di fuori dell'isola, perché i continentali che ne vengono a conoscenza si chiudono in un ostinato mutismo, quasi a voler celare ad ogni costo un segreto inconfessabile, una colpa difficilmente espiabile, comunque nulla di cui andar fieri. Chissà perché. Esteriormente si presenta come un sacchetto di dimensioni variabili, realizzato con un materiale di provenienza indefinibile, solido, tenace, eppure morbido e untuoso. Alla palpazione presenta la stessa consistenza dei seni mollicci e cascanti di un'ottuagenaria.

« Noooooo! Ecco l'ennesima schifezza puzzolente e piena di vermi! »
(Sì, sto citando proprio te, lettore schizzinoso e prevenuto.)

Il cazu de crabittu non puzza di formaggio andato a male e non contiene vermi, semmai odora di alito della domenica mattina e contiene succhi gastrici. Rispetto al casu marzu è già un bel passo avanti.

Preparazione e confezionamento

Questo capretto l'ha fatta franca, avendo raggiunto l'adolescenza: lo si nota dall'apparecchio per i denti e, guardando bene, da alcuni brufoli sotto il pelo.
Questi due, invece, li vedo proprio male.

Si parte da un piccolo, tenero e pucciosissimo capretto, nella fase in cui si nutre esclusivamente di latte materno e in cui si è ancora giovani e innocenti, con tante prospettive ottimistiche per il futuro. Un bel giorno il pastore sardo, nella sua qualità di capobranco, decide che è giunto il momento di effettuare un'adeguata pianificazione familiare sul suo gregge di capre. Non consegnerà una confezione di goldoni al caprone, non inserirà una spirale nella vagina della capra madre, ma si dirigerà con fare baldanzoso verso il gruppo di capretti dell'ultima figliata. Il pastore, dopo aver scelto nel gruppo le vittime designate, concede loro di attaccarsi alle mammelle materne affinché si riempiano lo stomaco. A questo punto il procedimento assume tinte forti in cui si mescolano sangue, morte, tensione e pathos, intervallati da un bicchierino di cannonau ogni tanto. Il capretto, che ancora si lecca le labbra dall'ultima poppata, viene abbattuto a coltellate e finito con una testata, quindi viene condotto alla macellazione. In un tripudio di emoglobina, la povera bestia viene sventrata e le viene asportato l'abomaso, colmo del latte appena succhiato, che viene filtrato e ricollocato all'interno dell'abomaso. Qui si verifica un fenomeno particolare: grazie ad alcuni enzimi e lieviti naturalmente presenti all'interno, avviene la formazione del caglio, che trasformerà il latte in una morbida crema più o meno granulosa e di colore biancastro. L'abomaso così confezionato viene chiuso con lo spago da cucina e posto in un ambiente asciutto e ventilato, dove si asciugherà e assumerà la tipica rigidità cadaverica. Infine verrà sottoposto ad affumicatura sopra un fuoco realizzabile con i rifiuti e i copertoni che abbondano nelle piazzuole ai margini delle strade della Sardegna. Finalmente è pronto per il consumo.

Conservazione

La fase dell'asciugatura. L'autore dello scatto da allora si mantiene in vita con l'ossigenoterapia.

Se non viene mangiato subito, il cazu de crabittu si conserva per circa un mese in cantina o in frigorifero. Questa seconda opzione prevede l'acquisto di un frigo dedicato, in quanto il suo odore "penetrante" contaminerebbe tutti gli alimenti posti nelle immediate vicinanze. Può essere congelato per un anno intero, ma per il congelatore vale lo stesso discorso del frigo. Molti sardi, soprattutto quelli emigrati, sono soliti confezionarlo sotto vuoto. Con questo sistema la conservazione è ottimale e si protrae a lungo, tuttavia la confezione non riesce a trattenere l'odore, che si propaga non attraverso l'aria, bensì tramite campi elettromagnetici che distorcono la polarità terrestre e se ne fottono del sotto vuoto. Per questo motivo, gli emigrati che vogliono portare con sé il cazu de crabittu oltre Tirreno, sfidano quotidianamente le varie dogane aeroportuali escogitando i sistemi più bizzarri ed ingegnosi, secondi solo ai narcotrafficanti. Si narra di un emigrato di Scraffingiu che, fermato all'aeroporto di Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch, attirò l'attenzione degli ispettori per via dell'alito pestilenziale e di un misterioso fumo nero che gli fuoriusciva dal retto. Sottoposto ad una panoramica addominale, gli furono trovati nell'intestino 89 mega-ovuli contenenti ciascuno un cazu de crabittu. Fu condannato a 50 bacchettate sulle nocche e al rimpatrio immediato con annesso smarrimento dei bagagli. Il cazu de crabittu sequestrato fu usato come concime e provocò la parziale desertificazione del Galles.

Degustazione

Un cazu de crabittu aperto, per la verità un po' alla cazzo di cane, sul tavolo settorio di una cucina sarda.

Il cazu de crabittu viene servito di norma a fine pasto. Presentando un pH prossimo allo 0,2, è considerato un vero e proprio digestivo. Come per ogni prodotto tipico locale, il forestiero ospite farà bene ad accettare senza discutere (anzi, magari con un pizzico d'entusiasmo) ogni porzione di qualsivoglia dimensione gli venga servita. Il suo sapore non è descrivibile: le papille gustative, a contatto con esso, entrano in sciopero e si rifiutano di inviare segnali al cervello. Il retrogusto che permane dopo alcune ore porta la mente verso sentori di baccalà e crema pasticcera, con sfumature di noce moscata e torta di opossum. Il tutto di un piccante tale che la Scala di Scoville andrebbe a nascondersi per la vergogna.

Il cazu de crabittu viene posto su un tagliere e viene aperto in modo chirurgico, praticando un taglio longitudinale con un coltellaccio appuntito. La crema al suo interno viene spalmata sul pane carasau, sul pistoccu o sulle dita. È perfettamente inutile mescolarlo o abbinarlo ad altri alimenti in quanto il suo sapore marcato e piccante soverchia anche i tartufi cosparsi di kerosene. Come col casu marzu, anche in questo caso bisogna berci dietro vari bicchieri di Cannonau o Nepente di Oliena. Se si dispone di abbardente o grappa ad elevata gradazione, o anche dell'alcol puro con qualche goccia di acido muriatico, è ancora meglio.
È consigliabile non mettersi alla guida dopo il pasto. Parimenti è consigliabile assumere un gastroprottettore e mettersi a letto.

Una volta esaurito il suo contenuto, l'abomaso del capretto andrebbe smaltito nella frazione umida. In molti casi, invece, viene tagliato in pezzi e fritto nell'olio bollente: se è bene non soffermarsi sul sapore (anche perché i gusti sono gusti), è anche meglio non soffermarsi sulla bomba colesterolica che ci si appresta a mangiare e poi, diciamocela tutta, ogni tanto un peccatuccio di gola ci può stare.

Una simpatica variante

Nelle aspre e scoscese località a ridosso del Gennargentu e dell'Ogliastra, alcuni pastori, come dire, dalla mentalità molto aperta, hanno realizzato il cazu de crabittu col latte che le loro capre avevano prodotto dopo essersi sbafate alcuni ettari di pascolo, ufficialmente incolto, interamente coltivati a cannabis. I pastori sulle prime non la presero bene:

« Nooooooo! La nostra piccola scorta per uso personale! E adesso come cazzo la facciamo, la transumanza? »

Dopo i primi attimi di smarrimento, procedettero mestamente al confezionamento del cazu de crabittu. Al momento dell'assaggio fu l'apoteosi: era sufficiente una quantità minima per fare un viaggio ai confini della realtà e varcare le mitiche porte della percezione per un periodo di 6 - 8 ore! I pastori tennero per sé la mirabolante scoperta, mettendone a parte solo pochi amici fidati. Inoltre da allora mettono a disposizione delle loro bestie una parte delle loro coltivazioni. Talvolta esiste anche il lieto fine.

Effetti collaterali

Leggenda o verità? Provare per credere.

Un consumatore abituale, ma anche occasionale, potrà manifestare, anche a lungo termine, una sequela di effetti collaterali tra cui vale la pena citare, in ordine di gravità:

  • allergia alla maionese;
  • isolamento: nessuno, per qualche strana ragione, vuol più starvi vicino;
  • produzione di peti che fanno automaticamente scattare provvedimenti restrittivi del traffico;
  • defecazione molto dolorosa, come se dall'ano fuoriuscisse una colata di ghisa;
  • corrosione della mucosa gastrica e fermentazione di quella intestinale.

Secondo una leggenda metropolitana diceria agro-pastorale, il cazu de crabittu avrebbe la facoltà di procurare degli alzabandiera istantanei e duraturi e come tale viene descritto ai turisti del continente. Non esistono evidenze scientifiche su tale credenza, che però pare riscuotere ampi consensi, soprattutto tra i turisti giapponesi.

Un po' di sano rosik

Durante la sua stesura, l'autore di questo articolo è stato fatto oggetto di minacce e ritorsioni ad opera di sedicenti gruppi contro il maltrattamento degli innocenti capretti, con la tesi che la realizzazione del cazu de crabittu sia una metodica barbara, inumana e indegna di un paese civile. Per giungere ad un onorevole compromesso, si è deciso di aggiungere la seguente immagine, che fortunatamente ha messo tutti d'accordo.

Un buon capretto arrosto risolve le più complicate controversie. Lode al capretto!


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Tofu - Sushi - Soia - Gatto flitto


Questa è una voce di squallidità, una di quelle un po' meno pallose della media.
È stata miracolata come tale il giorno 21 luglio 2013 col 33.3% di voti (su 15).
Naturalmente sono ben accetti insulti e vandalismi che peggiorino ulteriormente il non-lavoro svolto.

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