Pasta alla carbonara

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« Pe' sta' da Dio lo sanno pure i sassi,
metti: guanciale, ova e pecorino;
che il rigaton cottura mai trapassi;
te fai 'na carbonara e un sonnellino. »
(Ignazio Sifone, poeta idraulico, Nun se vive de solo amore (c'è pure 'a carbonara), Garbatella 1964, Ed. La Pajata)
"Ahó, che guardi?! Continua a magnà er sushi tuo!"

Gli spaghetti alla carbonara sono un piatto caratteristico del Lazio, in particolare di Roma, preparato con ingredienti popolari, tanto che rilasciano ogni anno un numero impressionante di autografi. A volte più di Francesco Totti.
Il tipo di pasta tradizionalmente più usato sono gli spaghetti, o le linguine, ma si presta bene anche la pasta corta come le penne e le mezze maniche, queste ultime affermatesi grazie alla sfacciata disponibilità ad accogliere all'interno il pezzetto di guanciale. Tuttavia, niente di tutto questo può minare il consolidato predominio dei rigatoni, insuperabili nell'inzaccherarsi[1] di uovo e pecorino.
Alcuni scienziati giapponesi, stufi marci di mangiare pesce crudo marcio avvolto nelle alghe marce radioattive, grazie ad innumerevoli prove in laboratorio hanno dimostrato che la carbonara è uno dei piatti più indicati per l'alimentazione umana. Essa agisce infatti su due tipi di recettori:

  • quelli metabotropici, che favoriscono l'impressione parziale e incerta di essere alle Maldive;
  • quelli dopaminergici, che danno la sensazione di spararsi in vena una Red Bull ascoltando Mina.

Unico effetto secondario, del tutto trascurabile tenendo conto dei grandi giovamenti umorali, l'essere ingrassati mediamente di 12 kg.
Tali validazioni accademiche, che avrebbero reso tronfio un croque-monsieur, non hanno minimamente intaccano la natura umile della carbonara, che si fregia soprattutto del fatto di essere "bona assai".

Origini

Una cosa è sicura: la carbonara non viene citata nel manuale di cucina romana di Ada Boni, edito nel 1930.
Questo ci porta a formulare tre ipotesi:

  1. prima non esisteva;
  2. Ada Boni la considerava una ricetta segreta e riservata a pochi eletti;
  3. Ada Boni era affetta da Alzheimer, questo spiegherebbe peraltro la presenza della ricetta per la coratella in 76 pagine.
Un sostenitore dell'ipotesi angloamericana.

Ipotesi angloamericana

Il piatto compare nel periodo immediatamente successivo alla liberazione di Roma nel 1944, quando nei mercati romani arriva il bacon portato dalle truppe angloamericane. La tradizionale accoppiata con l'uovo viene presto integrata con la pasta, nel pieno rispetto delle raccomandazioni dei dietologi dell'epoca, che suggeriscono di mangiare qualsiasi cosa pur di non morire di fame. I cuochi romani però vanno oltre, d'altra parte: che in Italia si debba mangiare roba suggerita da popolazioni che mettono la marmellata sulla bistecca è un controsenso, sarebbe come insegnare a rubare ad un politico. L'iniziale 2-0 per gli americani, segnato da bacon e uovo, viene presto tramutato in 2-2 col repentino inserimento del cacio e pepe, condimento largamente usato e di successo. Ma anche il pareggio non basta, si vuole stravincere. Il bacon a Roma è ritenuto una "froceria", termine col quale si apostrofa qualsiasi cosa votata più all'aspetto esteriore che alla sostanza. Viene sostituito dal guanciale, del quale si riconoscono le equivalenti valenze proteiche e, in aggiunta, il fatto che favorisca la crescita del pelo su stomaco e alluci. L'idea di sostituire l'uovo con qualcos'altro viene presto abbandonata, l'unica alternativa sarebbe stata la besciamella, ma è tassativamente vietata all'interno dei Sette Colli. Ci si accontenta di chiudere la partita sul 3-1.

Ipotesi napoletana

Un sostenitore dell'ipotesi napoletana.

Si individua in alcune ricette, presenti nel trattato Cucina bisunta ai piedi del Vesuvio, di Ippolito Cavalcanti (1837), una possibile origine napoletana della pietanza. In particolare, in alcune di esse, viene descritta l'aggiunta post-cottura di uno sbattuto di uova, formaggio e pepe. Parliamo comunque di due casi isolati: pasta con le zucchine e pasta con i piselli.
Questo irritante sconfinare nel vegetale, che testimonia anche un pavido atteggiamento nei confronti del colesterolo, non può appartenere alla terra che ha dato i natali al casatiello. A questo punto il diffidare è d'obbligo, come è pure doveroso additare i sostenitori di tali illazioni come: "ignobili detrattori di un meridione ciccione che sentiamo nostro".

Ipotesi carbonai appenninici

Una terza teoria condurrebbe ai carbonai provenienti dall'Appennino centrale, "carbonari" in romanesco. Secondo la loro tradizione: per ottenere la carbonella, elemento imprescindibile di una grigliata che si rispetti, occorre sorvegliare la carbonaia per lungo tempo. Bisogna quindi disporre di ingredienti di facile reperibilità e conservazione, come il guanciale (o il lardo), il formaggio e le uova, portati sul posto dentro un tascapane. L'origine sarebbe dunque abruzzese-molisana, ma ha tutta l'aria di essere un disperato tentativo di avvalorare l'esistenza del Molise. Viene rifiutata di conseguenza.

Usi e costumi

In una trattoria della capitale la frase corretta per ordinarla è:

« A moré, portame 'na carbonchia come se deve! »
  • Moré: diminutivo di moretto/a, indica il cameriere. La scelta del termine non è casuale, l'abbreviazione consente di includere entrambi i sessi, il 90% dei meridionali e tutti gli extracomunitari. La presenza di una cameriera svedese è altamente improbabile, specie per l'attuale stipendio mensile proposto in Italia. Per quella cifra una ragazza nordeuropea non lavora, al massimo mostra una tetta in webcam.
  • Portame: imperativo che esclude l'assurda possibilità che la pietanza non sia disponibile. A Roma tale eventualità è considerata reato, punito con il ritiro della licenza e 6 mesi di reclusione per il cuoco.
  • Carbonchia: da preferirsi a "carbonara" perché si acquisisce il diritto allo sconto speciale del 20% riservato ai "noantri", gli indigeni della zona Trastevere.
  • Come se deve: di quantità adeguata e rispettosa della tradizione. Omettere tale precisazione sarebbe un madornale errore, il cuoco si sentirebbe indotto a:
    • provare alcune raffinate e fantasiose idee che aveva in mente da tempo;
    • pensare che stiate seguendo una dieta, con conseguente porzione di pasta di circa 80 grammi (quantità generalmente usata dai romani per saggiarne la cottura).

Giusto e sbagliato

L'estimatore della carbonara è molto esigente, sbagliare la preparazione (o l'impiattamento) può renderlo nervoso. In genere abbiamo a che fare con manovale in pausa pranzo, probabilmente con i suoi attrezzi al seguito, non è sicuramente il caso di farlo agitare. Ci sono modi giusti e altri che vanno evitati.

Modi giusti e sbagliati di prepararla e servirla.
  1. Impiattamento da chef: da evitare. La parte più difficile sarà convincere il cameriere a servire il piatto, presentandosi con 5 (cinque) mezze maniche è quasi certo che la sua mano finirà inchiodata al tavolo.
  2. Senza pecorino: di esito incerto. La statistica afferma che il 20% delle persone non vuole il formaggio sulla pasta, per la carbonara la percentuale scende allo 0,00000012. Potreste essere fortunati.
  3. La "tanta assai": consigliata. La quantità minima deve attestarsi tra i 300 e i 400 grammi, per persona. Servendola in un'insalatiera tende a raffreddarsi in breve tempo, meglio portare in tavola direttamente la padella.
  4. Poca e scotta: rischio della vita. Usare lo spaghettino n.5, o peggio ancora i capellini, non è mai una grande idea. Il 70% resta ammalloppato[2] nella pentola, il resto è praticamente un pappone schifato anche dai cani randagi.
  5. L'artistica: chiamata a Roma "quella pe' i cinesi". Considerando la scarsa manualità con la forchetta, un muso giallo potrebbe in effetti apprezzare la cosa. Un romano invece pensa che sia giusto che una razza si estingua se non riesce ad arrotolare gli spaghetti.
  6. La "muratore": consigliata. Non è mai stato chiaro il perché una porzione estremamente abbondante sia considerata "da muratore", mio cugino lavora in banca e mangia comunque da fare schifo. Una cosa è certa: a prescindere dal mestiere, un piatto così è una gioia per gli occhi.
  7. La "sperimentale": da evitare. Di norma, un romano estende il "moglie e buoi dei paesi tuoi" anche al cibo. Di fronte a tale stravaganza è probabile che esclami: "Ciccio, porta via 'sti quattro tortelli! Presentate co' 'na cofana de rigatoni o te scoperchio er cranio col maleppeggio".
  8. La "ordinata": da evitare. Il cliente resterà sbalordito dalla maniacale disposizione dei rigatoni e vorrà parlare col cuoco, non per i complimenti, è probabile che voglia impreziosire la sua collezione di dita umane estirpandole a chi ha giocherellato col suo cibo.
  9. La "francese": da evitare. Scempio proposto da un gaglioffo transalpino attraverso un tutorial sul web. La polizia postale l'ha identificato e, se mai dovesse sconfinare, sarà arrestato per vilipendio alla religione con l'aggravante della "farfalla", un tipo di pasta usato solo per i bambini e negli ospedali.
« Ma allora, qual'è il modo giusto?! »
(Ok, vi si dice.)

Ingredienti

Sacro e profano.
« Cipolla, o non cipolla, questo è il problema! »

In commercio esistono salse pronte di tutti i tipi, la carbonara è tra esse. Se la cosa più complicata che avete "cucinato" è la caprese, prendetele seriamente in considerazione. In alternativa:

  • guanciale assai
  • pecorino come piovesse
  • un uovo (per occhio)

Serviranno anche acqua, sale e pasta, elementi indispensabili per passare dalla carbonara allo stadio successivo: la pasta alla carbonara.

- Tizio che alza la mano: “La cipolla si mette o no?!”
- Cuoco contrariato: “Faccio finta di non aver sentito!”
- Tizia che alza la mano: “Mia madre invece usa anche la panna!”
- Cuoco ironico: “Se lei sta seguendo il mio corso di cucina un motivo ci sarà!”

Preparazione

Sarai pure 'na gran figa, ma se nun sai preparà 'a carbonara: "Quella è 'a porta!"[3]