Carlo Martello

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Carlo Martello, maggiordomo di palazzo, ritratto quando era giovane, bello e abbronzato.

Carlo Martello, maggiordomo figlio di Pipino di Sledgehammer e di Alpaide di Mazzuola, fu famoso per essere stato il nonno di Carlo Magno, capostipite della dinastia dei Carolingi, nonché per il suo perfetto accento inglese e lo stile impeccabile.

Gioventù

Essendo figlio di seconda moglie[1] - pertanto ritenuto un "bastardo" dall'intero regno di Francia, dalla contea di Amsterdam, persino dal paesello di Heidi - venne da sempre bistrattato e schernito dai fratelli maggiori, dagli zii e dalla badante rumena. L'unico che lo cagava era il cane. Letteralmente. Gli anni passati a rincorrere un po' di considerazione e di affetto passarono tanto lentamente che nel frattempo Mike Bongiorno era morto. In tutti quegli anni passati a mugugnare e a rodersi il fegato il povero piccolo Carletto elaborò un subdolo piano per vendicarsi delle angherie e rifarsi dei torti subìti. Iniziò col fratello dal nome più stupido, Drogone, colpendolo col pendolo[2]. Cosparse quindi il corpo del defunto fratellastro di un'essenza di bistecca, così che il cane gli balzasse addosso per sbranarlo. I sospetti caddero sul cane, che venne prontamente abbattuto.

Alleluja!

Ora toccava al secondo fratello. Questa volta però non poté permettersi il lusso di nascondere il fattaccio, così pedinò la vittima fino a salire sul treno per Instambul. Qui riuscì a far cadere la colpa su dodici innocenti passeggeri che ebbero la sfortuna di viaggiare nella sua stessa carrozza, mentre lui si defila tranquillamente via dalla scena del crimine prima che una bufera di neve blocchi il mezzo.

Alleluja!

Anche se questa parte è poco chiara agli storici in quanto appare perlomeno sospetta una nevicata in Turchia... Il detective cui era affidato il caso, cercando ulteriori indizi trovò una pista che conduceva al Martello, grazie anche alla testimonianza di un ferramenta. Nel frattempo moriva di cause naturali il padre Pipino, da non confondere col nipote più piccolo, lasciando l'eredità al giovane Carlo.

Alleluja!

Il detective giunse alla conclusione che l'assassino fosse Carlo Martello, il maggiordomo! Ma ora che il padre era morto, Martello ereditò da questi il mestiere di Maggiordomo di Palazzo, incarico di alta responsabilità presso il sovrano, e come tale fu intoccabile da parte della giustizia a causa dell'immunità parlamentare di cui godeva.

Alleluja!

Da qui ovviamente il detto che il colpevole è sempre il maggiordomo.

Opere

Da bravo maggiordomo - tra una pulizia alle tapparelle, una lavata agli abiti sporchi e una stirata di camicie - il buon Carlo mise ordine intorno a sé. Fece sedere sul trono di Francia Clotario IV, gli diede una spolverata e provvide a riassettare il regno. Altri maggiordomi[3] non lo vedevano di buon occhio, perché li metteva in ombra facendoli sfigurare, così cercarono di impedirgli qualsiasi tentativo di riassettamento: bucando il tubo dell'aspirapolvere, mettendo la vernice nella lavastoviglie o facendogli stupidi scherzi telefonici. Il buon Carlo, solitamente tranquillo, prese la sua rivalsa facendoli licenziare dai loro palazzi spifferando i furti dell'argenteria che essi compivano. Dal 720 al 738 decise di lavorare anche presso l'Austria e il sud della Germania ingrandendo l'area interessata dai suoi servigi.
Infine ricordiamo la sua storica impresa a Poitiers, dove riuscì a giacere con una gentil pulzella, ma vedremo nello specifico qualche paragrafo più avanti.

Altro

Carlo fu reso celebre anche dalla corporazione di operai - nel settore del maggiordomato di palazzo - che fondò, associandolo poi alla riorganizzazione agraria e alla relativa corporazione guidata da Massimiliano Falce, aprendo la strada ad una delle corporazioni più resistenti della storia, la Martello&Falce. In questa associazione per comodità abbreviava spesso il suo cognome in Mar, cui aggiungeva una crocetta per far capire si trattasse di una abbreviazione.
Propose anche una collaborazione religiosa col papato, sostenendo le campagne missionarie verso i frisoni, gli alemanni e i turingi: evidentemente le donne di tale popolazione valevano la pena.

La battaglia di Poitiers

Rappresentazione simbolica della vittoria della Francia[4] sui due avversari e mezzo[5], avvenuta mediante Carlo Martello[6].

La più celebre impresa che la storia ricordi su Carlo Martello è la battaglia del 732 avvenuta presso i Pirenei, quelli che Pierino non trova mai perché la madre li ha spostati. In realtà non fu nemmeno una vera battaglia, piuttosto una scaramuccia. Ma neanche, diciamo un tafferuglio, o meglio una rissa. Ecco, piuttosto uno scontro verbale o una divergenza di opinioni. Ma che poi, diciamocelo: fu ingigantito da questa stampa sinistroide e disfattista.

Così la tradizione vuole che sui Pirenei due grandi schieramenti ebbero scontri epocali, battaglie interminabili, un fiotto di morti e di feriti. Le popolazioni con cui si confrontrò l'esercito di Carlo - frisoni, alemanni e turingi - divennero improvvisamente uno solo, composto da Mussulmani provenienti nientemeno che dall'Andalusia e l'incontro, originariamente finito non proprio bene dal maggiordomo francese (ne ricavò un bell'occhio nero), divenne d'un tratto per gli storici a favore della Francia.

Tuttavia l'impresa venne ricordata con così grande enfasi e interesse che della vera vicenda di quelle terre non importò più a nessuno. A maggior ragione da quando l'eroica impresa divenne leit-motiv per la letteratura franco-italiana, con le celebri gesta delle Chansonnes de Roland o dell' Orlando Furioso di Ariosto[7], nonché base fondamentale di ispirazione per i Pupi siciliani. Di fronte a cotanto interesse per eroismi e menate varie non si poteva smontare il quanto, così si preferì mantenere l'aura di epocale delle battaglie svolte dall'esercito francese per non deludere i fan delle romanze.

Grazie a questo escamotage però si deve il successo di Carlo che aveva così fondato le basi per una vera e propria rivoluzione dei poteri: da lì a poco infatti i suoi discendenti avrebbero sfrattato il re e si sarebbero insidiati al suo posto abbandonando smoking e cravatta per dedicarsi alla politica.

Il rientro

Prima di tornare trionfante nel suo paese, Carlo dovette rallentare a causa di una piccola avventura per i boschi sulla via del ritorno. Di tale evento ci fa menzione lo storico Paolus Borgus, narrando le imprese di Martello, in seguito musicate dal menestrello Fabricius da Andria. Riportiamo di seguito alcuni stralci del brano.

« Al sol della calda primavera

lampeggia l'armatura
del sire vincitor

il sangue del principe e del Moro
arrossano il cimiero
d'identico color

ma più che del corpo le ferite
da Carlo son sentite

le bramosie d'amor. »

In questa prima parte del brano è palesata l'intenzione storica di raffigurare Carlo come un importante guerriero che non cede di fronte alle sofferenze fisiche e il sangue del nemico lo decora trionfante.

« "Se ansia di gloria e sete d'onore

spegne la guerra al vincitore
non ti concede un momento per fare all'amore(...)"

Quand'ecco nell'acqua si compone
mirabile visione
il simbolo d'amor

nel folto di lunghe trecce bionde
il seno si confonde

ignudo in pieno sol. »

Carlo, riflettendo dentro di sé, percepisce la fugacità dell'esistenza e lo scorrere ineluttabile del tempo, come se tutte le sue battaglie non siano che granelli di sabbia al vento, destinati a perdersi nei secoli. Solo una mistica e pura visione lo desta dal suo meditabondo pensiero, una luce di sacra provenienza, baciata da un raggio del divino sole.

« "Mai non fu vista cosa più bella

mai io non colsi siffatta pulzella"
disse Re Carlo scendendo veloce di sella

"De' cavaliere non v'accostate
già d'altri è gaudio quel che cercate
ad altra più facile fonte la sete calmate"

Sorpreso da un dire sì deciso
sentendosi deriso

Re Carlo s'arrestò. »

Estasiato dalla visione Carlo - nel frattempo chiamato "Re" per comodità - domanda di Grazia Divina la preziosa figura che, con parole dense di speranzosa gentilezza, narra al prode di quanti prima di lui La ottennero. Allora il francese si mise a riflettere su sé stesso e sul perché potesse meritarLa.

« ma più dell'onor potè il digiuno

fremente l'elmo bruno
il sire si levò

codesta era l'arma sua segreta
da Carlo spesso usata
in gran difficoltà

alla donna apparve un gran nasone
e un volto da caprone

ma era sua maestà. »

Spinto da mistico furore Carlo si toglie l'armatura, segno della rinuncia della sua veste di guerriero, in ricerca di un equilibrio spirituale che lo portasse a maggior contatto con gli elementi naturali e campestri.

« "Se voi non foste il mio sovrano"

Carlo si sfila il pesante spadone
"non celerei il disio di fuggirvi lontano,

ma poiché siete il mio signore"
Carlo si toglie l'intero gabbione
"debbo concedermi spoglia ad ogni pudore"

Cavaliere egli era assai valente
ed anche in quel frangente

d'onor si ricoprì »

Durante l'atto di abbandono di ogni cosa materiale la mistica visione si offre a guida dell'uomo, affinché possa trovare la via per la Grazia Divina.

« Giunto alla fin della tenzone

incerto sull'arcione
tentò di risalir

veloce lo arpiona la pulzella
repente la parcella
presenta al suo signor

"Beh proprio perché voi siete il sire
fan cinquemila lire

è un prezzo di favor" »

Al momento del supremo raggiungimento tuttavia il dubbio si insinua nella mente di Carlo, che si chiede se non sia più giusto completare il suo percorso umano e terreno, prima di raggiungere lo stato di Grazia. La visione lo mette tuttavia in guardia: il cammino che il sovrano vuole intraprendere è piuttosto costoso.

« "È mai possibile o porco di un cane

che le avventure in codesto reame
debban risolversi tutte con grandi puttane,

anche sul prezzo c'è poi da ridire
ben mi ricordo che pria di partire
v'eran tariffe inferiori alle tremila lire
"

Ciò detto agì da gran cialtrone
con balzo da leone

in sella si lanciò. »

Le lamentazioni del sovrano si concentrano sul destino che lo attende.

« Frustando il cavallo come un ciuco

fra i glicini e il sambuco
il Re si dileguò

Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra
cingendolo d'allor

al sol della calda primavera
lampeggia l'armatura

del sire vincitor. »

Questo non sapere cosa lo attende, pur sapendo a cosa ha rinunciato lo conduce alla follia e ad una fuga nel bosco, tra le piante tipiche della zona, fino a trovare il senno in patria, dove viene accolto e acclamato come il giusto trionfatore sui suoi avversari interiori ed esteriori. Amen.

Fine

Non è ben chiaro come il buon Carlo passò a miglior vita. Tuttavia si ritiene che come le grandi idee non si possono uccidere, così egli viva in eterno laddove esista un sopruso, una prevaricazione o un dibattito politico, riportando la Giustizia e la Verità. Non è ben chiaro se la sua presenza sia quella che faccia cessare i soprusi o quella che li faccia iniziare, ma gli vogliamo bene lo stesso.

Galleria di ritratti

Apocrifi

Non si attribuisce invece a lui il famoso ritratto di Jacques Villeneuve intitolato Mo' te spacco er culo s' me superi...
Nemmeno la celebre opera di Marcel DuChamp intitolata Finlandesi fateme 'na pippa ritrae il sovrano

Note

  1. ^ La prima, Plectrude di Incudine fuggì con Marcantonio di Staffa.
  2. ^ Ah! che gioco di parole!
  3. ^ Capeggiati da Rainfroi, Maggiordomo di Palazzo di Neustria. Non che la cosa possa sembrare interessante, ma per correttezza di cronaca lo riportiamo comunque.
  4. ^ Il biondone con l'elmo a corna - un Gallo, ovviamente - che guardacaso è vestito di rosso, bianco e blé.
  5. ^ I tre sfigati spiattellati per terra: frisone la mezza fatina, alemanno il tizio peloso, turingio il diavoletto.
  6. ^ Quell'oggetto che viene tenuto in mano dal biondone, ovviamente.
  7. ^ Che non c'entra molto, ma aggiungiamo per fare brodo.

Bibliografia alla buona

  • Giorgio Armani, Perché odio il Martello, Paraciufoli editori, Mincioli d'Abruzzo 2008;
  • Jeaques Le Monde-Shabbatte, Charpe Martélle - Biografie ufficiale en franzé maccaronique, Ed. Mari&Monti, Nizza di Sicilia 1994;
  • AAVV., Topolino, nn. 112-123 a. LXVII, Walt Disney pubblicazioni presso editoriali Mondadori, Parnaso

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