Strage di piazza Fontana

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« No... io mando malattia. Va bene il lavoro, ma questo è troppo! Per i quattro soldi che mi danno, poi...» »
(La donna delle pulizie della Banca Nazionale dell'Agricoltura dopo aver visto questo scempio.)
« Ho visto bombe di Stato scoppiare nelle piazze
e anarchici distratti cadere giù dalle finestre... »
(Un gruppo di finocchi drogati sovversivi Modena City Ramblers.)

La strage di piazza Fontana è il risultato un po' sopra le righe di un attentato terroristico che ebbe luogo alle 16:37 del 12 dicembre 1969 a Milano. Una bomba arrivata lì da sola, a quanto risulta, deflagrò all'interno della Banca Nazionale dell'agricoltura, provocando la morte di 17 persone e il ferimento di altri 88 bighelloni che potevano pure starsene a casa, e devastando completamente la banca stessa. Immediato il cordoglio delle imprese edili.

Secondo la moderna critica storica questo avvenimento è il punto di partenza della cosiddetta strategia della tensione ma anche degli anni di piombo, sebbene la bomba non contenesse alcuna traccia di piombo, dimostrando ancora una volta la totale inattendibilità della Storia.

Per una curiosa casualità le vittime furono tutte di sesso maschile. Le associazioni femministe insorsero immediatamente, elevando una vibrata protesta contro l'ennesima discriminazione sessista.

Per quelli che non hanno il senso dell'umorismo, su Wikipedia è presente una voce in proposito. Strage di piazza Fontana

Storia

Premessa

Gli anni '60 furono un periodo particolarmente noioso, almeno in Italia. Il boom economico aveva ormai esaurito i suoi effetti, lasciando tuttavia strascichi di impigrimento mentale e indolenza intellettuale. Il benessere, cui gli italiani non erano abituati, aveva provocato profonde mutazioni nel costume sociale: ormai tutti si lavavano almeno due volte al mese, mangiavano almeno una volta al giorno, andavano al cinema o alla balera ogni fine settimana. Gli asini e i cavalli che tiravano i carretti erano finiti sulle mense della nuova borghesia, le automobili garantivano rapidità nei trasporti e cambiali che donavano continue emozioni, a vita. Inoltre restava un sacco di tempo libero. Fu proprio il surplus di tempo a disposizione la causa scatenante degli avvenimenti di cui si tratta.

Resta comunque un dato di fatto inoppugnabile: l'ignavia degli anni '60 ha generato gli scoppiettanti anni '70, con il loro carico di brio, eroina, tritolo e pallottole. Un periodo in cui davvero valeva la pena vivere, per quelli che ci riuscivano.

Antefatto

Il misterioso camion di frutta e verdura, svanito nel nulla tra l'indifferenza generale.

Quel giorno, di buon mattino, qualcuno si recò alla sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura, in piazza Fontana, pieno centro di Milano, con un autocarro stracolmo di frutta e ortaggi. Chiese e ottenne di parlare col direttore. Lo sconosciuto aveva intenzione di aprire un conto presso la banca, per versarci l'intero contenuto del suo camion.

« Sconosciuto: Se ho ben capito, coi vostri tassi di interesse, se io verso oggi sul conto mille melanzane, fra un anno ne ritroverò milleventicinque. Ottima offerta, accetto!
Direttore: Eh? Cosa? Ah, già, certo... permette? Devo fare una telefonata, ma a breve qualcuno si occuperà di lei! »

La neurodeliri, avvertita dal solerte direttore, piombò nella banca in pochi minuti, assicurando con la camicia di forza lo sconosciuto per condurlo al manicomio cittadino. Non prima che questi proferisse una minaccia a cui fu dato il peso che si dà alle affermazioni dei matti:

« Non volete la verdura? E allora che cazzo ci fa quell'insegna "Banca Nazionale dell'Agricoltura"? Non si prende in giro così la gente! Maledetti! Una bomba dovrebbero mettervi![1] »

Lo sconosciuto non giunse mai al manicomio: già verso mezzogiorno venne rinvenuta l'ambulanza, nei pressi di Quarto Oggiaro, abbandonata in cunetta con dentro i due barellieri intrecciati tra loro con la camicia di forza. Gli fu trovato un peperone in bocca e un babaco nel culo. Per districarli fu necessario un intervento chirurgico. Alle 16:35 il camion colmo di ortaggi del misterioso individuo fu visto allontanarsi da piazza Fontana a tutta velocità, ma secondo le testimonianze dell'epoca alla guida risultò esserci un carciofo. Nel frattempo si erano fatte le 16:36. Uffici e banche avevano già chiuso i battenti. Non tutti, però. La Banca Nazionale dell'Agricoltura era piena di gente che vi era entrata per scaldarsi al riparo dai rigori invernali. Era noto a tutti che in quella banca il riscaldamento veniva sparato a manetta, essendo dotata di una potente caldaia. D'improvviso...

BOOM!

BOOOOOOOOOOOOOOM!
Come dopo l'esplosione di una supernova, rimase un buco nero.
Il buco nero.

Le indagini

I primi momenti di sgomento e paura all'esterno della banca appena dopo l'esplosione.

La caldaia fu da subito l'indiziato numero uno. Essa fu immediatamente sospettata di essere responsabile dell'esplosione poiché tra le macerie della banca non se ne trovò traccia: il ragionamento era che il colpevole non poteva essere tanto stupido da farsi trovare subito sul luogo del delitto, magari ci sarebbe tornato più tardi, ma non immediatamente. Pertanto la caldaia e tutti coloro che in quel momento erano assenti dalla scena del crimine furono inseriti nel novero dei sospettati. A complicare le indagini contribuì una serie di avvenimenti che si verificarono contemporaneamente alla strage:

  • Sempre a Milano, all'interno di una gerla contenente zucchine, fu trovata una bomba a forma di caldaia inesplosa nella sede della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. Gli artificieri fecero brillare le zucchine con la bomba, pochi minuti prima che dalla questura arrivasse l'ordine di analizzarli per poter risalire al luogo di produzione degli ortaggi e del confezionamento dell'ordigno. Gli artificieri, completamente imbrattati di zucchine spappolate, fecero spallucce e gli investigatori si dimostrarono parecchio offesi nei sentimenti.
  • Lo stesso giorno, a Roma, alle 16:55 esplose una bomba nel sottopassaggio che collega via Veneto alla Banca Nazionale del Lavoro. Tredici persone restarono ferite, ed anche in questo caso i sospetti caddero inizialmente su una caldaia: infatti nel sottopassaggio non ne era stata trovata traccia.
  • Ancora Roma, stessa data, ore 17:20. Una bomba esplose davanti all'Altare della Patria, che non riportò gravi danni ma da allora è affetto da ipoacusia bilaterale. Laconico il commissario Lombardozzi Dante:
« Ce lo so anch'io che davanti all'Altare non ce stanno caldaie, e con ciò? Non ponno annà in trasferta pure loro? »
  • Sempre Roma, dieci minuti dopo: alle 17:30 l'ingresso del Museo centrale del Risorgimento in piazza Venezia fu devastato da un'esplosione che ferì quattro persone. La caldaia del museo venne trovata al suo posto, nel regolare svolgimento delle sue mansioni, e fu subito sottoposta ad interrogatorio. Nonostante sia riuscita a dimostrare la propria estraneità al fatto venne comunque trattenuta in attesa di ulteriori accertamenti. Nello spazio di 53 minuti si verificarono ben cinque attentati da Roma a Milano, e gli inquirenti sembravano non avere dubbi circa la loro matrice. Ormai negli ambienti investigativi circolava con sempre più insistenza una voce riguardo ad un pericoloso complotto delle caldaie.

Il complotto delle caldaie

La drammatica tragicità e l'eccezionalità degli avvenimenti spinsero le forze dell'ordine ad agire nel modo più coordinato possibile: la polizia fermò le caldaie sospette, i carabinieri, dato il conseguente calo della temperatura, si coprirono bene e aumentarono la fiamma dei loro cappelli, i questori, com'è loro costume, questurarono. Agli attendenti, come sempre, l'incombenza di preparare il caffè. Furono messi a verbale gli interrogatori di almeno 1500 caldaie, dai quali nulla emerse, se non che la manutenzione lasciava alquanto a desiderare. In effetti in quel periodo non era obbligatoria e gli idraulici, allora come oggi, costavano un occhio della testa. Si cercò di cogliere la palla al balzo ed imporre una revisione periodica delle caldaie, ma si scatenò subito un'ondata di protesta, la gente non era ancora pronta per certe cose:

« E allora iniziamo a mettere le cinture di sicurezza obbligatorie, il divieto di fumare nei locali pubblici, l'obbligo del casco per ciclisti e motociclisti, e magari controlliamo pure il tasso alcolico di chi si mette al volante. Ma vi rendete conto che di questo passo la dittatura è assicurata? »

A parte alcune caldaie sottoposte all'obbligo di firma, l'inchiesta si risolse in un nulla di fatto.

Il complotto dei ferrovieri

Pinelli arrestato. Forse scambiato per una caldaia.
« Voi e le vostre caldaie! Cosa c'è scritto a pag. 78 del Manuale dello sbirro? Chi va fermato per primo in caso di attentato dinamitardo? »
(Il commissario Luigi Calabresi arringa i suoi.)
« Mah, non so... gli anarchici? »
(La timida risposta dell'appuntato Catello Girasole.)
« Bravo Girasole! E chi va fermato per secondo? »
(Il commissario Calabresi incalza.)
« Se è strage rossa, i comunisti; se è strage nera, i neofascisti! »
(L'appuntato Girasole, conscio di aver studiato il manuale.)

L'appuntato Girasole fu promosso seduta stante brigadiere e nel contempo fu organizzato un massiccio rastrellamento di anarchici e giovani fasci. Tra i primi figurava un ferroviere di nome Giuseppe Pinelli, il cui torace era curiosamente bombato come una caldaia. Questo fatto aveva verosimilmente fatto cadere in errore gli investigatori. La scientifica giunse alla conclusione che la responsabilità era senz'altro da ascrivere ai ferrovieri:

« Mi dicono che i ferrovieri italiani sono i lavoratori più assenteisti del pianeta, quindi hanno un sacco di tempo per ideare azioni delittuose, se poi son pure anarchici... »
(La consulenza dell'ispettore Gadget gentilmente offerta da Scotland Yard.)

I ferrovieri di tutta Italia ricevettero un mandato di comparizione[eh?], ai giorni nostri detto impropriamente avviso di garanzia[ahhhh!], ma si diedero tutti malati, tranne Giuseppe Pinelli il quale, colpevole o no, a questo punto doveva pagare per l'assenza di tutti i suoi colleghi. Fu interrogato per tre giorni, con brevi intervalli per aerare la stanza al quarto piano della questura. Il 15 dicembre, durante una pausa per il ricambio d'aria, uno degli agenti presenti nella stanza, noto tra i colleghi col nomignolo di Fiorellino, ne sganciò una delle sue: in men che non si dica la stanza fu saturata dal peggior fetore umanamente sopportabile. Due agenti divennero verdi e si accasciarono esanimi, un altro fu colto da convulsioni e un altro esclamava con espressione rapita "Questo è il nirvana". Il commissario Calabresi, che conduceva l'interrogatorio, fu colto da violenti conati di vomito e scappò verso il cesso più vicino. Pinelli, con le lacrime agli occhi per l'acre pestilenza, si diresse verso la finestra. L'agente Fiorellino, fino a quel momento impassibile, annusò l'aria e cadde a terra privo di sensi, urtando involontariamente Pinelli che, ottenebrato dal tanfo nauseabondo, perse l'equilibrio e si schiantò sul cortile sottostante.

Gli storici non si esprimono sulla veridicità di questa ricostruzione, a parte biasimarie la mancanza di rispetto di alcune elementari norme di buona creanza, che avrebbe evitato l'inutile morte di un innocente. Anche se ferroviere. Anche se anarchico. Anche se caldaia. Di Fiorellino si sono perse le tracce quel giorno stesso.

Il complotto dei ballerini

Pietro Valpreda nella foto che immortalò il confronto all'americana. La versione del taxista sembrò trovare conferme.
« Commissa', ma adesso non dovremmo fermare qualche fascistello/comunistoide? »
(Il brigadiere Girasole, che ha studiato il manuale.)
« Giraso', vuoi per caso tornare appuntato? »
(Il commissario Calabresi non proprio di ottimo umore.)

La questura offre una taglia di 50 milioni di vecchie lire a chi avesse fattivamente contribuito alla cattura dei responsabili. Viene quindi presa d'assalto da una moltitudine di mitomani, gente in cerca di facili guadagni, e un sacco di padri di famiglia che volevano disfarsi della moglie o della suocera.

Pietro Valpreda

Una testimonianza che con una certa dose di fantasia poteva anche definirsi attendibile conduce a un altro anarchico, per di più ballerino, quindi frocio. Il 16 dicembre si presentò il tassista Cornelio Rolandi, che additò Pietro Valpreda come sicuro colpevole: il giorno della strage l'aveva trasportato col suo taxi da piazza Cesare Beccaria a piazza Fontana, e già questo era un fatto molto sospetto, inoltre Valpreda trascinava con sé un'enorme e pesante valigia. Due indizi che facevano una prova.

Tanto bastò al sostituto procuratore Vittorio Occorsio per trarre in arresto Valpreda. Le incongruenze nel racconto del tassista sgorgarono repentine ed improvvise come un'eiaculazione precoce, ma il Rolandi aveva già incassato la taglia e «roba data mai tornata».

I processi

È una buona o una cattiva notizia?

Nel corso degli anni si susseguirono ben sette processi che videro coinvolti esponenti ora dell'estrema destra, ora dell'estrema anarchia. Nessun imputato è stato ricosciuto colpevole, essendo stato assolto di volta in volta per insufficienza di prove, piuchesufficienza di grana, prescrizione non medica. Alcuni esponenti dei servizi segreti furono condannati per depistaggio, sebbene il significato di questo termine sia tuttora oggetto di aspri dibattiti.

Valpreda si sciroppò 1110 giorni di carcere e subì un lungo processo perché bisognava comunque dar conto dei quattrini sganciati incautamente. Fu infine assolto nei tre gradi di giudizio «per manifesta incapacità del cancelliere di redigere un verbale processuale senza errori di ortografia».

Il neofascista di Ordine Nuovo Carlo Digilio nel 2000 confessò:

« Me lo ricordo come fosse ieri: io, due fanti, un alfiere e la regina, abbiamo organizzato la strage con estenuanti riunioni notturne in cui il caffè e le Marlboro scorrevano a fiumi, quando tornavo a casa mia moglie s'incazzava di brutto perché puzzavo come una ciminiera dell'Italsider! »
« E lo dici adesso? Non sai che ormai possiamo darti solo la prescrizione? »
(Gli investigatori, in tono di bonario rimprovero.)
« Oh, cazzo, scusate, mi dispiace... »
(Il Digilio mentre faceva il gesto dell'ombrello.)

Lo stesso Digilio, cinque anni prima, aveva raccontato di una confidenza fattagli da Delfo Zorzi, suo camerata di neofascio, che gli raccontava di come avesse egli stesso piazzato l'ordigno nella banca. Peraltro, Zorzi emigrò in Giappone nel 1974, divenendone poi cittadino non estradabile. Quindi, ciccia.

Il 3 maggio 2005 la Corte di Cassazione ha definitivamente assolto gli ultimi indiziati, gli ordinovisti Delfo Zorzi (sempre lui), Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, scrivendo però nella sentenza che con le nuove prove acquisite dopo i processi del 1972, cassati da essa stessa nel 1987, ora sarebbero sicuramente in galera i neofascisti Franco Freda e Giovanni Ventura, che in quegli anni ispirarono ad Antonello Venditti la famosa canzone Bomba o non bomba. Nessun nuovo procedimento giudiziario è attualmente in corso nei confronti di costoro, perché tale condanna giunge, con lieve ritardo, oltre il terzo ed ultimo grado di giudizio, dopo il quale non si può riprocessare la stessa persona per lo stesso reato. E vaffanculo.

Gente che in qualche modo c'entrava

Giuseppe Pinelli

   La stessa cosa ma di più: Giuseppe Pinelli.
L'ultima immagine impressa nella retina del Pinelli.
« (...) non ti preoccupare, non mi stanno trattando male. Pensa che avevo caldo e hanno aperto subito la finestra. Ora devo tornare dentro, ci sentiamo dopo. »
(Giuseppe Pinelli, ultima telefonata alla moglie.)

La gestione del caso Pinelli fu integerrima, anche grazie alla totale obiettività dell'allora questore di Milano Marcello Guida, che durante il ventennio ebbe in carico gli anarchici in attesa di essere trasferiti al campo di concentramento di Renicci d'Anghiari, che intratteneva amabilmente con barzellette sui negri. Come ebbe egli stesso a dichiarare:

« Il suicidio dell'anarchico Pinelli, che ha provocato l'imbrattamento e il deturpamento del cortile interno della nostra rispettabile questura, è la lampante dimostrazione della sua colpevolezza. Chi osa anche solo pensare il contrario verrà invitato a fare due chiacchiere col sottoscritto nell'ufficio del quarto piano! »
(Marcello Guida - Dichiarazione pubblicata da tutti i giornali, compreso il Corriere dei Piccoli)

Quando la posizione di Pinelli fu chiarita lo stesso Guida ritrattò:

« Sono stato frainteso! Voi giornalisti siete come gli anarchici: capite solo le legnate! »
Dannati vandali...

A parte il fermo legale[2] cui fu sottoposto Pinelli, trattenuto in questura per una partita di ramino un po' troppo lunga; a parte le dichiarazioni degli agenti presenti durante l'accaduto, in evidente stato di alterazione da prosecco; a parte un'altra valanga di circostanze omesse, insabbiate, distorte o semplicemente non capite, l'inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli fu felicemente archiviata il 25 ottobre 1975 con soddisfazione di tutti. Secondo quanto vi è scritto, Pinelli fu vittima di un malore attivo[che finezza!] che lo condusse a precipitare accidentalmente dalla finestra, dopo aver elegantemente dribblato tutti gli agenti che cercavano di fermarlo.

Il PM Gerardo D'Ambrosio ebbe a scrivere:

« L'istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il fantomatico "commissario Calabresi", di cui ancora nessuno ha accertato l'esistenza, non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli. »

Ancora oggi si discute della morte di Pinelli. Talvolta la carenza di argomenti di conversazione fa fare questo tipo di scelta. Non così accade per Valpreda, scomparso nel 2002 per cause naturali.

Luigi Calabresi

Luigi Calabresi. Secondo qualcuno sarebbe stato proclamato santo. Il Vaticano smentisce, ma quest'immagine parla chiaro.

Apparve subito chiaro che trovare i responsabili della strage sarebbe stata una perdita di tempo, allora si creò una vasta corrente di pensiero finalizzata a trovare almeno il colpevole della morte di Pinelli. Il commissario Calabresi fu quindi oggetto di una pesantissima campagna diffamatoria a mezzo stampa, ma anche tramite lancio di uova sui vetri di casa sua, reiterata rigatura della sua Fiat 500, scherzi telefonici e abbandono di sterco di cane sullo zerbino. Lo scherzo più divertente fu una lettera aperta a L'Espresso in cui lo si invitava scherzosamente a farsi da parte per motivi di salute. Segue un estratto.

« Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice. Chi doveva celebrare il giudizio, Carlo Biotti, lo ha inquinato con i meschini calcoli di un carrierismo senile. Chi aveva indossato la toga del patrocinio legale, Michele Lener, vi ha nascosto le trame di una odiosa coercizione.

Oggi come ieri - quando denunciammo apertamente l'arbitrio calunnioso di un questore, Marcello Guida, e l'indegna copertura concessagli dalla Procura della Repubblica, nelle persone di Giovanni Caizzi e Carlo Amati - il nostro sdegno è di chi sente spegnersi la fiducia in una giustizia che non è più tale quando non può riconoscersi in essa la coscienza dei cittadini. Per questo, per non rinunciare a tale fiducia senza la quale morrebbe ogni possibilità di convivenza civile, noi formuliamo a nostra volta un atto di ricusazione.

Una ricusazione di coscienza - che non ha minor legittimità di quella di diritto - rivolta ai commissari torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici indegni. Noi chiediamo l'allontanamento dai loro uffici di coloro che abbiamo nominato, in quanto ricusiamo di riconoscere in loro qualsiasi rappresentanza della legge, dello Stato, dei cittadini. »

Non vale la pena invece riportare l'elenco di tutti i 757 firmatari[3]. Ci limitiamo a dire che alcuni di essi, qualche anno dopo, ritrattarono la propria sottoscrizione, perché si deve seguire il corso del vento, anche se cambia repentinamente direzione.

« Non discuto i contenuti del comunicato, ma la sua forma: è scritto veramente col culo. La mia domestica filippina l'avrebbe fatto senz'altro meglio! »
« Non è che adesso rompono i coglioni a me per la morte di Calabresi? »
« Secondo me sì. Ho fatto bene a non firmare! »
(Giampaolo Pansa, che in effetti non firmò.)
« Credevo di aver firmato per la libera diffusione dei pornazzi di Tinto Brass! »
« Anch'io! »
(Tinto Brass.)
« Ah, non era per quello? Allora non ho mai firmato! »
(Oliviero Toscani, che in effetti firmò.)

La petizione rese Calabresi ancora più isolato: a un certo punto stava per convincersi di essere davvero responsabile della morte di Pinelli.

Calabresi morì di dispacere il 17 maggio 1972. Quattro membri di Lotta Continua vennero condannati definitivamente come mandanti ed esecutori del delitto, solo perché avevano ironizzato sulla sanità mentale del Calabresi dalle pagine della loro fanzine.

« Non volevo mica ammazzarlo! Volevo solo vandalizzargli la macchina, non mi ero accorto che era a bordo! In ogni modo, non sono stato io ma gli altri tre! »
(Dichiarazione pseudo-congiunta di Leonardo Marino, Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri.)

"Nino il fascista"

Una rarissima immagine che mostra il piccolo Antonio "Nino" Sottosanti girato a parlare con un tizio pelato col cappello buffo.

Nell'ambito delle indagini e delle inchieste giornalistiche sulla strage emerse il nome di Antonio Sottosanti, noto agli anarchici come "Nino il fascista", ai fascisti come "Nino la zecca", alle zecche come "quello che puzza come un cane bagnato", al SID come "Agente KSD/VI", e agli amanti della moglie come "quel cornuto di tuo marito".

Dopo la seconda Guerra Mondiale aveva lavorato in diversi paesi europei, per poi arruolarsi nella Legione straniera francese come 1° Addetto alla cammella Giusy. In seguito fu trasferito al reparto informativo della stessa, perché parlava un dialetto goriziano (sua terra d'origine): il furlan da Bassa. Grazie a questo idioma, conosciuto da una manciata di persone, i messaggi cifrati restavano tali.

Tornò in Italia nel 1966. Sottosanti aveva una buona somiglianza con Valpreda, tanto che quest'ultimo si trombava la moglie dell'altro senza che lei sospettasse nulla, o almeno così la dava ad intendere. Guido Giannettini (alias Agente Z), Nico Azzi (detto "NAzzi") e Pierluigi Concutelli (detto "quel pazzo malato che traffica sempre con gli esplosivi") avevano parlato dell'uso di un militante di destra come sosia dell'anarchico. Secondo questa tesi il sosia venne utilizzato, dai servizi deviati o dai gruppi di destra, per portare la valigia con la bomba sul taxi e far ricadere quindi la responsabilità della strage sugli anarchici. In effetti, la testimonianza del tassista rende plausibile questo scenario:

« Aveva una maglietta con una grossa "A" in un cerchio stampata sopra, si è lascato cadere un foglietto con su scritto "Metti la bomba e allontanati in fretta" e cantava continuamente La ballata di Sante Caserio. »

|Testimonianza di Cornelio Rolandi.}}

Questo porterebbe a considerare Valpreda intelligente come un paguro. Lo stesso Sottosanti, intervistato da Paolo Biondani, giornalista de Il Corriere della Sera, nel giugno 2000, affermerà di essere comunque a conoscenza di alcuni retroscena degli avvenimenti, ma di non volerli rivelare:

« ...di certi fatti io fui testimone oculare, ma i miei segreti li porterò nella tomba! »
(Antonio Sottosanti)
« Ma allora che cazzo mi hai chiamato a fare?... Sei uno stronzo! Ho "cannato" anche gli amici del calcetto, accidentiattè!!! »
(Paolo Biondani)

Antonio Sottosanti morì nel luglio 2004. Qualcuno ha incaricato alcuni "tombaroli" di controllare se nel loculo ci sono questi benedetti segreti.

L'agente Zeta

Il malefico agente Zeta.

Nessuna omonimia con l'agenze Z dei Men in Black. Trattasi del giornalista e attivista di estrema destra Guido Giannettini, trasferitosi da alcuni anni al camposanto di Taranto e, da allora, chiuso in un mutismo di tomba. Non è che quando era vivo parlasse poi tanto, essendo anche un agente segreto del SID. Fisicamente in antitesi con la figura del "duro" presente nell'immaginario collettivo, un pacioccone panzerottuto alto basso un metro e un mandarino, un Ugo Fantozzi con licenza di uccidere e sparare stronzate.

Nel maggio del 1965 partecipò ad un convegno a Roma organizzato dal SIFAR[4], il cui l'opuscolo recitava: "Prospettive d'impiego dei sociopatici". Da quel momento la sua vita cambia radicalmente.

  • Ottobre 1965, viene assunto dal SID assieme ad altri partecipanti al convegno di Roma. La paga è quella che è ma, col tesserino che gli hanno dato, ha i buoni benzina ed entra gratis al circo, il problema poi è uscirne.
  • Giugno 1966, pubblica assieme a Pino Rauti Le Mani Rosse Sulle Forze Armate, un libello polemico con contenuti alla "Toghe rosse".
  • Aprile 1968, partecipa ad un viaggio in Grecia insieme a 51 studenti italiani neo-fascisti. La metà di loro, tornati da Atene, si convertono all'anarchismo o al comunismo. Questo è spiegabile in due modi: Giannettini è un pessimo docente, oppure la cosa è finta come le tette di Francesca Cipriani.
  • Maggio 1969 invia un rapporto al SID in cui avvisa che "sono in preparazione attentati in luoghi chiusi", non si capisce se per metterli in allarme o tranquillizzarli.
  • Dicembre 1971, in una cassetta di sicurezza di Giovanni Ventura, vengono rinvenuti documenti di sicura provenienza dei servizi segreti italiani, uno di questi reca la sigla "KSD/VI M" ed il numero progressivo "0281".
  • Maggio 1971, la magistratura milanese ordina la perquisizione dell'abitazione di Giannettini, viene trovato il documento "KSD/VI M N° 0282". Sul primo c'era scritto "Daje!" e sul secondo "Bravo!". Nel frattempo, il 9 aprile, l'agente Zeta era stato fatto fuggire a Parigi dal capitano Antonio Labruna (ufficio D del SID).
  • Gennaio 1974, viene emesso un mandato di cattura nei suoi confronti. Ad aprile Labruna lo raggiunge a Parigi per rifornirlo di denaro (visto che lui aveva speso una fortuna a troie), quindi sparisce di nuovo.
  • 14 agosto 1974 si costituisce al consolato italiano di Buenos Aires, attualmente è sotto segreto di stato.

E le Brigate Rosse dove le mettiamo, eh?

   La stessa cosa ma di più: Brigate Rosse.
Le Brigate Rosse intendevano acquisire il favore delle masse attraverso l'imposizione di un vestiario appositamente dedicato.

Con la strage di piazza Fontana non c'entravano un piffero, tuttavia decisero di occuparsene, tra una sparatoria e l'altra, realizzando un'inchiesta per conto proprio. In seguito ebbero a pentirsi di quest'idea. Nel 1974 l'inchiesta fu rinvenuta in un loro covo, ma per qualche strana ragione agli inquirenti che indagavano sulla strage ne venne messa a disposizione una porzione assai esigua, la parte restante fu ceduta ai pescivendoli del mercato ittico per avvolgere le orate.

I brigatisti avevano raggiunto le seguenti conclusioni:

  • Gli esecutori materiali erano stati gli anarchici.
  • L'intenzione di questi era solo compiere un atto dimostrativo ma avevano mal calcolato i tempi, senza tenere conto che molta gente si recava in banca per scaldarsi anche oltre l'orario di chiusura, visto che davvero in pochi potevano permettersi di effettuare versamenti.
  • Esplosivo, timer e inneschi sarebbero stati gentilmente offerti da un gruppo di estrema destra[5]
  • Pinelli si sarebbe davvero suicidato per il rimorso di aver toccato la mano del fascista che gli consegnava l'esplosivo per l'attentato.

Le Brigate Rosse non diffusero la loro inchiesta ufficialmente per motivi di opportunità politica, in realtà perché esse stesse si rendevano conto che era un'immane cazzata con cui il mondo intero si sarebbe pulito il retto.

Durante il suo periodo di clausura coatta negli ostelli dei brigatisti, Aldo Moro ebbe modo di confrontarsi con loro sulla strage, un po' per passare il tempo, un po' perché era alquanto logorroico. Secondo la sua tesi, erano i rami deviati del SID, il servizio segreto, i veri responsabili, non solo della strage, ma anche della strategia della tensione. Questo perché, a suo dire, il SID era un ricettacolo di fascisti. Moro descrisse minuziosamente ai brigatisti le sue idee riguardo alla strage, parlando ininterrottamente per 72 ore consecutive. I suoi carcerieri furono colpiti da furiosi attacchi di cefalea trapanante a grappolo, contro la quale nulla potevano i più potenti analgesici. Fu allora che decisero di farlo tacere per sempre.

Nel 1980, durante uno dei tanti trasferimenti tra tribunali e procure, il dossier delle Brigate Rosse sparì nel nulla, per riapparire nel 1992 in mezzo a una grossa quantità di materiale cartaceo da eliminare, perché ritenuto non importante. Il suo destino, inesorabilmente eseguito da un agente troppo zelante, si compì all'interno del tritacarte.

Influenze culturali

Dispiace che queste persone non possano leggere questa pagina... ma se potessero la strage non si sarebbe verificata, quindi la pagina non esisterebbe.

Note

  1. ^ Si invita chiunque abbia avuto a che fare con una banca ad ammettere serenamente di averlo pensato almeno una volta nella vita.
  2. ^ in Guatemala
  3. ^ Chi volesse cavarsi questa curiosità e anche la vista, può sbirciare qui.
  4. ^ Agenzia di spionaggio militare, divenuta dal 1966 SID, da cui poi sono nati il SISDE e il SISMI.
  5. ^ Se poi qualcuno si azzarda a dire "rossi, bianchi, neri, sono tutti compari tra di loro" viene tacciato di qualunquismo.