Strage di piazza Fontana: differenze tra le versioni

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{{Cit2|Commissa', ma adesso non dovremmo fermare qualche fascistello/comunistoide?|Il brigadiere Girasole, che ha studiato il manuale.}}
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{{Cit2|Giraso', vuoi per caso tornare appuntato?|Il commissario Calabresi non proprio di ottimo umore.}}
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Il connubio era a dir poco fantastico: un altro anarchico, per di più [[ballerino]], quindi [[frocio]]. Non si poteva sperare in meglio. Fascistelli e comunistoidi potevano aspettare. Questa volta poi, c'era un riscontro oggettivo, una [[testimonianza]] che con una certa dose di [[fantasia]] poteva anche definirsi attendibile... perché non approfittarne? Era stata offerta una taglia di 50 milioni di lire (un botto di soldi, per l'epoca) a chi avesse fattivamente contribuito alla [[cattura]] dei responsabili. La questura fu presa d'assalto da una moltitudine di [[mitomane|mitomani]], [[Gente che per strada cerca di spillarti i soldi|gente in cerca di facili guadagni]], e un sacco di [[padre di famiglia|padri di famiglia]] che volevano disfarsi della [[moglie]] o della [[suocera]]. Il [[16 dicembre]] si presentò il [[tassista]] Cornelio Rolandi, che additò [[Pietro Valpreda]] come sicuro [[colpevole]]: il giorno della strage l'aveva trasportato col suo [[taxi]] da piazza [[Cesare Beccaria]] a piazza Fontana, e già questo era un fatto molto sospetto, inoltre Valpreda trascinava con sé un'enorme e pesante [[valigia]]. Due [[indizio|indizi]] che facevano una [[prova]]. Infine Rolandi riconobbe Valpreda durante un [[confronto all'americana]]. Tanto bastò al sostituto procuratore [[Vittorio Occorsio]] per trarre in arresto Valpreda, contestargli l'[[omicidio]] di 17 persone e il ferimento di altre 88, e per consegnare al Rolandi la taglia multimilionaria. Il caso era chiuso. Ma nemmeno per [[sogno]]. Le incongruenze del racconto del tassista sgorgarono repentine ed improvvise come un'[[eiaculazione precoce]]. Ma il Rolandi aveva già incassato la taglia e si rifiutò di restituirla dichiarando: {{Quote|Roba data mai tornata! Chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto! Il mattino ha l'oro in bocca! Chi dorme non piglia pesci! Chi s'alza presto riempie il cesto!}} Bisognava comunque dar conto dei quattrini sganciati incautamente, così Valpreda si sciroppò 1110 giorni di [[carcere]] e subì un lungo processo, che lo vide assolto nei tre gradi di giudizio per ''manifesta incapacità del [[cancelliere]] di redarre un verbale processuale senza errori di [[ortografia]]''.
Il connubio era a dir poco fantastico: un altro anarchico, per di più [[ballerino]], quindi [[frocio]]. Non si poteva sperare in meglio. Fascistelli e comunistoidi potevano aspettare. Questa volta poi, c'era un riscontro oggettivo, una [[testimonianza]] che con una certa dose di [[fantasia]] poteva anche definirsi attendibile... perché non approfittarne? Era stata offerta una taglia di 50 milioni di lire (un botto di soldi, per l'epoca) a chi avesse fattivamente contribuito alla [[cattura]] dei responsabili. La questura fu presa d'assalto da una moltitudine di [[mitomane|mitomani]], [[Gente che per strada cerca di spillarti i soldi|gente in cerca di facili guadagni]], e un sacco di [[padre di famiglia|padri di famiglia]] che volevano disfarsi della [[moglie]] o della [[suocera]]. Il [[16 dicembre]] si presentò il [[tassista]] Cornelio Rolandi, che additò [[Pietro Valpreda]] come sicuro [[colpevole]]: il giorno della strage l'aveva trasportato col suo [[taxi]] da piazza [[Cesare Beccaria]] a piazza Fontana, e già questo era un fatto molto sospetto, inoltre Valpreda trascinava con sé un'enorme e pesante [[valigia]]. Due [[indizio|indizi]] che facevano una [[prova]]. Infine Rolandi riconobbe Valpreda durante un [[confronto all'americana]]. Tanto bastò al sostituto procuratore [[Vittorio Occorsio]] per trarre in arresto Valpreda, contestargli l'[[omicidio]] di 17 persone e il ferimento di altre 88, e per consegnare al Rolandi la taglia multimilionaria. Il caso era chiuso. Ma nemmeno per [[sogno]]. Le incongruenze del racconto del tassista sgorgarono repentine ed improvvise come un'[[eiaculazione precoce]]. Ma il Rolandi aveva già incassato la taglia e si rifiutò di restituirla dichiarando: {{Quote|Roba data mai tornata! Chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto! Il mattino ha l'oro in bocca! Chi dorme non piglia pesci! Chi s'alza presto riempie il cesto!}} Bisognava comunque dar conto dei quattrini sganciati incautamente, così Valpreda si sciroppò 1110 giorni di [[carcere]] e subì un lungo processo, che lo vide assolto nei tre gradi di giudizio per ''manifesta incapacità del [[cancelliere]] di redigere un verbale processuale senza errori di [[ortografia]]''.


== Fatti e personaggi che in qualche modo ''c'entravano'' ==
== Fatti e personaggi che in qualche modo ''c'entravano'' ==

Versione delle 14:15, 29 gen 2013


A causa del divieto di amministrare la giustizia vigente nel nostro Paese, l'articolo che segue tratta di fatti che non hanno spiegazioni e/o colpevoli. Quindi ce li siamo inventati di sana pianta.
Può anche darsi che i fatti narrati non siano mai accaduti e che siamo tutti vittime di un'allucinazione collettiva.

« No... io mando malattia. Va bene il lavoro, ma questo è troppo! Per i quattro soldi che mi danno, poi... »
(La donna delle pulizie della Banca Nazionale dell'Agricoltura dopo aver visto questo scempio.)
« Ho visto bombe di Stato scoppiare nelle piazze
e anarchici distratti cadere giù dalle finestre...
 »
( Modena City Ramblers.)

Premessa

Gli anni '60 furono un periodo particolarmente noioso, almeno in Italia. Il boom economico aveva ormai esaurito i suoi effetti, lasciando tuttavia strascichi di impigrimento mentale e indolenza intellettuale. Il benessere, cui gli italiani non erano abituati, aveva provocato profonde mutazioni nel costume sociale: adesso tutti si lavavano almeno due volte al mese, mangiavano almeno una volta al giorno, andavano al cinema o alla balera ogni fine settimana. Che dire poi della motorizzazione di massa? Gli asini e i cavalli che tiravano i carretti erano finiti sulle mense della nuova borghesia, le automobili garantivano rapidità nei trasporti e cambiali a vita da onorare mensilmente. Inoltre restava un sacco di tempo libero. Fu proprio il surplus di tempo a disposizione la causa scatenante degli avvenimenti di cui si tratta. A volte pensare troppo può far male, l'aveva detto anche un cantautore dell'epoca, bellamente ignorato proprio perché tutti erano troppo impegnati a pensare e non ad ascoltare:

« (...) poi certo per chi non è abituato pensare è sconsigliato (...) »
(Francesco Guccini, Canzone di notte n. 2)

Resta comunque un dato di fatto inoppugnabile: l'ignavia degli anni '60 ha generato gli scoppiettanti anni '70, con il loro carico di brio, eroina, tritolo e pallottole. Tutto si potrà dire a riguardo, fuorché che fu un periodo in cui non valesse la pena vivere, a patto di non saltare in aria. I fatti di seguito descritti ne costituirono un eccitante, imprevedibile, drammatico, unico ed irripetibile antipasto.

Il fatto

La strage di piazza Fontana è il risultato, perfettamente riuscito, di un attentato terroristico che ebbe luogo alle 16:37 del 12 dicembre 1969 a Milano. Una bomba arrivata lì da sola, a quanto risulta, deflagrò all'interno della Banca Nazionale dell'agricoltura provocando la morte di 17 persone e il ferimento di altre 88, molte delle quali gravemente mutilate. Non senza devastare completamente la sede della banca. Una pacchia per le imprese edili. Secondo la moderna critica storica questo avvenimento è il punto di partenza della cosiddetta strategia della tensione, sebbene sia noto a tutti che la critica storica molto spesso se la canta e se la suona da sola: alzi la mano chi crede ciecamente a quanto riportato dai libri di storia senza esserne l'autore.

Per una curiosa casualità le vittime furono tutte di sesso maschile. Le associazioni femministe insorsero immediatamente, elevando una vibrata protesta contro l'ennesima discriminazione sessista perpetrata ai danni dell'altra metà del cielo.

L'antefatto

Il misterioso camion di frutta e verdura, svanito nel nulla tra l'indifferenza generale.
« Ma perché hai messo prima il fatto e poi l'antefatto? »
« Ma saranno anche cazzi miei! »
(L'autore di questo articolo, come sempre aperto al dialogo e al civile confronto.)

Quel giorno, di buon mattino, qualcuno si recò alla sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura, in piazza Fontana, pieno centro di Milano, con un autocarro stracolmo di frutta e ortaggi. Chiese e ottenne di parlare col direttore. Lo sconosciuto aveva intenzione di aprire un conto presso la banca, per versarci l'intero contenuto del suo camion.

Sconosciuto : Se ho ben capito, coi vostri tassi di interesse, se io verso oggi sul conto mille melanzane, fra un anno ne ritroverò milleventicinque. Ottima offerta, accetto!
Direttore : Eh? Cosa? Ah, già, certo... permette? Devo fare una telefonata, ma a breve qualcuno si occuperà di lei!

La neurodeliri, avvertita dal solerte direttore, piombò nella banca in pochi minuti, assicurando con la camicia di forza lo sconosciuto per condurlo al manicomio cittadino. Non prima che questi proferisse una minaccia a cui fu dato il peso che si dà alle affermazioni dei matti:

« Non volete la verdura? E allora che cazzo ci fa quell'insegna "Banca Nazionale dell'Agricoltura"? Non si prende in giro così la gente! Maledetti! Una bomba dovrebbero mettervi[1]! »

Lo sconosciuto non giunse mai al manicomio: già verso mezzogiorno venne rinvenuta l'ambulanza, nei pressi di Quarto Oggiaro, abbandonata in cunetta con dentro i due barellieri intrecciati tra loro con la camicia di forza. Gli fu trovato un peperone in bocca e un babaco nel culo. Per districarli fu necessario un intervento chirurgico. Alle 16:35 il camion colmo di ortaggi del misterioso individuo fu visto allontanarsi da piazza Fontana a tutta velocità, ma secondo le testimonianze dell'epoca alla guida risultò esserci un carciofo. Nel frattempo si erano fatte le 16:36. Uffici e banche avevano già chiuso i battenti. Non tutti, però. La Banca Nazionale dell'Agricoltura era piena di gente che vi era entrata per scaldarsi al riparo dai rigori invernali. Era noto a tutti che in quella banca il riscaldamento veniva sparato a manetta, essendo dotata di una potente caldaia. D'improvviso...

BOOM!

BOOOOOOOOOOOOOOM!
Come dopo l'esplosione di una supernova, rimase un buco nero.
Il buco nero.

Le indagini

I primi momenti di sgomento e paura all'esterno della banca appena dopo l'esplosione.

La caldaia fu da subito l'indiziato numero uno. Essa fu immediatamente sospettata di essere responsabile dell'esplosione poiché tra le macerie della banca non se ne trovò traccia: il ragionamento era che il colpevole non poteva essere tanto stupido da farsi trovare subito sul luogo del delitto, magari ci sarebbe tornato più tardi, ma non immediatamente. Pertanto la caldaia e tutti coloro che in quel momento erano assenti dalla scena del crimine furono inseriti nel novero dei sospettati. A complicare le indagini contribuì una serie di avvenimenti che si verificarono contemporaneamente alla strage:

  • Sempre a Milano, all'interno di una gerla contenente zucchine, fu trovata una bomba a forma di caldaia inesplosa nella sede della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. Gli artificieri fecero brillare le zucchine con la bomba, pochi minuti prima che dalla questura arrivasse l'ordine di analizzarli per poter risalire al luogo di produzione degli ortaggi e del confezionamento dell'ordigno. Gli artificieri, completamente imbrattati di zucchine spappolate, fecero spallucce e gli investigatori si dimostrarono parecchio offesi nei sentimenti.
  • Lo stesso giorno, a Roma, alle 16:55 esplose una bomba nel sottopassaggio che collega via Veneto alla Banca Nazionale del Lavoro. Tredici persone restarono ferite, ed anche in questo caso i sospetti caddero inizialmente su una caldaia: infatti nel sottopassaggio non ne era stata trovata traccia.
  • Ancora Roma, stessa data, ore 17:20. Una bomba esplose davanti all'Altare della Patria, che non riportò gravi danni ma da allora è affetto da ipoacusia bilaterale. Laconico il commissario Lombardozzi Dante:
« Ce lo so anch'io che davanti all'Altare non ce stanno caldaie, e con ciò? Non ponno annà in trasferta pure loro? »
  • Sempre Roma, dieci minuti dopo: alle 17:30 l'ingresso del Museo centrale del Risorgimento in piazza Venezia fu devastato da un'esplosione che ferì quattro persone. La caldaia del museo venne trovata al suo posto, nel regolare svolgimento delle sue mansioni, e fu subito sottoposta ad interrogatorio. Nonostante sia riuscita a dimostrare la propria estraneità al fatto venne comunque trattenuta in attesa di ulteriori accertamenti. Nello spazio di 53 minuti si verificarono ben cinque attentati da Roma a Milano, e gli inquirenti sembravano non avere dubbi circa la loro matrice. Ormai negli ambienti investigativi circolava con sempre più insistenza una voce riguardo ad un pericoloso complotto delle caldaie.

Il complotto delle caldaie

La drammatica tragicità e l'eccezionalità degli avvenimenti spinsero le forze dell'ordine ad agire nel modo più coordinato possibile: la polizia fermò le caldaie sospette, i carabinieri, dato il conseguente calo della temperatura, si coprirono bene e aumentarono la fiamma dei loro cappelli, i questori, com'è loro costume, questurarono. Agli attendenti, come sempre, l'incombenza di preparare il caffè. Furono messi a verbale gli interrogatori di almeno 1500 caldaie, dai quali nulla emerse, se non che la manutenzione lasciava alquanto a desiderare. In effetti in quel periodo non era obbligatoria e gli idraulici, allora come oggi, costavano un occhio della testa. Si cercò di cogliere la palla al balzo ed imporre una revisione periodica delle caldaie, ma si scatenò subito un'ondata di protesta, la gente non era ancora pronta per certe cose:

« E allora iniziamo a mettere le cinture di sicurezza obbligatorie, il divieto di fumare nei locali pubblici, l'obbligo del casco per ciclisti e motociclisti, e magari controlliamo pure il tasso alcolico di chi si mette al volante. Ma vi rendete conto che di questo passo la dittatura è assicurata? »

A parte alcune caldaie sottoposte all'obbligo di firma, l'inchiesta si risolse in un nulla di fatto.

Il complotto dei ferrovieri

Pinelli arrestato. Forse scambiato per una caldaia.
« Voi e le vostre caldaie! Cosa c'è scritto a pag. 78 del Manuale dello sbirro? Chi va fermato per primo in caso di attentato dinamitardo? »
(Il commissario Luigi Calabresi arringa i suoi.)
« Mah, non so... gli anarchici? »
(La timida risposta dell'appuntato Catello Girasole.)
« Bravo Girasole! E chi va fermato per secondo? »
(Il commissario Calabresi incalza.)
« Se è strage rossa, i comunisti; se è strage nera, i neofascisti! »
(L'appuntato Girasole, conscio di aver studiato il manuale.)

L'appuntato Girasole fu promosso seduta stante brigadiere e nel contempo fu organizzato un massiccio rastrellamento di anarchici e giovani fasci. Tra i primi figurava un ferroviere di nome Giuseppe Pinelli, il cui torace era curiosamente bombato come una caldaia. Questo fatto aveva verosimilmente fatto cadere in errore gli investigatori. La scientifica giunse alla conclusione che la responsabilità era senz'altro da ascrivere ai ferrovieri:

« Mi dicono che i ferrovieri italiani sono i lavoratori più assenteisti del pianeta, quindi hanno un sacco di tempo per ideare azioni delittuose, se poi son pure anarchici... »
(La consulenza dell'ispettore Gadget gentilmente offerta da Scotland Yard.)

I ferrovieri di tutta Italia ricevettero un mandato di comparizione[eh?], ai giorni nostri detto impropriamente avviso di garanzia[ahhhh!], ma si diedero tutti malati, tranne Giuseppe Pinelli il quale, colpevole o no, a questo punto doveva pagare per l'assenza di tutti i suoi colleghi. Fu interrogato per tre giorni, con brevi intervalli per aerare la stanza al quarto piano della questura. Il 15 dicembre, durante una pausa per il ricambio d'aria, uno degli agenti presenti nella stanza, noto tra i colleghi col nomignolo di Fiorellino, ne sganciò una delle sue: in men che non si dica la stanza fu saturata dal peggior fetore umanamente sopportabile. Due agenti divennero verdi e si accasciarono esanimi, un altro fu colto da convulsioni e un altro esclamava con espressione rapita "Questo è il nirvana". Il commissario Calabresi, che conduceva l'interrogatorio, fu colto da violenti conati di vomito e scappò verso il cesso più vicino. Pinelli, con le lacrime agli occhi per l'acre pestilenza, si diresse verso la finestra. L'agente Fiorellino, fino a quel momento impassibile, annusò l'aria e cadde a terra privo di sensi, urtando involontariamente Pinelli che, ottenebrato dal tanfo nauseabondo, perse l'equilibrio e si schiantò sul cortile sottostante. Sul gran parlare che si è fatto riguardo a questa faccenda non esprimiamo opinioni, ma siamo certi che il rispetto di alcune elementari norme di buona creanza avrebbe evitato l'inutile morte di un innocente. Anche se ferroviere. Anche se anarchico. Anche se caldaia. Di Fiorellino si sono perse le tracce quel giorno stesso.

Il complotto dei ballerini

Pietro Valpreda nella foto che immortalò il confronto all'americana. La versione del taxista sembrò trovare conferme.
« Commissa', ma adesso non dovremmo fermare qualche fascistello/comunistoide? »
(Il brigadiere Girasole, che ha studiato il manuale.)
« Giraso', vuoi per caso tornare appuntato? »
(Il commissario Calabresi non proprio di ottimo umore.)

Il connubio era a dir poco fantastico: un altro anarchico, per di più ballerino, quindi frocio. Non si poteva sperare in meglio. Fascistelli e comunistoidi potevano aspettare. Questa volta poi, c'era un riscontro oggettivo, una testimonianza che con una certa dose di fantasia poteva anche definirsi attendibile... perché non approfittarne? Era stata offerta una taglia di 50 milioni di lire (un botto di soldi, per l'epoca) a chi avesse fattivamente contribuito alla cattura dei responsabili. La questura fu presa d'assalto da una moltitudine di mitomani, gente in cerca di facili guadagni, e un sacco di padri di famiglia che volevano disfarsi della moglie o della suocera. Il 16 dicembre si presentò il tassista Cornelio Rolandi, che additò Pietro Valpreda come sicuro colpevole: il giorno della strage l'aveva trasportato col suo taxi da piazza Cesare Beccaria a piazza Fontana, e già questo era un fatto molto sospetto, inoltre Valpreda trascinava con sé un'enorme e pesante valigia. Due indizi che facevano una prova. Infine Rolandi riconobbe Valpreda durante un confronto all'americana. Tanto bastò al sostituto procuratore Vittorio Occorsio per trarre in arresto Valpreda, contestargli l'omicidio di 17 persone e il ferimento di altre 88, e per consegnare al Rolandi la taglia multimilionaria. Il caso era chiuso. Ma nemmeno per sogno. Le incongruenze del racconto del tassista sgorgarono repentine ed improvvise come un'eiaculazione precoce. Ma il Rolandi aveva già incassato la taglia e si rifiutò di restituirla dichiarando:

« Roba data mai tornata! Chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto! Il mattino ha l'oro in bocca! Chi dorme non piglia pesci! Chi s'alza presto riempie il cesto! »

Bisognava comunque dar conto dei quattrini sganciati incautamente, così Valpreda si sciroppò 1110 giorni di carcere e subì un lungo processo, che lo vide assolto nei tre gradi di giudizio per manifesta incapacità del cancelliere di redigere un verbale processuale senza errori di ortografia.

Fatti e personaggi che in qualche modo c'entravano

Giuseppe Pinelli

L'ultima immagine impressa nella retina del Pinelli.
« (...) non ti preoccupare, non mi stanno trattando male. Pensa che avevo caldo e hanno aperto subito la finestra. Ora devo tornare dentro, ci sentiamo dopo. »
(Giuseppe Pinelli, ultima telefonata alla moglie.)

La gestione del caso Pinelli fu, come dire, un tantinello approssimativa. Si legga la dichiarazione resa alla stampa da Marcello Guida, allora questore di Milano. Senza alcuna pretesa di indirizzare il lettore verso una certa linea di pensiero[citazione necessaria], va comunque ricordato che egli fu un fascista convinto e che durante il ventennio era stato il capo dei secondini delle isole di Santo Stefano e di Ventotene, dove erano imprigionati gli anarchici in attesa di essere trasferiti al campo di concentramento di Renicci d'Anghiari, presso Arezzo.

« Il suicidio dell'anarchico Pinelli, che ha provocato l'imbrattamento e il deturpamento del cortile interno della nostra rispettabile questura, è la lampante dimostrazione della sua colpevolezza. Chi osa anche solo pensare il contrario verrà invitato a fare due chiacchiere col sottoscritto nell'ufficio del quarto piano! »
(Marcello Guida - Dichiarazione pubblicata da tutti i giornali, compreso il Corriere dei Piccoli)

Quando la posizione di Pinelli fu chiarita lo stesso Guida ritrattò:

« Sono stato frainteso! Voi giornalisti siete come gli anarchici: capite solo le legnate! »
Dannati vandali...

A parte il fermo illegale cui fu sottoposto Pinelli, trattenuto in questura oltre i termini di legge, a parte le dichiarazioni contraddittorie degli agenti presenti durante l'accaduto, a parte la supposta assenza del commissario Calabresi al momento del fatto, a parte le dichiarazioni di testimoni che affermavano il contrario, a parte un'altra valanga di circostanze omesse, insabbiate, distorte o semplicemente non capite, l'inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli fu banalmente archiviata il 25 ottobre 1975. Secondo quanto vi è scritto Pinelli fu vittima di un malore attivo[che finezza!] che lo condusse a precipitare accidentalmente dalla finestra, dopo aver elegantemente dribblato tutti gli agenti che cercavano di fermarlo.

Il PM Gerardo D'Ambrosio ebbe a scrivere: Template:Quote2 Questo ci lascia tutti più tranquilli.

Luigi Calabresi

A perdere la tranquillità fu invece proprio lui, il commissario Calabresi. E va detta subito una cosa: in tutta la faccenda è il personaggio con meno colpe di tutti. L'ideale per assumersi le colpe di tutti obtorto collo. Apparve subito chiaro che trovare i responsabili della strage sarebbe stato quantomeno complicato, allora si creò una vasta corrente di pensiero finalizzata a trovare almeno il colpevole della morte di Pinelli.
Il commissario Calabresi fu quindi oggetto di una pesantissima campagna diffamatoria a mezzo stampa, ma anche tramite lancio di uova sui vetri di casa sua, reiterata rigatura della sua Fiat 500, scherzi telefonici e abbandono di sterco di cane sullo zerbino. Tutto ciò contribuì ad isolarlo socialmente, rendendolo vulnerabile. Il top della persecuzione fu raggiunto con la famosa Lettera aperta a L'Espresso sul caso Pinelli, nota anche come Manifesto contro il commissario Calabresi. In pratica si trattava di un invito a farsi da parte, rivolto al commissario e ad alcuni membri del suo entourage. Vale la pena riportarne il testo per intero, perché i giovani di oggi comprendano che teste calde siano stati ieri i loro genitori, ora tanto bacchettoni e moralisti.

Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice. Chi doveva celebrare il giudizio, Carlo Biotti, lo ha inquinato con i meschini calcoli di un carrierismo senile. Chi aveva indossato la toga del patrocinio legale, Michele Lener, vi ha nascosto le trame di una odiosa coercizione.

Oggi come ieri - quando denunciammo apertamente l'arbitrio calunnioso di un questore, Marcello Guida, e l'indegna copertura concessagli dalla Procura della Repubblica, nelle persone di Giovanni Caizzi e Carlo Amati - il nostro sdegno è di chi sente spegnersi la fiducia in una giustizia che non è più tale quando non può riconoscersi in essa la coscienza dei cittadini. Per questo, per non rinunciare a tale fiducia senza la quale morrebbe ogni possibilità di convivenza civile, noi formuliamo a nostra volta un atto di ricusazione.

Una ricusazione di coscienza - che non ha minor legittimità di quella di diritto - rivolta ai commissari torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici indegni. Noi chiediamo l'allontanamento dai loro uffici di coloro che abbiamo nominato, in quanto ricusiamo di riconoscere in loro qualsiasi rappresentanza della legge, dello Stato, dei cittadini.


Luigi Calabresi. Secondo qualcuno sarebbe stato proclamato santo. Il Vaticano smentisce, ma quest'immagine parla chiaro.

Non vale la pena invece riportare l'elenco di tutti i 757 firmatari[2]. Ci limitiamo a dire che alcuni di essi, qualche anno dopo, ritrattarono la propria sottoscrizione, perché si deve seguire il corso del vento, anche se cambia repentinamente direzione.

« Non discuto i contenuti del comunicato, ma la sua forma: è scritto veramente col culo. La mia domestica filippina l'avrebbe fatto senz'altro meglio! »
« Non è che adesso rompono i coglioni a me per la morte di Calabresi? »
« Secondo me sì. Ho fatto bene a non firmare! »
(Giampaolo Pansa, che in effetti non firmò.)
« Credevo di aver firmato per la libera diffusione dei pornazzi di Tinto Brass! »
« Anch'io! »
(Tinto Brass.)
« Ah, non era per quello? Allora non ho mai firmato! »

La petizione rese Calabresi ancora più isolato e colpevolizzato: a un certo punto stava per convincersi di essere davvero responsabile della morte di Pinelli. Per di più il quotidiano "Lotta Continua", organo dell'omonimo raggruppamento extraparlamentare, continuava a tartassarlo, giungendo a minacciarlo di morte dalle sue colonne.
Calabresi fu ucciso il 17 maggio 1972. Quattro membri di Lotta Continua sono stati condannati definitivamente come mandanti ed esecutori del delitto.

« Non volevo mica ammazzarlo! Volevo solo vandalizzargli la macchina, non mi ero accorto che era a bordo! In ogni modo, ero in compagnia di quegli altri tre! »
(Il pentito Leonardo Marino, che vede il sole a scacchi insieme a Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri.)

La morte di Calabresi aveva tuttavia fatto comprendere agli inquirenti che sarebbe stato più facile far passare un cammello nella cruna di un ago che trovare la verità su piazza Fontana.

"Nino il fascista"

Una rarissima immagine che mostra il piccolo Antonio "Nino" Sottosanti girato a parlare con un tizio pelato col cappello buffo.

Nell'ambito delle indagini e delle inchieste giornalistiche sulla strage emerse il nome di Antonio Sottosanti, noto agli anarchici come "Nino il fascista", ai fascisti come "Nino la zecca", alle zecche come "quello che puzza come un cane bagnato", al SID come "Agente KSD/VI", agli amanti della moglie come "quel cornuto di tuo marito".
Dopo la Seconda Guerra Mondiale aveva lavorato in diversi paesi europei, per poi arruolarsi nella Legione straniera francese come 1° Addetto alla cammella Giusy. In seguito fu trasferito al reparto informativo della stessa, perché parlava un dialetto goriziano (sua terra d'origine): il furlan da Bassa. Grazie a questo idioma, conosciuto da una manciata di persone, i messaggi cifrati restavano tali. Tornò in Italia nel 1966.
Sottosanti aveva una buona somiglianza con Valpreda, tanto che quest'ultimo si trombava la moglie dell'altro senza che lei sospettasse nulla, o almeno così la dava ad intendere. Guido Giannettini (alias Agente Z), Nico Azzi (detto "NAzzi") e Pierluigi Concutelli (detto "quel pazzo malato che traffica sempre con gli esplosivi") avevano parlato dell'uso di un militante di destra come sosia dell'anarchico. Secondo questa tesi il sosia venne utilizzato, dai servizi deviati o dai gruppi di destra, per portare la valigia con la bomba sul taxi e far ricadere quindi la responsabilità della strage sugli anarchici. In effetti, la testimonianza del tassista rende plausibile questo scenario:

« Aveva una maglietta con una grossa A in un cerchio stampata sopra, si è lascato cadere un foglietto con su scritto Metti la bomba e allontanati in fretta e cantava continuamente "La ballata di Sante Caserio". »
(Testimonianza di Cornelio Rolandi.)

Questo porterebbe a considerare Valpreda intelligente come un paguro, oppure è chiaramente un depistaggio. Lo stesso Sottosanti, intervistato da Paolo Biondani, giornalista del Il Corriere della Sera, nel giugno 2000, affermerà di essere comunque a conoscenza di alcuni retroscena degli avvenimenti, ma di non volerli rivelare:

« ...di certi fatti io fui testimone oculare, ma i miei segreti li porterò nella tomba! »
(Antonio Sottosanti.)
« Ma allora che cazzo mi hai chiamato a fare?... Sei uno stronzo! Ho "cannato" anche gli amici del calcetto, accidentiattè!!! »
(Paolo Biondani.)

Antonio Sottosanti morì nel luglio 2004, qualcuno ha incaricato alcuni "tombaroli" di controllare se nel loculo ci sono questi benedetti segreti.

L'agente Zeta

Il malefico agente Zeta.

Tanto per fare chiarezza, non ci stiamo riferendo all'agente Z dei Men in Black (anche se è parecchio "neretto" pure lui). Parliamo del giornalista e attivista di estrema destra Guido Giannettini, trasferitosi da alcuni anni al camposanto di Taranto e, da allora, chiuso in un mutismo di tomba. Non è che quando era vivo parlasse poi tanto, era anche un agente segreto del SID, quindi tenuto a non rivelare nulla nemmeno sotto tortura. Oddio, fisicamente era molto in antitesi con la figura del "duro" presente nell'immaginario collettivo, un "pacioccone panzerottuto"

basso un metro e un mandarino, un Ugo Fantozzi con licenza di uccidere e sparare stronzate.
Nel maggio del 1965 partecipa ad un convegno a Roma, l'opuscolo recita: "Prospettive d'impiego dei sociopatici", in realtà nulla ha a che fare con la psicologia o la sociologia, è organizzato dal SIFAR[3] e sono tre giorni di approfondimento sulla "guerra rivoluzionaria". Con la sua relazione, il nano malefico introduce le basi teoriche della strategia della tensione. Da quel momento la sua vita cambia radicalmente.

  • Ottobre 1965, viene assunto dal SID assieme ad altri partecipanti al convegno di Roma. La paga è quella che è ma, col tesserino che gli hanno dato, ha i buoni benzina ed entra gratis al circo, il problema poi è uscirne.
  • Giugno 1966, pubblica assieme a Pino Rauti "Le Mani Rosse Sulle Forze Armate", un libello polemico con contenuti alla "Toghe rosse" (per capirci).
  • Aprile 1968, partecipa ad un viaggio in Grecia insieme a 51 studenti italiani neo-fascisti. La metà di loro, tornati da Atene, si convertono all'anarchismo o al comunismo. Questo è spiegabile in due modi: Giannettini è un pessimo docente, oppure la cosa è finta come le tette di Francesca Cipriani.
  • Maggio 1969 invia un rapporto al SID in cui avvisa che "sono in preparazione attentati in luoghi chiusi", non si capisce se per metterli in allarme o tranquillizzarli.
  • Dicembre 1971, in una cassetta di sicurezza di Giovanni Ventura, vengono rinvenuti documenti di sicura provenienza dei servizi segreti italiani, uno di questi reca la sigla KSD/VI M ed il numero progressivo 0281.
  • Maggio 1971, la magistratura milanese ordina la perquisizione dell'abitazione di Giannettini, viene trovato il documento KSD/VI M N° 0282. Sul primo c'era scritto "Daje!" e sul secondo "Bravo!". Nel frattempo, l'agente Zeta era stato fatto fuggire a Parigi, il 9 aprile, dal capitano Antonio Labruna (ufficio D del SID).
  • Gennaio 1974 viene emesso un mandato di cattura nei suoi confronti. Ad aprile Labruna lo raggiunge a Parigi per rifornirlo di denaro (visto che lui aveva speso una fortuna a troie), quindi sparisce di nuovo.
  • 14 agosto 1974 si costituisce al consolato italiano di Buenos Aires, attualmente è a segreto di stato.

E le Brigate Rosse dove le mettiamo, eh?

Le Brigate Rosse intendevano acquisire il favore delle masse attraverso l'imposizione di un vestiario appositamente dedicato.

Le Brigate Rosse furono fondate nel 1970 e con la strage di piazza Fontana non c'entravano un piffero, tuttavia decisero di occuparsene, tra una sparatoria e l'altra, realizzando un'inchiesta per conto proprio. In seguito ebbero a pentirsi di quest'idea. Nel 1974 l'inchiesta fu rinvenuta in un loro covo, ma per qualche strana ragione agli inquirenti che indagavano sulla strage ne venne messa a disposizione una porzione assai esigua, la parte restante fu ceduta ai pescivendoli del mercato ittico per avvolgere le orate.
I brigatisti avevano raggiunto le seguenti conclusioni:

  • Gli esecutori materiali erano stati gli anarchici
  • L'intenzione di questi era solo compiere un atto dimostrativo, ma avevano mal calcolato i tempi, senza tenere conto che molta gente si recava in banca per scaldarsi anche oltre l'orario di chiusura, visto che davvero in pochi potevano permettersi di effettuare versamenti
  • Esplosivo, timer e inneschi sarebbero stati gentilmente offerti da un gruppo di estrema destra[4]
  • Pinelli si sarebbe davvero suicidato per il rimorso di aver toccato la mano del fascista che gli consegnava l'esplosivo per l'attentato

Le Brigate Rosse non diffusero la loro inchiesta ufficialmente per motivi di opportunità politica, in realtà perché esse stesse si rendevano conto che era un'immane cazzata con cui il mondo intero si sarebbe pulito il retto.
Durante il suo periodo di clausura coatta negli ostelli dei brigatisti, Aldo Moro ebbe modo di confrontarsi con loro sulla strage, un po' per passare il tempo, un po' perché era alquanto logorroico. Secondo la sua tesi, erano i rami deviati del SID, il servizio segreto, i veri responsabili, non solo della strage, ma anche della strategia della tensione. Questo perché, a suo dire, il SID era un ricettacolo di fascisti. Moro descrisse minuziosamente ai brigatisti le sue idee riguardo alla strage, parlando ininterrottamente per 72 ore consecutive. I suoi carcerieri furono colpiti da furiosi attacchi di cefalea trapanante a grappolo, contro la quale nulla potevano i più potenti analgesici. Fu allora che le decisero di farlo tacere per sempre.

Nel 1980, durante uno dei tanti trasferimenti tra tribunali e procure, il dossier delle Brigate Rosse sparì nel nulla, per riapparire nel 1992 in mezzo una grossa quantità di materiale cartaceo da eliminare, perché ritenuto non importante. Il suo destino, inesorabilmente eseguito da un agente troppo zelante, si compì all'interno del tritacarte.

I processi

È una buona o una cattiva notizia?

Nel corso degli anni si susseguirono ben sette processi che videro coinvolti esponenti ora dell'estrema destra, ora dell'estrema anarchia. Nessun imputato è stato ricosciuto colpevole, essendo stato assolto di volta in volta per insufficienza di prove, piuchesufficienza di grana, prescrizione non medica. Alcuni esponenti dei servizi segreti furono condannati per depistaggio, sebbene il significato di questo termine sia tuttora oggetto di aspri dibattiti. A dire il vero, qualcuno ha ammesso qualcosa.

« Me lo ricordo come fosse ieri: io, due fanti, un alfiere e la regina, abbiamo organizzato la strage con estenuanti riunioni notturne in cui il caffè e le Marlboro scorrevano a fiumi, quando tornavo a casa mia moglie s'incazzava di brutto perché puzzavo come una ciminiera dell'Italsider! »
« E lo dici adesso? Non sai che ormai possiamo darti solo la prescrizione? »
(Gli investigatori, in tono di bonario rimprovero.)
« Oh, cazzo, scusate, mi dispiace... »
(Il Digilio mentre faceva il gesto dell'ombrello.)
  • Lo stesso Digilio, cinque anni prima, aveva raccontato di una confidenza fattagli da Delfo Zorzi, suo camerata di neofascio, che gli raccontava di come avesse egli stesso piazzato l'ordigno nella banca. Peraltro, Zorzi emigrò in Giappone nel 1974, divenendone poi cittadino non estradabile. Quindi, ciccia.
  • Il 3 maggio 2005 la Corte di Cassazione ha definitivamente assolto gli ultimi indiziati, gli ordinovisti Delfo Zorzi (sempre lui), Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, scrivendo però nella sentenza che con le nuove prove acquisite dopo i processi del 1972, cassati da essa stessa nel 1987, ora sarebbero sicuramente in galera i neofascisti Franco Freda e Giovanni Ventura, che in quegli anni ispirarono ad Antonello Venditti la famosa canzone Bomba o non bomba. Nessun nuovo procedimento giudiziario è attualmente in corso nei confronti di costoro, perché tale condanna giunge, con lieve ritardo, oltre il terzo ed ultimo grado di giudizio, dopo il quale non si può riprocessare la stessa persona per lo stesso reato. E vaffanculo.
  • Ancora oggi si discute della morte di Pinelli. Talvolta la carenza di argomenti di discussione fa fare questo tipo di scelta. Non così accade per Valpreda, scomparso nel 2002 per cause naturali.

Per non dimenticare

Dispiace che queste persone non possano leggere questa pagina... ma se potessero la strage non si sarebbe verificata, quindi la pagina non esisterebbe. Ok, ho sprecato un'occasione d'oro per tacere.

Note

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  1. ^ Si invita chiunque abbia avuto a che fare con una banca ad ammettere serenamente di averlo pensato almeno una volta nella vita.
  2. ^ Chi volesse cavarsi questa curiosità e anche la vista, può sbirciare qui.
  3. ^ Agenzia di spionaggio militare, divenuta dal 1966 SID, da cui poi sono nati il SISDE e il SISMI.
  4. ^ Se poi qualcuno si azzarda a dire "Rossi, bianchi, neri, sono tutti compari tra di loro" viene tacciato di qualunquismo.

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