Angelo Jacopucci

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«Ti spiezzo in due... no, vabbè, scherzo!»
« Ma nella boxe bisogna necessariamente prendersi a pugni? Perché? Non si potrebbe fare per finta? »
(Angelo Jacopucci.)

Angelo Jacopucci (parto eutocico, 12 dicembre 1948 - troppi cazzotti tutti insieme, 22 luglio 1978) è stato un pugile italiano autoproclamatosi apostolo della non-violenza, che intendeva propagandare e diffondere nel mondo della boxe.
A distanza di anni si può tranquillamente affermare che il suo messaggio pacifista non abbia attecchito come lui sperava.

Le prime botte e l'illuminazione

Per quelli che non hanno il senso dell'umorismo, su Wikipedia è presente una voce in proposito. Angelo Jacopucci

Nato a Tarquinia, terra d'Etruschi, venne ben presto a contatto con le carinerie e i modi garbati e affettuosi tipici della sua gente: le sue giornate iniziavano regolarmente con lo schiaffo del buongiorno e regolarmente finivano con la pedata della buonanotte, somministrategli personalmente dal padre, che era uno degli esemplari più mansueti della zona. In età scolare fu preso di mira da un bullo che si divertiva a pestarlo sempre sullo stesso callo: precorrendo i tempi se ne lamentò col padre, ma questi gli rifilò il manrovescio didattico dicendogli:

« Ragazzo, non siamo ancora negli anni 2000, devi arrangiarti da solo! »
Jacopucci (a destra) in allenamento col suo sparring partner preferito.

Il giovane Angelo si arrangiò da solo: affrontò il bullo e lo stese con un solo diretto sul naso. In effetti era un bullo tutto chiacchiera e distintivo. Tuttavia questo avvenimento aveva sviluppato in lui la consapevolezza di poter dire la sua con i pugni, e magari anche di essere ascoltato, visto che quando parlava non se lo cagava nessuno.
Perciò decise di frequentare la locale palestra. Sviluppò in breve la sua tecnica, che poteva riassumersi in due punti fondamentali:

  1. Non prenderle
  2. Non darle

Se il primo punto è facilmente comprensibile, il secondo si spiega con l'indole pacifista di Jacopucci. Egli vedeva, nell'offesa fisica all'avversario, un insulto alla dignità dell'uomo e un ingiustificabile interesse della chirurgia plastica, che allora più di oggi costava un botto di soldi e solo pochi campioni potevano farvi ricorso senza doversi prostituire.

Insomma, per Jacopucci i valori della boxe andavano ribaltati: non vince chi mena di più, bensì chi mena di meno[non volevo, giuro!]. Se uno non mena affatto è anche meglio. Certo, tutto ciò andava a cozzare contro il concetto stesso di pugilato, ma era un dettaglio. Andava anche a detrimento dello spettacolo, ma per Jacopucci la boxe non era uno show: era una missione.

La breve carriera

« Vincere senza colpire: non ci ha mai pensato nessuno! »
(Angelo Jacopucci.)

Esordì nei professionisti l'8 luglio 1973, battendo ai punti l'inglese Lawrence Ekpeli, un turista smarritosi tempo prima sugli Appennini.

Per il suo modo di combattere, Jacopucci veniva spesso paragonato a un coniglio dalle riviste specializzate.

La carriera di Jacopucci procedeva tranquillamente: batteva senza sforzo i suoi avversari, ma ciò che lasciava interdetti gli addetti[neanche questo volevo, giuro!] ai lavori era la noia mortale tipica dei suoi incontri. Il fatto è che Jacopucci, in ossequio al suo credo che rifuggiva la violenza, colpiva assai di rado i suoi avversari, limitandosi a schivare i loro colpi fino alla fine del match. Vinceva sempre per sfinimento dell'avversario. Le riviste specializzate sparavano a zero su di lui: Mimmo Sergozzoni, cronista del settimanale Uppercut, arrivò a scrivere Jacopucci Ciccipucci, sembri la Fracci, ti manca solo il tutù, riguardo alle sue movenze per schivare i colpi avversari, e Vogliamo il sangueeee!!!!!, al termine di un incontro in cui Jacopucci e il suo avversario si erano colpiti in tutto 8 volte per 15 riprese.

La stampa sportiva lo aveva soprannominato Angelo biondo, ma era un modo garbato di dargli del ricchione. Altri lo chiamavano Clay dei poveri, sebbene tra lui e il biondino dei Ricchi e Poveri non vi fosse alcuna somiglianza.

Si laureò campione italiano ed europeo dei pesi medi quasi senza colpire gli avversari e senza mai essere colpito da questi. Il suo allenatore era spesso costretto a buttare via cerotti e medicamenti perché scaduti, senza averne mai aperto le confezioni.
Si andò avanti così fino al 19 novembre 1977, quando sulla sua strada incontrò uno che per la prima volta lo menò sul serio: un certo Frank Lucas, mungitore britannico, lo sconfisse per knock-out alla seconda ripresa. In meno di sei minuti Jacopucci aveva preso in una sola volta tutti i pugni che avrebbe dovuto prendere in carriera fino a quel momento. Per qualche mese sentì il citofono suonare in continuazione e discusse a lungo di meccanica quantistica col centrotavola del soggiorno, chiamandolo Arturo.

A partire dalla primavera del 1978 non udì più scampanellii nella testa e non sapeva più rispondere a quesiti sulla meccanica quantistica: doveva essersi ripreso completamente. Per verificarlo, tornò sul ring per difendere il titolo italiano. L'impresa riuscì facilmente, addirittura sconfisse l'avversario per ko alla dodicesima ripresa. Strano, ma vero: aveva reagito a una provocazione dell'avversario, che lo aveva accusato di furto di smalto per unghie presso la Standa. Cose del genere non si potevano dire a Jacopucci, infatti reagì sul ring, menando come un fabbro per la prima volta in vita sua, non prima di aver mostrato all'avversario gli scontrini che comprovavano il regolare acquisto degli smalti. La facile vittoria lo convinse di poter tornare a gareggiare per il titolo europeo. Non lo sapeva, ma nel suo cranio il cervello aveva già emesso un'ordinanza speciale di limitazione della circolazione dei flussi sanguigni a causa della fragilità, indotta dai colpi ricevuti, dei vasi sanguigni.

La tragica morte

Alan Minter in procinto di salire sul ring.

Jacopucci doveva contendersi il titolo europeo dei pesi medi con un certo Alan Minter, una specie di Bam-Bam britannico. Forte come Bud Spencer e intelligente come un lavandino, era animato dall'unica intenzione che il suo cervello gli sapeva indicare: pestare l'avversario a più non posso, fino a trasformarlo in ragù al gusto di guantoni. La sera del 19 luglio 1978 i due si sfidarono in quel di Bellaria, nella riviera romagnola.
L'incontro per lunghi tratti fu equilibrato, nel senso che da una parte Jacopucci schivava la maggior parte dei colpi, mettendone addirittura a segno qualcuno; dall'altra Minter non si capacitava della faticaccia che stava facendo, senza ottenere alcun risultato. Durante la dodicesima ripresa, Minter perse ogni freno inibitore e si lanciò inferocito su Jacopucci. Questi, nello stesso momento, al termine di una lunga riflessione, era giunto alla seguente conclusione:

Il Male sperò fino all'ultimo che Jacopucci potesse tornare sul ring.
« Se lo affronto a viso aperto posso batterlo! »

Peccato che, a causa di un'istruzione scolastica non proprio esemplare, avesse interpretato alla lettera il significato dell'espressione "a viso aperto". Quindi abbassò entrambe le braccia, restando con la guardia del tutto scoperta. Ad Alan Minter non parve vero: in 15 secondi scaricò sul cranio di Jacopucci 1720 terribili colpi. Né l'arbitro, né l'angolo di Jacopucci ritennero di dover intervenire:

« Dovete capirci: finalmente Angelo ci stava regalando un match avvincente, dopo tanta noia! »
(L'arbitro e il "secondo" di Jacopucci)

Quindi l'incontro proseguì. Di un solo pugno. Quello che mandò definitivamente al tappeto Jacopucci. Dopo che fu contato, incredibilmente si rialzò. Sembrava essersi ripreso, tanto che insistette per partecipare alla cena finale, che è un po' come il terzo tempo del rugby. Dopo cena, vomitò più volte addosso a Minter, che però non si scompose più di tanto:

« Pensai (che per me è già una parola grossa) che avesse bevuto un po' troppo, o che l'avesse fatto apposta perché rosicava: anch'io ho vomitato addosso ai colleghi che mi hanno battuto! »
(Alan Minter)

Invece Jacopucci, di lì a poco, cadde in un coma profondo. Trasportato all'ospedale di Bologna, fu sottoposto a un lungo intervento chirurgico, durante il quale furono estratti dalla sua testa 546 coaguli di sangue rappreso, ma ormai era troppo tardi. Angelo Jacopucci si presentò ad insegnare ai suoi omonimi a boxare il successivo 22 luglio.

Le conseguenze della morte nel mondo della boxe

« Uffa! Così ci avete tolto tutto il divertimento! »
(La parte sana del tifo pugilistico.)

Al fine di evitare il ripetersi di eventi luttuosi, furono apportate importanti modifiche al regolamento della boxe:

  • le riprese di un titolo europeo furono portate a 12, contro le 15 originarie. Si era notato che, a partire dalla dodicesima ripresa, i pugili erano davvero suonati, al di là della facile battuta;
  • fu richiesta obbligatoriamente la TAC cranica di ciascun pugile, nell'ambito delle visite mediche rituali. Se l'esame documentava l'assenza del cervello, fatto tutt'altro che infrequente, si poteva tirare un sospiro di sollievo;
  • non furono più ammessi incontri in zone distanti più di un'ora da un centro neurologico. Qualcuno propose di organizzare gli incontri direttamente in sala operatoria, ma incontrò la ferma opposizione di medici e infermieri.