Strage di Capaci

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La notizia fece il giro del mondo, ne parlò anche un quotidiano cinese.
Checklist dello sta della mafia.

La strage di Capaci è l'attentato mafioso in cui il 23 maggio 1992, sull'autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci e a pochi chilometri da Palermo, persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Per alcuni quotidiani locali, come Il Pizzino e Famiglia Mafiosa, si trattava della solita strage del sabato sera, con un manipolo di impasticcati saturi di alcool che, sfrecciando a tutta velocità, avevano fatto un notevole casino. L'asfalto divelto era probabilmente dovuto alla frenata a secco, a seguito di una velocità stimata di almeno 650 km/h. Come più volte segnalato dalle prestigiose testate[citazione precauzionale], quello di questi giovani scapestrati è uno dei grandi problemi della Sicilia, oltre a siccità, mosca cavallina e traffico.

In realtà, circa 400 kg di tritolo, piazzati in un tunnel sotto la carreggiata, distrussero la corsia in cui viaggiava il corteo, causando la strage. Alcuni turisti giapponesi, anch'essi provenienti dall'aeroporto di Punta Raisi, si fermarono a fare delle foto, convinti che l'enorme cratere che avevano davanti fosse l'Etna.

La prima teoria investigativa parlò di "tragica casualità", il vero obiettivo era proprio disastrare l'autostrada, per sbloccare l'appalto sulla manutenzione del tratto. L'ipotesi fu subito scartata perché la riunione della cupola, per la spartizione dei lavori pubblici, si era tenuta a gennaio e tutto era stato deciso in perfetta armonia (come confermato dalle sottoscrizioni del verbale di assemblea). La reazione dello Stato non si fece attendere: per evitare altri danni al patrimonio tolse il 14% delle scorte ai magistrati.

La notizia della strage, che sconvolse l'intero Paese, fu festeggiata dai mafiosi nel carcere dell'Ucciardone. Questo ci porta a due inquietanti interrogativi:

« Perché i secondini non hanno represso questo incivile comportamento? »

Ma soprattutto,

« Perché due giorni prima, nessuno ha indagato sull'arrivo delle bottiglie di Dom Pérignon? »

Nel maggio del 2002 sono stati riconosciuti colpevoli 24 imputati, nel 2008 altri 12 (ritenuti i mandanti), tra loro nessuno che appartenesse ad apparati deviati dello stato o politici di rilievo. La cosa sembrò da subito sospetta, ma ha recentemente fatto chiarezza il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, che nel 2013 ha dichiarato:

« Da questa indagine non emerge la partecipazione alla strage di Capaci di soggetti esterni a Cosa nostra. Stando a questa indagine la mafia non ha preso ordini e, da questa inchiesta, non vengono fuori mandanti esterni. Possono esserci soggetti che hanno stretto alleanze con Cosa nostra, inoltre, alcune presenze inquietanti sono emerse nel corso dell'inchiesta sulla strage di via D'Amelio, ma ripeto: in questa indagine non posso parlare di mandanti esterni! Capisciammè... non ne posso proprio parlare! »
(Il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari nella sua dichiarazione alla stampa.)
Per quelli che non hanno il senso dell'umorismo, su Wikipedia è presente una voce in proposito. Strage di Capaci

Storia

"Sì, posso capirlo, ma non è che può essere sempre colpa mia".

Il 21 giugno 1989 Falcone era già stato oggetto di un altro attentato, presso una villa al mare affittata per le vacanze estive e in cui stava per ospitare due suoi colleghi: Carla del Ponte e Claudio Lehmann. I tre, messi assieme, avevano scassato la minchia al 78% della popolazione mafiosa europea, per farli fuori c'era una coda di attesa di tredici mesi, poco meno di una TAC.

I sicari piazzarono un borsone con cinquantotto candelotti di tritolo in mezzo agli scogli, al fine di conseguire tre importanti risultati:

  1. assassinare Falcone, allorché fosse sceso dalla villa sulla spiaggia per fare il bagno;
  2. uccidere i suoi colleghi, che stavano indagando sul riciclaggio di denaro che interessava la tratta Sicilia-Svizzera;
  3. procurarsi mezza quintalata di "vietatissimi" datteri di mare, previsti nel menu della comunione di una nipotina di Antonio Madonia.

L'attentato fallì. Inizialmente venne ritenuto che i killer non fossero riusciti a far esplodere l'ordigno a causa di un telecomando difettoso. L'ipotesi era avvalorata dal successivo ritrovamento di un pedalò alla deriva, nel quale fu rinvenuto il radiocomando di un robottino Emiglio. Vent'anni dopo, nuove ipotesi investigative avallerebbero invece la ricostruzione che l'ordigno venne reso inoffensivo durante la notte e, in un primo momento, si pensò ai granchi. In realtà, gli agenti Antonino Agostino ed Emanuele Piazza[1] (fintisi sommozzatori) l'avrebbero manomesso, salvando così la vita al giudice e a 300 metri di costa. Agostino e Piazza verranno assassinati poco dopo: il primo il 5 agosto 1989, crivellato di colpi assieme alla giovane moglie; il secondo il 16 marzo 1990, tentò di nuotare (legato) in un fusto di acido in un casolare nelle campagne di Capaci[2]. Vincenzo Agostino, il padre di Antonino, ha giurato di non tagliarsi più la barba finché non verrà scoperta la verità sulla morte del figlio e della nuora, attualmente la raccoglie in un grosso zaino dietro la schiena, tra qualche decennio dovrà probabilmente acquistare una carriola.

La "Commissione"

Una delle ipotesi investigative che poteva giustificare tanto accanimento da parte di Riina.

Verso la fine del 1991 si tennero alcune riunioni dalla cosiddetta "Commissione interprovinciale" di Cosa Nostra. L'organo è formato da sei rappresentanti mafiosi di ogni provincia siciliana, escluse quelle di Messina, Siracusa e Ragusa, dove la presenza di Cosa Nostra è tradizionalmente assente (ma è in possesso di regolare certificato medico).
Questo organismo direttivo si riuniva solitamente per deliberare su importanti decisioni riguardanti gli interessi mafiosi di più province, oppure dopo una telefonata di Giulio Andreotti.

In quel periodo a presiedere le sedute era il boss Salvatore Riina.

« Parra ca parra 'u parrinu pariemu parrini ca parranu[3]. »
(L'invito di Riina a smettere di fare tanti discorsi e passare ai fatti.)

All'ordine del giorno c'era da discutere la concreta possibilità che, a gennaio, la Cassazione confermasse gli ergastoli del Maxiprocesso. Visto che non poteva finire 1-1 furono pianificate due linee di condotta.

Uno dei sicari inviati a Roma (abilmente camuffato da turista tedesco).

Nel febbraio 1992 venne inviato a Roma un gruppo di fuoco, composto da mafiosi provenienti da Brancaccio, Trapani e Montecitorio, con l'obiettivo di uccidere Falcone e il ministro Claudio Martelli (tanto per "buttarla in caciara"[4]). Secondo gli ordini dei boss, le vittime dovevano prima essere ferite con l'uso di kalashnikov e lupara poi, per indirizzare le indagini verso una loggia massonica, finite con un maleppeggio. Il commando alloggiò in un prestigioso albergo della capitale, a metà strada tra il tribunale e il parlamento, entrambi raggiungibili a piedi (come risaputo, a Roma i taxi costano veramente uno sproposito). La spedizione fallì perché i killer, in attesa di ricevere l'ordine di eseguire gli omicidi, avevano mandato a pulire le armi nella lavanderia dell'hotel.

Al loro rientro furono accolti con paterna benevolenza, vennero risparmiati i parenti di terzo grado.

La preparazione

L'attentato fu preparato contando sulla consueta omertà.

Riina era contrario al "commando romano" da sempre, accolse il fallimento con malcelato sarcasmo:

« Nuttata persa e figghia fìmmina[5]. »
(Riina che aveva sempre un proverbio pronto.)

Il boss voleva che l’attentato a Falcone fosse eseguito in Sicilia, adoperando l'esplosivo. Desiderava che fosse qualcosa di clamoroso, che servisse a far capire che: "nessuno poteva sentirsi al sicuro". Per non incappare in un'altra "minchiata" affidò l'incarico a Giovanni Brusca, detto "lo scannacristiani", un individuo di provata affidabilità, con più problemi a scegliere un gelato che a sciogliere un bambino nell'acido. Il piano era semplice: scavare un tunnel sotto l'autostrada e collocarci tanto esplosivo da mandare Falcone nell'iperspazio. Per lo scavo venne indetta regolare gara di appalto e, siccome rientrava nella classificazione "grandi opere", si fece anche domanda per i contributi statali a fondo perduto. Per ottenerli era tuttavia necessaria la certificazione antimafia, e questo poteva rivelarsi una seccatura. Ne fu stampato uno falso in una tipografia di Carini, un lavoro eccellente, magari il timbro della Prefettura di Mirabilandia poteva essere evitato, uno sfottò inutile che poteva mandare tutto a puttane.

I soldi furono erogati con insolita velocità e finalmente si poté procedere. Per non fare le cose "alla Carlona", e rischiare il fallimento dell'impresa, fu costituito un nucleo operativo spietato ma competente. Ne facevano parte: un artificiere, un laureato in telecomandi, sei picciotti, una talpa e lo stesso Brusca, tutti con regolare contratto a progetto (come verbalizzato durante un blitz dell'Ispettorato del Lavoro). La sera prima dell'attentato Riina chiamò il suo fido e, guardandolo con severità, gli disse:

(Riina che usa un altro proverbio, ma di difficile collocazione contestuale.)

L'esecuzione

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, un complice avvisò gli esecutori dell'arrivo del giudice Falcone.

È il 23 maggio 1992, dopo aver passato una notte insonne, riflettendo sulle parole del boss della sera prima, Giovanni Brusca si alza e, come al solito, scende a far colazione al bar sotto casa. Gli giunge una chiamata dal suo amico Calogero, che gli rammenta la partita a calcetto del pomeriggio. Nel chiasso del locale è costretto ad alzare la voce.

« MINCHIA NON POSSO... MI SENTI?... DEVO AMMAZZARE UN GIUDICE!... AMMAZZARE! A COME AFFANGULO, EMME COME MINCHIA... SI, BRAVO, AMMAZZARE! SPOSTIAMO A DOMANI, CHIAMA GLI ALTRI! »
(Intercettazione telefonica dell'utenza 33U-47J78§ù, intestata a William Shakespeare.)

Dopo aver passato il resto della mattinata a giocare a zecchinetta, Brusca passa a prendere Santino Di Matteo e Antonino Gioè, comperano birre e panini, e si recano sulle colline sopra Capaci. Passano alcune ore ed arriva la telefonata di Raffaele Ganci, complice dislocato all'aeroporto di Punta Raisi. Ovviamente, gli smaliziati criminali comunicano in codice.

« Grande falco è salito sulla zucca bianca, le altre vongole stanno dietro, in due babaco di scorta. »
(Ore 17:40. Intercettazione telefonica dell'utenza 32X-¥¥47©©88s, intestata a Giuseppe Mazzini.)

Appena fuori l'aeroporto, Gioacchino La Barbera (anch'egli membro della cosca di Altofonte) inizia a seguire il corteo blindato, mantenendosi in contatto telefonico con Santino Di Matteo.

« Grande falco è uscito dal nido, gli sono proprio dietro, fate attenzione che c'ho famiglia. »
(Ore 17:50. Intercettazione telefonica dell'utenza 34$-1237FFFF, intestata a Pino Fantaghirò.)

Ore 17:58, Giovanni Brusca aziona il telecomando e i circa 400 kg di tritolo compiono l'ecatombe. Segue immediata chiamata al boss.

« Allora è tutto a posto?! Avete abbattuto Grande falco?... Bravi, bravi. Ora che tornate, fermatevi a prendere il latte. »
(Ore 17:59. Intercettazione telefonica dell'utenza 34£-66òàè%%7, intestata a Grande Puffo.)

Indagini e processi

Un recente provvedimento del governo per salvare Marcello Dell'Utr combattere la mafia.

Nel 1993 la Direzione Investigativa Antimafia riesce ad individuare e ad intercettare Antonino Gioè, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera, nelle loro telefonate fanno riferimento all'attentato di Capaci. Dopo essere stato arrestato, Gioè si suicida nella sua cella, temendo una vendetta trasversale per essere stato un "quaquaraquà". Per farla finita utilizza l'unico sistema disponibile: dare della checca al suo compagno di cella Vito Cannazza, campione regionale di gambizzazione e stupratore seriale di orsi.

Di Matteo e La Barbera sono dei duri e "non cantano", almeno fino a quando non stanno per essere trasferiti nella cella del Cannazza, a quel punto decidono di collaborare con la giustizia e rivelano i nomi degli altri esecutori della strage. Per spingere Di Matteo a ritrattare le sue dichiarazioni, Giovanni Brusca ne rapisce il figlioletto Giuseppe, che poi strangola e scioglie nell'acido (dopo 779 giorni di prigionia). L'atto fu ritenuto così inumano che Brusca si guadagnò la Coccarda nera bordata di viola della mafia, riconoscimento fino a quel momento attribuito solo nel 1928 a Mike Anthony Cozzamara, un picciotto di New York che legò a terra moglie e figlia di uno spione, per poi passarci sopra con uno schiacciasassi.

Brusca viene arrestato il 20 maggio 1996 ad Agrigento. Inizialmente condannato all'ergastolo, dopo il suo pentimento la pena gli viene ridotta a 19 anni e 11 mesi. Sarà quindi libero nel 2020[6]. Per la strage furono ritenute colpevoli quasi quaranta persone, e una talpa.

Secondo gli inquirenti (stando alle modalità e all'alto potenziale dell’esplosivo utilizzato) per eseguire l'impresa era necessaria una preparazione di stampo militare. Su questa logica considerazione si è lavorato per vent'anni e infatti, nel novembre 2012, viene arrestato un ex agente dei servizi seg il pescatore Cosimo D'Amato. Costui avrebbe recuperato l'esplosivo da residuati bellici affondati nel mare della Sicilia. Alla notizia, gli abituali consumatori di prodotti ittici della zona (già preoccupati per il mercurio) sono terrorizzati dall'idea di mettere una triglia sul fuoco.

Commemorazioni

Per non dimenticare.

Ogni anno, il 23 maggio, si svolgono molte attività in commemorazione della strage. Tra queste vanno segnalate:

  • Messa solenne presso la Basilica di Santa Barbara a Partinico, con ingresso vietato alle donne in abito succinto, ai cani e ai politici (che vengono confinati nel chiostro assieme ai cani, nell'attesa che si compia la beata speranza).
  • Giornata dibattito, presso l'aula "Falcone" dell'ITIS Donnafugata di Terrasini, sul tema: "Ma le Fiat Croma, come andavano ai crash test?!"
  • Ogni due anni il comune di Triggiano organizza un premio d'arte contemporanea (la "Biennale Rocco Dicillo") ispirata al tema della legalità. Nell'ultima edizione, l'ambito trofeo è andato al maestro Vito Scotizzolo, con la scultura "Mai così in basso", raffigurante un mafioso nano[inversione necessaria] che caga sulla Costituzione Italiana.
  • Il tratto autostradale che fu teatro della strage viene chiuso al traffico e, presso la colonna che espone i nomi delle vittime, viene deposta una corona di fiori. Della cerimonia è incaricato il più anziano funzionario pubblico della provincia di Palermo (meglio non rischiare inutilmente giovani vite).
  • "Grigliata per tutti". L'iniziativa si tiene al quartiere Brancaccio, presso la sontuosa villa della famiglia Lo Nigro. All'ingresso occorre mostrare l'invit una fedina penale con almeno due condanne. In serata, fuochi d'artificio.

Avvertenze

Gli autori di questa voce si dissociano completamente da quanto scritto fin qui, e sono indignati che le loro parole siano state distorte da questo sito di chiaro stampo giustizialista. Quello che volevano dire non è quello che intendevano dire, quello che volevano far intendere è possibile che sia stato inteso in malo modo e comunque, anche se a buon intenditor poche parole, lo negheranno a prescindere. Il fatto che le loro case siano bruciate non ha alcun rapporto con questa dichiarazione spontanea.

Note

  1. ^ che apparteneva ai servizi segreti
  2. ^ semplice coincidenza (forse)
  3. ^ Parla che parla il prete, sembriamo preti che parlano.
  4. ^ gettare fumo negli occhi
  5. ^ tanta fatica e scarso risultato
  6. ^ chiunque abbia pensato di farci un articolo, tenga conto di questo

Voci correlate

Questa è una voce di squallidità, una di quelle un po' meno pallose della media.
È stata miracolata come tale il giorno 15 settembre 2013 col 43.8% di voti (su 16).
Naturalmente sono ben accetti insulti e vandalismi che peggiorino ulteriormente il non-lavoro svolto.

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