Strage di via D'Amelio
La strage di via D'Amelio fu un attentato di stampo mafioso[da verificare] messo in atto il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo, in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta. L'esplosione, avvenuta in via Mariano D'Amelio dove viveva la madre del giudice, avvenne per mezzo di una Fiat 126 contenente circa 100 chilogrammi di tritolo. È noto che una Fiat 126, oltre all'autista, può portare al massimo due buste di patatine e una banana, quindi l'auto è stata caricata di esplosivo sul posto. Questo porta ad una prima considerazione:
L'attentato segue di 57 giorni la strage di Capaci, in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, amico e collega di Borsellino, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta[esagerazione necessaria] tra Stato e mafia. Secondo gli agenti di scorta, via D'Amelio era considerata una strada "a rischio", tanto che era stato chiesto di procedere preventivamente alla rimozione dei veicoli parcheggiati davanti alla casa. La richiesta fu accolta dal comune di Palermo solo parzialmente, infatti venne messo un singolare divieto di sosta, che valeva per tutte le auto tranne le Fiat 126.
Oltre a Paolo Borsellino, morirono il caposcorta Agostino Catalano e gli agenti Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l'esplosione in gravi condizioni e in stato confusionale, continuava a ripetere:
Nella confusione dei soccorsi, l'agenda che il giudice portava sempre con sé e dove era solito annotare le informazioni sulle indagini, diventata famosa come “l'agenda rossa” (probabilmente perché era rossa), non venne ritrovata.
La "trattativa"
La presunta trattativa tra Stato italiano e Cosa nostra sarebbe stata una negoziazione, avvenuta probabilmente dopo la morte di Giovanni Falcone, per giungere ad un accordo che avrebbe previsto la fine degli omicidi, in cambio di un'attenuazione delle misure detentive previste dall'articolo 41 bis e uno scatolone di Game Boy. Attualmente (2013), si tende a ritenere che Paolo Borsellino sia stato assassinato anche perché veniva considerato un ostacolo a questa trattativa. Questa ipotesi è avvalorata dalle rivelazioni dei pentiti Gaspare Spatuzza e Giovanni Brusca, e da un paio di frasi ricorrenti di Borsellino, più volte enunciate nell'ambito di tali discorsi:
Ma anche la più elegante:
In effetti, l'articolo 41 bis era per la mafia una gran seccatura, perché prevedeva restrizioni indegne di un paese civile. Il condannato poteva:
- possedere un cellulare, ma con i soli numeri d'emergenza abilitati (per la ricezione invece era free e con l'opzione ricarica);
- ricevere visite, ma in presenza di un agente di polizia (scelto dal detenuto);
- collegarsi a internet, ma solo sui siti porno (e sulle chat erotiche).
Fu proprio in una di queste chat che Michele Greco, detenuto all’Ucciardone, ebbe uno strano colloquio poco prima che Borsellino fosse ucciso. Costui, usando il fantasioso nickname "Mike Atene", ebbe ad interloquire con una fantomatica "Donna nana tutta tana" . Segue trascrizione del colloquio.
- M.A.: “Allora, cosa vuoi che ti faccia bella troia?!”
- D.N.T.T.: “Mi devi levare da torno quel tipo che vuole farmi il culo.”
- M.A.: “Ma quello pratica il rapporto protetto[1], è molto difficile farlo ammalare![2]”
- D.N.T.T.: “Mi consenta, gli accordi vanno rispettati altrimenti saltano.”
- M.A.: “Va bene, se proprio deve saltare qualcosa sarà il rompicoglioni.”
- D.N.T.T.: “Ok, io mi occupo dei preliminari[3] e delle pulizie[4].”
- M.A.: “Va bene presidente!”
- D.N.T.T.: “Ma cos... shhhhh, lo sai che non devi...”
- M.A.: “Oops! Ha ragione presidente, mi scusi.”
L'intervista pericolosa
Due mesi prima di essere ucciso, Borsellino rilasciò un'intervista ai giornalisti di Canal+ Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi, esattamente il (21 maggio 1992). L'intervista fu trasmessa da RaiNews 24 tempestivamente, dopo quasi dieci anni, in un orario in cui sono svegli solo licantropi e segaioli, inoltre ne furono trasmessi solo trenta minuti, quella originale era invece di cinquantacinque minuti. Che i servizi segreti abbiano manipolato l'intervista è vergognoso, che abbiano impiegato circa otto anni per farlo è da denuncia per appropriazione indebita di stipendio pubblico.
In questa sua intervista Paolo Borsellino parlò anche dei legami tra la mafia e l'ambiente industriale milanese, facendo riferimento, tra le altre cose, a indagini in corso sui legami tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri. Sui rapporti tra l'insolito stalliere e Silvio Berlusconi invece, benché esplicitamente sollecitato dall'intervistatore con domande piene di tecnicismi incomprensibili, tipo:
Borsellino iniziò a girarci attorno e poi, con l'indagine ancora in corso, si astenne da qualsiasi giudizio concreto. Quello che appare curioso è questo:
- mentre tutti i nostri giornalisti stavano intervistando Mariano Apicella per l'ultimo singolo, solo un paio di cronisti francesi hanno fatto domande di questo tipo a Borsellino;
- i giornalisti francesi sapevano veramente "un sacco di cazzi nostri", questo porta alla logica conclusione che dei fatti era a conoscenza anche la vedova Buzzoni al quarto piano del mio condominio ma, stranamente, tra servizi segreti e forze dell'ordine nessuno sapeva un piffero (o almeno così sembrava).
Qualcuno si starà chiedendo:
Il direttore generale della Rai era all'epoca Enrico Manca, il suo nominativo fu ritrovato nelle liste degli iscritti alla loggia massonica P2[5]. Questo dovrebbe far quadrare il cerchio, se qualcosa "vi sfugge" è probabile che vi siate persi il piano di rinascita democratica di Licio Gelli che, tra le altre cose, prevedeva:
Indagini e processi
La ricostruzione delle modalità con cui fu effettuata la strage è legata alle testimonianze processuali, a cui si aggiungono quelle dei pentiti, si sottraggono quelle degli indagati, si divide per due e si fa il riporto del quoziente moltiplicato per pi greco. In pratica, dopo oltre venti anni ne sappiamo meno di zero. L'unica cosa certa è che c'era una Fiat 126 che ha fatto "bum!" Queste le principali testimonianze:
- 1994. Vincenzo Scarantino si autoaccusa di aver rubato la Fiat 126 usata nell'attentato e le offerte nel bussolotto con le candele votive presso l'altare di Santa Barbara. Assieme a Salvatore Profeta, la riempie di esplosivo e la colloca sul luogo della strage. Con loro due complici: Giuseppe Orofino (che ha procurato targa e documenti dell'auto) e Pietro Scotto (che ha manomesso gli impianti telefonici per intercettare la madre di Paolo Borsellino, così da conoscere i movimenti del magistrato). Queste informazioni, unitamente al telecomando per far detonare l'esplosivo, furono consegnate ad un uomo che era stato presentato loro come Napoleone Bonaparte, nome risultato fittizio a seguito di approfondite indagini.
- 1996. Oltre alle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, vengono acquisite quelle dei collaboratori di giustizia Salvatore Cancemi e Calogero Ganci. Dalle loro rivelazioni sembrerebbe che tra i mandanti ci fossero Salvatore Riina, Carlo Greco e il pupazzo Gnappo, la testimonianza è ritenuta in buona parte attendibile, ma non convince del tutto per quanto concerne Carlo Greco.
- 1998. Agli imputati iniziali si sono aggiunti: Giuseppe “Piddu” Madonia, Nitto Santapaola, tutti i siciliani il cui cognome finisce per "A", quelli che abitano in un civico compreso tra 12 e 94, tutti i proprietari di macchine di grossa cilindrata[6] e gli sposati con una donna che si chiama Rosaria o Immacolata. Le udienze vengono tenute nello stadio Renzo Barbera quando il Palermo gioca fuori casa.
- 2008. Il mafioso Gaspare Spatuzza inizia a collaborare con la giustizia, dichiarando che era stato lui a rubare la Fiat 126 e non Scarantino. Un altro pentito, Fabio Trachina, ha sostenuto che sarebbe stato il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano a premere il pulsante del telecomando che provocò l'esplosione. Quindici anni di indagini vanno a puttane, si decide di valutare l'attendibilità di Spatuzza interrogando i tarocchi. Dopo le visioni notturne di Prudomilla (la maga di Aci Trezza) si decide di fissare un nuovo processo.
Il 22 marzo 2013 si apre un nuovo processo davanti alla Corte d'Assise di Caltanissetta, i ruoli degli imputati (in barba alle regole che prevedevano un casting e regolari provini) vengono attribuiti a gente che passava di lì per caso.
Zone d'ombra
Nel luglio 2007, la Procura di Caltanissetta ha aperto un fascicolo per scoprire se persone legate agli apparati deviati del SISDE possano avere ricoperto un ruolo nella strage. Secondo Salvatore Borsellino (fratello di Paolo) l'allora Ministro dell'Interno Nicola Mancino era a conoscenza della causa dell'omicidio del giudice, riconducibile probabilmente alla "trattativa". Cosa tutto questo abbia a che fare con i recenti misteriosi colloqui tra Napolitano e Mancino, non lo sapremo mai, il 22 aprile 2013 le intercettazioni su Giorgio Napolitano sono state bruciate, in ottemperanza a quanto previsto dall'art. 64K e rotti, che recita testualmente: "Meglio non far sapere troppe cose alla gente, che altrimenti fanno 2+2 e capiscono tutto".
L'incontro "fantasma" tra Borsellino e Mancino
Nicola Mancino è da sempre affetto dalla Sindrome del non mi ricordo (a parte quando si tratta del numero di telefono di Napolitano), una malattia che gli ha fatto dimenticare di aver incontrato e parlato con Paolo Borsellino pochi giorni prima della sua morte, pur esistendo invece testimonianze di chi ha accompagnato il giudice fino alla soglia dell'ufficio del ministro. Inoltre, due giorni prima che venisse ucciso, Borsellino stava interrogando il pentito Gaspare Mutolo e ad un tratto disse:
Borsellino all'appuntamento trovò invece il capo della Polizia Parisi e Bruno Contrada[7], incontro dal quale Paolo uscì talmente sconvolto (come raccontò lo stesso Mutolo) da tenere in mano due sigarette accese contemporaneamente. Sulla natura del colloquio possiamo solo fare ipotesi, le più verosimili potrebbero essere:
- Parisi e Contrada hanno informato Borsellino che la martingala, che avevano giocato assieme con 8 partite, era saltata per il sospetto pareggio Inter-Ascoli 3-3;
- Parisi e Contrada hanno confidato a Borsellino di essere una coppia gay, e di volerlo coinvolgere per fare un trio;
- Parisi e Contrada hanno chiesto a Borsellino se col testamento si era messo a posto.
L'agenda rossa
Secondo i familiari e i colleghi di Borsellino, il giudice utilizzava un'agenda di colore rosso per annotare le considerazioni più importanti e private sulle sue indagini e dei colloqui. Da questa agenda non si separava mai, il giorno della strage la sua borsa conteneva anche l'agenda rossa, fatto confermato dalla moglie del Magistrato. Subito dopo l'esplosione, un video mostra l'allora capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli allontanarsi dal luogo della strage con in mano la borsa di Paolo Borsellino, appena estratta dai rottami della Fiat Croma. Questa borsa fu poi ritrovata di nuovo all'interno dell'auto, ma non conteneva l'agenda rossa. Il capitano Arcangioli avrebbe fornito versioni diverse in diversi interrogatori:
Ad ogni modo l'agenda rossa è sparita, e con essa la possibilità di capirci qualcosa.
Curiosità
"Quando si scherza si scherza", ma queste sono tutte vere[NdA]
- Nel 1963 Borsellino, col voto di 57, superò il concorso per entrare in magistratura.
- Borsellino fu ucciso esattamente 57 giorni dopo Falcone.
- Secondo la Smorfia al numero 57 corrisponde "Il gobbo"[8].
- Con il prefisso internazionale 0057 si chiama in Colombia (non c'entra nulla ma visto mai ti servisse del borotalco).
Collegamenti esterni pericolosi
COMUNICATO STAMPA
L'autore di questo articolo si dissocia completamente da quanto scritto fin qui, ed è indignato che le sue parole siano state distorte da questo sito di chiaro stampo giustizialista. Quello che voleva dire non è quello che intendeva dire, quello che voleva far intendere è possibile che sia stato inteso in malo modo e comunque, anche se a buon intenditor poche parole, lo negherà a prescindere. Il fatto che la sua casa sia bruciata non ha alcun rapporto con questa dichiarazione spontanea. |