Ratto delle sabine

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Il mito

Racconta Tito Tizio, storico romano di età anziana, che Roma, dopo la fondazione, era occupata solo da Romolo e da un coacervo di banditi, assassini, tamarri e tassisti. Mancava però qualcosa che tenesse occupate tutte queste persone dal commettere frodi e reati. In particolare, i romani misero gli occhi sulle sabine, le donne del popolo dei sabini, che vivevano tra l'alto Tevere e il resto del mondo. In realtà le donne sabine erano decisamente brutte: erano basse e tarchiate, avevano poche tette, incisivi sporgenti, naso a pippa e peli sulla schiena. Complessivamente sembravano dei koala giganti, ma in compenso erano molto simpatiche e cucinavano bene.

L'idea

Romolo allora progettò un attentato: organizzare dei giochi a cui invitare anche i sabini e rubare il famoso "ratto delle sabine", un gigantesco roditore mascotte ufficiale dei giochi sabini. In conseguenza del furto, i sabini sarebbero andati alla ricerca della loro mascotte lasciando le donne incustodite, di modo che i romani avessero via libera per fare le loro cose zozze. E così fu. Durante il lancio del cancellino, i sabini trovarono all'interno degli spogliatoi un biglietto lasciato dal ratto:

« Agliuto, sono stato ratto!,! »

I sabini allora suonarono l'allarme e si precipitarono tutti in cerca dell'enorme zoccola, lasciando le donne a badar casa. I romani allora si fiondarono sulle sabine e, dopo un estenuante corteggiamento, riuscirono a concupirle. Dopodiché, se ne ritornarono soddisfatti nella loro città a rubarsi e truffarsi a vicenda.

Dopo 9 mesi, le sabine tornarono a Roma con tanti bambini in braccio, tutte accompagnate dai loro padri incazzati come poiane. I genitori sabini costrinsero i romani a sposare le loro figlie, cosicché fu fondata la società romana e finalmente fu trovato qualcuno che mantenesse pulita la città.