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La '''Strage di Capaci''' è l'attentato mafioso in cui il [[23 maggio]] [[1992]], sull'autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci e a pochi chilometri da [[Palermo]], persero la vita il magistrato antimafia [[Giovanni Falcone]], sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. All'attentato sono sopravvissuti: Paolo Capuzzo, Angelo Corbo, Gaspare Cervello, Giuseppe Costanza e [[gente che passava di per caso]] (come i proprietari delle due auto distrutte nella corsia opposta, su cui aleggia un alone di mistero).<br /> La notizia della strage, che sconvolse l'intero Paese, fu festeggiata dai mafiosi nel [[carcere]] dell'Ucciardone. Questo ci porta a due inquietanti interrogativi:
La '''Strage di Capaci''' è l'attentato mafioso in cui il [[23 maggio]] [[1992]], sull'autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci e a pochi chilometri da [[Palermo]], persero la vita il magistrato antimafia [[Giovanni Falcone]], sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Circa 400 kg di tritolo, piazzati in un tunnel sotto la carreggiata, distrussero la corsia in cui viaggiava il corteo, causando la strage. Alcuni [[turisti giapponesi]], anch'essi provenienti dall'aeroporto di Punta Raisi, [[Gente che fa foto ogni 2 secondi|si fermarono a fare delle foto]], convinti che l'enorme cratere che avevano davanti fosse l'[[Etna]].<br /> La prima teoria investigativa parlò di "tragica casualità", il vero obiettivo era proprio disastrare l'[[autostrada]], per sbloccare l'appalto sulla manutenzione del tratto. L'ipotesi fu subito scartata perché la riunione della ''cupola'', per la spartizione dei lavori pubblici, si era tenuta a gennaio e tutto era stato deciso in perfetta armonia (come confermato dalle sottoscrizioni del verbale di assemblea). La reazione dello Stato non si fece attendere, per evitare altri danni al patrimonio tolse il 14% delle scorte ai magistrati.<br /> La notizia della strage, che sconvolse l'intero Paese, fu festeggiata dai mafiosi nel [[carcere]] dell'Ucciardone. Questo ci porta a due inquietanti interrogativi:
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Versione delle 21:05, 28 ago 2013

La notizia fece il giro del mondo, ne parlò anche un quotidiano cinese.
Checklist della mafia.

La Strage di Capaci è l'attentato mafioso in cui il 23 maggio 1992, sull'autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci e a pochi chilometri da Palermo, persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Circa 400 kg di tritolo, piazzati in un tunnel sotto la carreggiata, distrussero la corsia in cui viaggiava il corteo, causando la strage. Alcuni turisti giapponesi, anch'essi provenienti dall'aeroporto di Punta Raisi, si fermarono a fare delle foto, convinti che l'enorme cratere che avevano davanti fosse l'Etna.
La prima teoria investigativa parlò di "tragica casualità", il vero obiettivo era proprio disastrare l'autostrada, per sbloccare l'appalto sulla manutenzione del tratto. L'ipotesi fu subito scartata perché la riunione della cupola, per la spartizione dei lavori pubblici, si era tenuta a gennaio e tutto era stato deciso in perfetta armonia (come confermato dalle sottoscrizioni del verbale di assemblea). La reazione dello Stato non si fece attendere, per evitare altri danni al patrimonio tolse il 14% delle scorte ai magistrati.
La notizia della strage, che sconvolse l'intero Paese, fu festeggiata dai mafiosi nel carcere dell'Ucciardone. Questo ci porta a due inquietanti interrogativi:

« perché i secondini non hanno represso questo incivile comportamento? »

Ma soprattutto,

« dove cazzo hanno preso le bottiglie di Dom Pérignon? »

Nel maggio del 2002 sono stati riconosciuti colpevoli 24 imputati, nel 2008 altri 12 (ritenuti i mandanti), tra loro nessuno che appartenesse ad apparati deviati dello stato o politici di rilievo. La cosa sembrò da subito sospetta, ma ha recentemente fatto chiarezza il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, che nel 2013 ha dichiarato:

« Da questa indagine non emerge la partecipazione alla strage di Capaci di soggetti esterni a Cosa nostra. Stando a questa indagine la mafia non ha preso ordini e, da questa inchiesta, non vengono fuori mandanti esterni. Possono esserci soggetti che hanno stretto alleanze con Cosa nostra, inoltre, alcune presenze inquietanti sono emerse nel corso dell'inchiesta sulla strage di via d'Amelio, ma ripeto: in questa indagine non posso parlare di mandanti esterni! Credetemi, non ne posso proprio parlare! »
(Il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari nella sua dichiarazione alla stampa.)

Storia

"Si, posso capirlo, ma non è che può essere sempre colpa mia".

Il 21 giugno 1989 Falcone era già stato oggetto di un altro attentato, presso una villa al mare affittata per le vacanze estive. Su questo avvenimento, comunemente detto attentato dell'Addaura, nessuno si è sbracciato più di tanto per capirci qualcosa. I sicari di Totò Riina e di altri mafiosi ritenuti mandanti, piazzarono un borsone con cinquantotto candelotti di tritolo in mezzo agli scogli, a pochi metri dalla villa affittata dal giudice, e dove Falcone stava per ospitare due suoi colleghi: Carla del Ponte e Claudio Lehmann. Il piano aveva tre importanti obiettivi:

  1. assassinare il giudice, allorché fosse sceso dalla villa sulla spiaggia per fare il bagno;
  2. uccidere i suoi colleghi, che stavano indagando sul riciclaggio di denaro che interessava la tratta Sicilia-Svizzera;
  3. fare una strage di mazzancolle, per la grigliata prevista alla comunione della nipotina di Antonio Madonia.

L'attentato fallì. Inizialmente venne ritenuto che i killer non fossero riusciti a far esplodere l'ordigno a causa di un telecomando difettoso. L'ipotesi era avvalorata dal ritrovamento di un pedalò alla deriva, nel quale fu rinvenuto il radiocomando di un robottino Emiglio. Vent'anni dopo, nuove ipotesi investigative avallerebbero invece la ricostruzione che l'ordigno venne reso inoffensivo durante la notte. Gli agenti Antonino Agostino ed Emanuele Piazza[1] (fintisi sommozzatori) l'avrebbero manomesso, salvando così la vita al giudice. Agostino e Piazza verranno poi assassinati poco dopo, in agguati separati, ma ovviamente sono solo coincidenze[2].

La "Commissione"

Una delle ipotesi investigative che poteva giustificare tanto accanimento da parte di Riina.

Verso la fine del 1991 si tennero alcune riunioni dalla cosiddetta "Commissione interprovinciale" di Cosa Nostra. L'organo è formato da sei rappresentanti mafiosi di ogni provincia siciliana, escluse quelle di Messina, Siracusa e Ragusa, dove la presenza di Cosa Nostra è tradizionalmente assente (ma è in possesso di regolare certificato medico).
Questo organismo direttivo si riuniva solitamente per deliberare su importanti decisioni riguardanti gli interessi mafiosi di più province, oppure dopo una telefonata di Giulio Andreotti.
In quel periodo a presiedere le sedute era il boss Salvatore Riina.

Uno dei sicari inviati a Roma (abilmente camuffato da turista tedesco).
« Parra ca parra 'u parrinu pariemu parrini ca parranu[3]. »
(L'invito di Riina a smettere di fare tanti discorsi e passare ai fatti.)

All'ordine del giorno c'era da discutere la concreta possibilità che, a gennaio, la Cassazione confermasse gli ergastoli del Maxiprocesso. Visto che non poteva finire 1-1 furono pianificate due linee di condotta.

Nel febbraio 1992 venne inviato a Roma un gruppo di fuoco, composto da mafiosi provenienti da Brancaccio, Trapani e Montecitorio, con l'obiettivo di uccidere Falcone e il ministro Claudio Martelli (tanto per "buttarla in caciara"[4]). Secondo gli ordini dei boss, le vittime dovevano prima essere ferite con l'uso di kalashnikov e lupara poi, per indirizzare le indagini verso una loggia massonica, finite con un maleppeggio. Il commando alloggiò in un prestigioso albergo della capitale, a metà strada tra il tribunale e il parlamento, entrambi raggiungibili a piedi (come risaputo, a Roma i taxi costano veramente uno sproposito). La spedizione fallì perché i killer, in attesa di ricevere l'ordine di eseguire gli omicidi, avevano mandato a pulire le armi nella lavanderia dell'hotel.
Al loro rientro furono accolti con paterna benevolenza, vennero risparmiati i parenti di terzo grado.

La preparazione

L'attentato fu preparato contando sulla consueta omertà.

Riina era contrario al "commando romano" da sempre, accolse il fallimento con malcelato sarcasmo:

« Nuttata persa e figghia fìmmina[5]. »
(Riina che aveva sempre un proverbio pronto.)

Il boss voleva che l’attentato a Falcone fosse eseguito in Sicilia, adoperando l'esplosivo. Desiderava che fosse qualcosa di clamoroso, che servisse a far capire che: "nessuno poteva sentirsi al sicuro". Per non incappare in un'altra "minchiata" affidò l'incarico a Giovanni Brusca, detto "lo scannacristiani", un individuo di provata affidabilità, con più problemi a scegliere un gelato che a sciogliere un bambino nell'acido. Il piano era semplice: scavare un tunnel sotto l'autostrada e collocarci tanto esplosivo da mandare Falcone nell'iperspazio. Per lo scavo venne indetta regolare gara di appalto e, siccome rientrava nella classificazione "grandi opere", si fece anche domanda per i contributi statali a fondo perduto. Per ottenerli era tuttavia necessaria la certificazione antimafia, e questo poteva rivelarsi una seccatura. Ne fu stampato uno falso in una tipografia di Carini, un lavoro eccellente, magari il timbro della Prefettura di Mirabilandia poteva essere evitato, uno sfottò inutile che poteva mandare tutto a puttane. I soldi furono erogati con insolita velocità e finalmente si poté procedere. Per non fare le cose "alla Carlona", e rischiare il fallimento dell'impresa, fu costituito un nucleo operativo spietato ma competente. Ne facevano parte: un artificiere, un laureato in telecomandi, sei picciotti, una talpa e lo stesso Brusca, tutti con regolare contratto a progetto (come verbalizzato durante un blitz dell'Ispettorato del Lavoro). La sera prima dell'attentato Riina chiamò il suo fido e, guardandolo con severità, gli disse:

(Riina che usa un altro proverbio.)

L'esecuzione

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, un complice avvisò gli esecutori dell'arrivo del giudice Falcone.

È il 23 maggio 1992, dopo aver passato una notte insonne, riflettendo sulle parole del boss della sera prima, Giovanni Brusca si alza e, come al solito, scende a far colazione al bar sotto casa. Gli giunge una chiamata dal suo amico Calogero, che gli rammenta la partita a calcetto del pomeriggio. Nel chiasso del locale è costretto ad alzare la voce.

« MINCHIA NON POSSO... MI SENTI?... DEVO AMMAZZARE UN GIUDICE!... AMMAZZARE! A COME AFFANGULO, EMME COME MINCHIA... SI, BRAVO, AMMAZZARE! FACCIAMO DOMANI, CHIAMA GLI ALTRI! »
(Intercettazione telefonica dell'utenza 33U-47J78§ù, intestata a William Shakespeare.)

Dopo aver passato il resto della mattinata a giocare a zecchinetta, Brusca passa a prendere Santino Di Matteo e Antonino Gioè, comperano birre e panini, e si recano sulle colline sopra Capaci. Passano alcune ore ed arriva la telefonata di Raffaele Ganci, complice dislocato all'aeroporto di Punta Raisi. Ovviamente, gli smaliziati criminali comunicano in codice.

« Grande falco è salito sulla zucca bianca, le altre vongole stanno dietro, in due babaco di scorta. »
(Ore 17:40. Intercettazione telefonica dell'utenza 32X-¥¥47©©88s, intestata a Giuseppe Mazzini.)

Appena fuori l'aeroporto, Gioacchino La Barbera (anch'egli membro della cosca di Altofonte) inizia a seguire il corteo blindato, mantenendosi in contatto telefonico con Santino Di Matteo.

« Grande falco è uscito dal nido, gli sono proprio dietro, fate attenzione che c'ho famiglia. »
(Ore 17:50. Intercettazione telefonica dell'utenza 34$-1237FFFF, intestata a Pino Fantaghirò.)

Ore 17:58, Giovanni Brusca aziona il telecomando e i circa 400 kg di tritolo compiono l'ecatombe. Segue immediata chiamata al boss.

« Allora è tutto a posto?! Avete abbattuto Grande falco?... Bravi, bravi. Ora che tornate, fermatevi a prendere il latte. »
(Ore 17:59. Intercettazione telefonica dell'utenza 34£-66òàè%%7, intestata a Grande Puffo.)

Indagini e processi

Un recente provvedimento del governo per combattere la mafia.

Nel 1993 la Direzione Investigativa Antimafia riesce ad individuare e ad intercettare Antonino Gioè, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera, nelle loro telefonate fanno riferimento all'attentato di Capaci. Dopo essere stato arrestato, Gioè si suicida nella sua cella, temendo una vendetta trasversale per essere stato un "quaquaraquà". Per farla finita utilizza l'unico sistema disponibile: dare della checca al suo compagno di cella Vito Cannazza, campione regionale di gambizzazione e stupratore seriale di orsi.
Di Matteo e La Barbera decidono di collaborare con la giustizia e rivelano i nomi degli altri esecutori della strage. Per spingere Di Matteo a ritrattare le sue dichiarazioni, Giovanni Brusca ne rapisce il figlioletto Giuseppe, che poi strangola e scioglie nell'acido (dopo 779 giorni di prigionia). L'atto fu ritenuto così inumano che Brusca si guadagnò la Coccarda nera bordata di viola della mafia, riconoscimento fino a quel momento attribuito solo nel 1928 a Mike Anthony Cozzamara, un picciotto di New York che legò a terra moglie e figlia di uno spione, per poi passarci sopra con uno schiacciasassi.
Brusca viene arrestato il 20 maggio 1996 ad Agrigento. Inizialmente condannato all'ergastolo, dopo il suo pentimento la pena gli viene ridotta a 19 anni e 11 mesi. Sarà quindi libero nel 2020[6]. Per la strage furono ritenute colpevoli quasi quaranta persone, e una talpa.

Commemorazioni

Per non dimenticare.

Curiosità

Note

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  1. ^ che apparteneva ai servizi segreti
  2. ^ anche se Walter Veltroni, e successivamente la trasmissione AnnoZero, si sono interessati alla cosa
  3. ^ Parla che parla il prete, sembriamo preti che parlano.
  4. ^ gettare fumo negli occhi
  5. ^ tanta fatica e scarso risultato
  6. ^ chiunque abbia pensato di farci un articolo, tenga conto di questo

Voci correlate