Utente:GorillaK2/Sandbox2

Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Il libro

Incipit (Edizione per la Garbatella, tradotta da Alvaro "Er Catena" per la Fabbri Editori, 1964)

« Era dopo la mezza[1], dentro all'aula de scóla i pischelli[2] stavano a sclerà de brutto[3] a forza de aspettà. Finarmente, dal "becco de Bunse", che c'ha quer nome perché l'inventore doveva esse 'n faggiano[4], uscette 'na fiammetta verde. Er professore c'aveva messo dentro quarcosa, ma nun aveva sfaciolato sur contenuto[5], probabbirmente voleva fa' er fenomeno[6]. I regazzini fecero tutti "Ooohh", tanto pe' daje soddisfazzione. A 'na certa[7], t'arriva da la finestra 'na musichetta che lì per lì pareva de fisarmonica, ma 'nvece era 'n organetto de quelli a manovella, robba da zingari. Comunque, se fecero tutti allegri. »
(Ferenc Molnár: I ragazzi della via Pal. )


I ragazzi della via Pál (in zingarese A Pál utcai fiúk, in inglisc The Ball Street Boys) è un romanzo per ragazzi dell'autore magiaro Ferenc Molnár.
Fu pubblicato per la prima volta nel 1906, a puntate sulla rivista Ablak nyitva (Finestra aperta), un settimanale che trattava di furto con scasso.
È uno dei libri ungheresi più venduti, secondo solo al Manuale delle giovani borseggiatrici, che però è un testo scolastico.
Fa parte dei grandi classici della letteratura per l'infanzia, al pari di Pinocchio, Cuore, Il piccolo principe e le istruzioni per le "combo" di Tekken 3.
In realtà, almeno nelle intenzioni dell'autore, era un libro destinato agli adulti come denuncia per la mancanza di luoghi riservati al gioco dei più giovani. Nella Budapest di inizio Novecento, ancora sotto il rigido Impero austro-ungarico, gli unici spazi previsti per le attività ludiche erano i centri di addestramento degli Ussari, ma pochi sopravvivevano.
Nel tempo, parte della critica rilevò anche spunti di riflessione antimilitarista: "i giovani protagonisti sono palesemente vittime psicologiche del "sistema guerra" degli adulti"; furono gli stessi che definirono Rambo un capolavoro, quindi parliamo di mercenari privi di competenza e dignità.

Trama

La storia è ambientata a Budapest, nella primavera del 1889. Descrive la "guerra" in atto tra due bande di ragazzini della scuola media: la prima conosciuta come "quella masnada di giovani teppistelli combinaguai che stanno in via Pál" (che per comodità viene chiamata Banda Pál), mentre l'altra è nota come Camicie rosse (meglio conosciuta per "quei piccoli bastardi buoni a nulla vestiti di rosso che vanno in giro facendo danni"). I primi si riuniscono nel loro quartier generale, una catasta di legname sita in un terreno custodito da un narcolettico e un cane più sveglio di lui; i secondi hanno invece la base nel giardino botanico, che dopo gli ultimi tagli del governo è diventato un luogo ostile all'insediamento umano, tanto che se ci fossero dei giaguari sarebbe identico alla Foresta amazzonica.

I due schieramenti

La Banda Pál

La Banda Pál

Partendo da destra.

  • János Boka: i suoi sottoposti lo definiscono un leader carismatico, lui li picchia perché ne ignora il significato. Proviene da una famiglia di origini militari, quindi sa prendere decisioni e organizzare piani di battaglia. Sua madre l'ha partorito mentre il padre era su un dragamine, da due anni. È un ragazzo particolarmente serio e maturo, a dispetto della faccia da allocco.
  • Dezső Geréb: vice comandante, figura in costante competizione con Boka per il ruolo di capo. Nel corso delle elezioni viene battuto per l'ennesima volta; gli altri lo ritengono diversamente intelligente, o meglio: "un australopiteco in grado di infilarsi i pantaloni da solo". Peraltro ci somiglia anche abbastanza. È il vero traditore dei ragazzi, ma poi si pentirà e si comporterà nobilmente, recuperando l'amicizia delle truppe e quel poco di stima di cui godeva.
  • Csónakos: ha il grado di tenente, pur essendo nullatenente. È un ragazzo di campagna, molto forte e abile nell'arrampicarsi sugli alberi, una via di mezzo tra un gibbone e Geréb. Riesce ad emette fischi potenti, ma sbaglia a farlo quando sono inseguiti dai nemici perché lo localizzano in un secondo.
  • Ferenc Weisz: tenente (pure lui) ed ex presidente della Società dello Stucco, una sotto-struttura della banda specializzata nella raccolta di ciarpame. Grazie al loro costante impegno, nel procurare oggetti presumibilmente utili al gruppo, la sede della banda somiglia alla discarica di Malagrotta e puzza poco meno.
  • Pál Kolnay: tenente (e tre), aiutante di campo, cassiere, armiere e factotum nel tempo che rimane. È ligio ai suoi doveri quanto una sorellastra di Cenerentola, affidargli un compito equivale a dimenticarsi di fare qualcosa. Al suo confronto la fata Smemorina è Pico della Mirandola.
  • Barabás: tenente (tanto per cambiare), guardasigilli della Società dello Stucco, guardaspalle di Boka e guardone ai giardini pubblici. È molto utile nella battaglia decisiva, perché è un eccellente tiratore. Con la fionda è in grado di colpire due piccioni con una fava, la sua.
  • Ferenc Leszik: ancora sottotenente per aver ha fallito gli ultimi test Invalsi. Dopo aver frequentato un corso serale per imparare il cinese, dal quale è stato cacciato a calci, si è spacciato per stenografo. Redige i verbali durante le riunioni della banda; i suoi appunti sono incomprensibili, anche a lui stesso, e destinati quindi all'oblio. In un mondo sempre più piccolo, un cervello comunque irrilevante.
  • Ernő Nemecsek: unico soldato semplice per via del suo fisico da lanciatore di coriandoli. Sarà promosso capitano per meriti di guerra, onorificenza che lo farà vantare smodatamente nell'aldilà dopo aver tirato le cuoia per una polmonite. Boka ne esalta spesso la sincerità, la nobiltà d'animo e la propensione al sacrificio nonostante la malattia. Se avesse più uomini come lui la banda sarebbe un lazzaretto.
  • Non visibile perché è lui a scattare la foto, Richter, custode della palla. È quello a cui dicono: "A ragazzì, te lo buco quer pallone!" e tutte le volte ci resta male.
  • Un altro che non appare nella foto, perché non gli si era asciugato lo smalto sulle unghie e gli era spuntato un enorme brufolo sul naso, è Csele, un tenentino con ambizioni carrieristiche, ma troppo impegnato a vestirsi come un truzzo. Si considera l'elegantone del gruppo, gli altri ragazzi lo considerano la checca del gruppo.

Camicie rosse

Partendo da destra.

Le Camicie rosse
  • Feri Áts: (in primo piano) capo indiscusso della ghenga. È un ragazzo prestante, audace e molto fiero, che apprezza il coraggio degli avversari almeno quanto dargli calci nelle gengive.
  • Dietro Áts troviamo i fratelli Flórián e László Pásztor, temuti picchiatori specializzati nelle incursioni notturne. Sono dei veri figli di puttana, da parte di madre nigeriana.
  • Krisztián Fekete: detto "Ricciotto", braccio destro del capo. Può essere considerato lo stratega della banda, titolo che ha guadagnato col suo tema su Napoleone, col quale si è aggiudicato un sorprendente sei meno meno in storia.
  • Balázs Bojtár: chiamato ironicamente "Carezza", irascibile energumeno di ragguardevole stazza. I suoi pugni sono decisamente pesanti, l'ultimo tizio che ne ha incassato uno ha parlato in cinese Mandarino per due settimane, pur essendo totalmente ignorante in fatto di agrumi.
  • Szebenics: capo arsenale della banda, fedele ma scemo come il suo cappello. Dopo aver ricevuto l'incarico ha iniziato a fare esperimenti con gli esplosivi, finendo per sparare suo nonno (assieme alla tazza del cesso) in un'altra provincia.
  • Wendauer: detto "Fratta", trombettiere della banda. È il più piccolo del gruppo, ha un fisico talmente ridicolo che la sua capacità polmonare gli permette di suonare solo due note: Pèèèè Pèèèèèèè. Che poi sono l'inno.
  • Szelnyk: soldato semplice. Sua madre, che gli vuole un gran bene, non esita a definirlo "un completo cretino con gravi turbe comportamentali". Ha pronunciato la prima parola a 6 anni, grazie all'incantesimo di un mago polacco, era "spranga". Il suo logopedista si è suicidato alla terza seduta.

Il libro

Capitolo 1: Einstand!

«Dici che dovremmo rubargli le palline?!»
«Certo, i bulli siamo noi!»

I fratelli Pásztor tesero un agguato ad alcuni della via Pál nel giardino del museo, abituale luogo di ritrovo per avvincenti sfide con le palline di vetro colorato che, come ognun sa, a quell'età acquisiscono un valore incommensurabile e chi le vince viene guardato dal resto della compagnia con rispetto e ammirazione. Ma conquistarle con le minacce e la forza permette di incutere negli altri terrore, sottomissione e rassegnazione, che è molto meglio. I due Pásztor lo sapevano bene e, pur essendo delle schiappe certificate nel gioco, detenevano da soli più palline di tutti gli altri ragazzi di Buda e Pest.
Quel pomeriggio, il gruppo di via Pál era composto dal piccolo Nemecseck, che era costretto a camminare con dei sassi in tasca perché il vento non lo portasse via; da Weisz, che si metteva a piangere per la paura quando scoreggiava un po' più forte del solito; da Richter, che nelle situazioni di pericolo aveva imparato a mimetizzarsi col circostante, come i camaleonti; da Kolnay e Barabás, primatisti ungheresi nell'arte della fuga di fronte al pericolo. Nonostante la superiorità numerica, si profilava un einstand senza storia. Infatti, tutti i protagonisti della vicenda restarono fedeli ai loro ruoli: il maggiore dei Pásztor non aveva ancora finito di urlare "einstand!" che Kolnay e Barabás se l'erano squagliata a velocità curvatura; Weisz si era messo a piangere e Richter si era mimetizzato perfettamente come una delle colonne del porticato. Il piccolo Nemecseck aveva abbozzato una timida protesta prontamente zittita. I due Pásztor avevano fatto i due Pásztor: dopo aver raccolto tutte le palline se ne andarono senza proferir verbo.

« Sì, ma che cazzo è l'einstand? »

Giusto. L'einstand, nello slang dei bimbiminkia ungheresi di fine '800, indicava l'imminente verificarsi di un atto di bullismo da parte di un bullo nei confronti di un nabbo, possibilmente più giovane e debole. Se fosse accaduto il contrario, ossia che un nabbo avesse inopinatamente attaccato un bullo, dovremmo parlare di idiozia. Invece, l'einstand (traducibile con "Abbellodepapà, resta immobile e non opporre resistenza e forse -dico forse- andrà tutto bene") costituiva una vera e propria dichiarazione di guerra e se non si disponeva di adeguato coraggio e prestanza fisica era conveniente arrendersi subito. Tutto per rubare al malcapitato le palline di vetro colorato, ma anche pennini e figurine[8]. Del resto, quei ragazzi si trovavano in quella fase in cui gli atti impuri e l'ossessione per la figa covavano, pronti a esplodere da un momento all'altro, ma erano ancora di là da venire. E poi i videogiochi non erano ancora stati inventati.

Capitolo 2: Il furto della bandiera

Feri Ats era riuscito a penetrare nel campo eludendo la stretta sorveglianza del guardiano slovacco Janó e del suo fedelissimo cane Ettore.
« Ma tu guarda 'sti cornuti dove sono andati a mettere la bandiera! »
(Feri Ats si arrampica sulla fortezza n° 3.)

Nemecseck era arrivato per primo al campo: tra le incombenze dell'unico soldato semplice della compagnia vi era quella di preparare il caffè per gli ufficiali, svuotare i posacenere, spazzare il terreno e tenere lontani i Testimoni di Geova. Non fece niente di tutto ciò perché assistette al furto della bandiera da parte di Feri Ats. L'incontro tra i due si caratterizza per l'elevato pathos che traspare dalla drammaticità dei dialoghi:

Nemecseck : Gu... Gulp!
Feri Ats : Uè, pischello, la bandiera viene via con me!
Nemecseck : Ga... Gasp!
Feri Ats : Beh, parla! Di' qualcosa, cazzo!
Nemecseck : ...
Feri Ats : Figa, zio, tu sei fatto duro... Beh, ti saluto!

Sulla fortezza n° 3 la gloriosa bandiera rosso-verde aveva smesso di sventolare. Molto più in basso, i pantaloni di Nemecseck si erano misteriosamente tinti di marrone. Nonostante la sua strenua resistenza, il campo era stato violato dal nemico.
Nemecseck mise al corrente il resto della compagnia, giunto di lì a poco, sottolineando che Feri Ats era vigliaccamente fuggito davanti a lui. Ciò provocò l'ilarità generale, che scatenò il pianto inconsolabile di Nemecseck, che a sua voltà provocò ulteriore ilarità generale[fatti reali non conformi alle linee guida] che causò una crisi di asma a Nemecseck,

.
Preso atto del furto della bandiera, i ragazzi si dedicarono al reale scopo della loro adunata: somministrare a Nemecseck, unico soldato semplice, la quotidiana dose di nonnismo e, soprattutto, eleggere il nuovo presidente.

Capitolo 3: Le elezioni (Viene rieletto Boka e Geréb ci rosica)

« Uno vale uno! »
(Boka detta le regole della votazione per l'elezione del presidente.)

Nonostante una campagna elettorale in grande stile, nella quale aveva anche promesso che sua sorella avrebbe fatto un pompino a tutti in caso di vittoria, Geréb fu nettamente sconfitto da Boka, che invece aveva promesso sudore, lacrime e sangue e il plotone di esecuzione per gli oppositori. Furono ben undici i voti a suo favore, contro i tre che aveva ricevuto Geréb. Dando per scontato che Geréb aveva votato sé stesso e che un altro voto lo aveva ricevuto da Boka per spirito cavalleresco, restava un voto alla cui paternità non era possibile risalire. «Peccato» - pensò Boka - «ho una tremenda voglia di strappargli lo scroto». Sfoderando la sua migliore faccia da culo tese la mano allo sconfitto, complimentandosi per il risultato. Geréb rispose: «Ma va' in mona ti, to mare e i toi complimenti del casso! DOVEVO VINCERE IOOOOO, K SN UN VERO LIDER E NN TUUUU K 6 SL 1 K SA SL DIRE SÍ VA BE VEDIAMO!!!111!!!1111!... Ah, non me la sto prendendo per niente, ok?»

Capitolo 4: Il piano di conquista (Riprendiamoci la bandiera)

Il messaggio lasciato nel quartier generale delle Camicie Rosse.

Tutti i ragazzi di via Pál fremevano all'idea di organizzare una spedizione nel territorio delle Camicie Rosse per riprendersi la bandiera. A parole.

- Boka: “Chi viene con me?”
- Csele: “Verrei volentieri ma se faccio tardi mia madre mi sequestra la mia collezione di Barbie
- Kolnay: “Guarda, proprio domani sera ho un appuntamento col commercialista!”
- Barabás: “Cacchio, proprio domani sera ho le prove col coro dei pompieri!”
- Weisz: “Da stamattina ho un attacco di afta epizootica, non sono molto in forma!”
- Richter: “Purtroppo devo recuperare il mio axolotl da camera, che si è ficcato sotto il letto!”
- Leszik: “Devo studiare. Che c'avete da guardare? È vero!”

Restavano Csónakos e Nemecseck: il primo poteva trattenersi oltre l'orario consentito perché il padre lo menava anche se rientrava in orario, il secondo perché era talmente etereo che i genitori non trovavano differenze se era presente in casa o meno.

Boka espose ai due il suo piano: lasciare il messaggio visibile a lato nel quartier generale dei nemici, in loro presenza e senza riprendersi la bandiera. Csónakos storse il naso: «Vabbè, non rubiamo, ma almeno qualche parolaccia potremmo scriverla!» Boka lo redarguì: «Non se ne parla nemmeno, non dobbiamo scendere al loro livello. Hai capito, figlio di mignotta di casino africano del cazzo dei miei coglioni?» Csónakos si mise sull'attenti: «Signorsì, Signor Presidente!»

Capitolo 5: Va tutto alle ortiche (Nemecsek e lo stagno)

La sortita notturna, studiata minuziosamente, va a farsi fottere per colpa del fattore umano. Questa onnipresente incognita, che molti si ostinano a chiamare sfiga, altro non è che l'atavico impaccio delle mezze seghe. Nemecsek cade accidentalmente[vabbè] in uno dei laghetti, che pur essendo artificiale non si è mai spostato dalla sua posizione originaria. Peraltro ben conosciuta dal deficiente. Il rumore attira l'attenzione delle Camicie rosse, già allertate da una soffiata di quel lombrico di Geréb. A questo punto, la mirabile strategia militare vacilla di fronte a due problemi insormontabili:

  1. un tizio con funzioni motorie compromesse;
  2. un secondo individuo con la statura morale di Loki.

Nemecsek sente arrivare i nemici e decide di gettarsi nella vasca dei pesci rossi: SPLASHHH!!
Gli inseguitori, accortisi del nuovo rumore, confabulano per qualche minuto:

- Szelnyk: “Cos'era quel tonfo?! Qualcuno si è tuffato nella vasca dei pesci rossi!”
- Wendauer: “Ci sono appena due gradi sopra lo zero, nessun idiota farebbe mai una cosa del genere!”
- Bojtár: “Hai ragione, deve essere un trucco per sviarci. Andiamo dall'altra parte!”

Il geniale piano involontario favorisce Nemecsek, nonché un raffreddore coi controcazzi.

Capitolo 6: Qualcuno ha tradito (Tra di noi c'è un "soffia")

- Boka: “Ci stavano aspettando, tra noi deve esserci un "Giuda"!”
- Csónakos: “Potresti aver ragione. Geréb ha nel nome la stessa iniziale e il numero di lettere, ha la faccia da viscido e l'ho visto decisamente alterato per la mancata elezione. Sospetti di lui?!”
- Boka: “No, di tua sorella!”
- Csónakos: “Ok, il capo sei tu. La terrò d'occhio!”

Capitolo 7: Il capro espiatorio (Non è colpa mia!)

--Zurpne 19:25, mar 20, 2017 (CET)

Capitolo 8: Nemecsek e l'onore (Nemecsek si tuffa di nuovo)

--Zurpne 19:25, mar 20, 2017 (CET)

Capitolo 9: La guerra è inevitabile (Stavolta non facciamo cazzate!)

--Zurpne 19:25, mar 20, 2017 (CET)

Capitolo 10: Il traditore si pente (Geréb getta la maschera)

Gli antichi rancori emergono.

Mentre i ragazzi della via Pál sono intenti a fortificare la loro base, ecco che arriva Geréb. Il suo aspetto è quello di uno che non ha dormito: capelli arruffati, vistose borse sotto gli occhi e camminata incerta da tossico. Il solito Gereb insomma. Nessuno si sarebbe aspettato quelle parole.

- Geréb: “Capo, volevo dirti una cosa ma promettimi di non arrabbiarti.”
- Boka: “Sai che non sono il tipo che porta rancore, puoi parlare tranquillamente!”
- Geréb: “Niente, volevo dirti che sono stato io a tradire la banda, ma sono pentito. Ci mettiamo una pietra sopra vero?!”
- Boka: “... ... CANAGLIA!! Bastardo figlio di una puttana sifilitica! La pietra te la metto al collo e ti affogo nello stagno di quei bastardi!”
- Barabás: “Capo, non fare così che ti parte un embolo!”
- Boka: “Levatemi questo verme dalla vista, prima che mi assalga il desiderio di nutrirmi delle sue interiora!”
- Barabás: “Geréb vieni via. L'ultima volta che l'ho visto così è quando le Camicie rosse gli hanno fatto trovare un panino con dentro il suo criceto cotto!”
- Geréb: “Ah, ho capito. Sarà ancora nervoso per quello allora!”

Quando oramai la battaglia è imminente, ecco giungere una lettera da parte di Geréb. Il ragazzo si dichiara ancora una volta pentito e, nel contempo, allega preziose informazioni sul piano di attacco dei nemici. Boka pensa che voltagabbana di quella risma ne nasca uno per secolo, anche se poi: la storia gli darà torto. Ad ogni modo, Geréb viene reintegrato nei ranghi, seppur degradato a "carne da macello per la prima linea con mansioni di bersaglio umano".

Capitolo 11: La battaglia (Ahó, questi menano come fabbri!)

Lo scontro inizia, talmente cruento che la narrazione dovrebbe essere vietata ai minorenni. È il solo dovere di cronaca, nonché un malcelato sadismo, che ci spinge a sottolinearne le fasi salienti.

  • Boka lancia un sampietrino "a cucchiaio". L'ogiva colpisce il trombettiere avversario Wendauer, causandogli la perdita dell'orientamento, quella di tre molari e del suo gusto musicale, tanto che inizia a suonare la ritirata in una versione Black Metal.
  • Gli uomini di Áts non riconoscono le note e quindi continuano ad attaccare a testa bassa, finendo per picchiarla contro la catasta di legname. Krisztián Fekete, uno dei più lucidi durante i combattimenti, in seguito al colpo inizia a recitare brani di poesia metasemantica. Verrà abbattuto pietosamente dal suo compagno Balázs Bojtár.
  • Pál Kolnay, colpito pesantemente da uno dei fratelli Pásztor, raccoglie un tronco di legno e inizia a girare sul campo di battaglia allattandolo al seno.
  • Szelnyk accusa una randellata da parte di Csónakos, cade in ginocchio e chiede a Kolnay di sposarlo.
  • Geréb è una furia. La ritrovata considerazione del gruppo lo galvanizza, tanto che si getta addosso ai Pásztor apostrofando la loro madre "Troia olimpionica". I due energumeni prendono "olimpionica" come un offesa e riducono l'altro un ammasso gelatinoso.
  • Csele tira i capelli a Szebenics, i due cedono alla loro natura rivelata, si baciano e fuggono via sculettando.
  • Boka è caduto. Feri Áts si erge come un eroe della letteratura neocriptica slovacca, fiero del proprio trionfo e di non sapere un cazzo di letteratura neocriptica slovacca.

Tutto sembra perduto, le Camicie rosse sono padrone del campo, ma non hanno fatto i conti con il colpo di scena.

Capitolo 12: L'eroe inaspettato (Nemecsek, che cazzo ci fai fuori dal letto?!)

Nemecsek si rende conto di avere qualche problema alle vie respiratorie.

C'è un istante, nella vita di ogni uomo, in cui capita l'occasione per fare la differenza: quello era il momento giusto per Nemecsek. Col senno di poi, e con 41 e spicci di febbre, molti direbbero che poteva sceglierne uno migliore. Ma l'eroe è impulsivo per natura, incosciente di fronte al pericolo e abbastanza scemo dall'affrontarlo. A Budapest rivive quindi il mito di Davide e Golia però, contrariamente alla nota caramella che garantisce "5 minuti di aria viva", a questo Golia sono rimasti 5 minuti di aria e basta.
Nemecsek si getta su Áts, lo atterra e gli starnutisce in faccia. Áts ha sempre avuto una fobia per i microbi, viene colto dal panico e si arrende immediatamente. La guerra è vinta.

Capitolo 13: La morte dell'eroe (Uno starnuto di troppo)

I ragazzi festeggiano l'eroico gesto di Nemecsek lanciandolo in aria, il liquido nei suoi polmoni sciaborda come in un barile semivuoto, gli altri se ne accorgono ma non gli danno peso. È quando Nemecsek viene giù "a peso morto" che realizzano la gravità della situazione.
Boka resta accanto al suo letto, tentando di rincuorarlo con le solite frasi di rito:

  • "vedrai che non è niente";
  • "mio cugino l'ha avuta ed è vivo per miracolo";
  • "ora respira abbastanza bene nella tenda ad ossigeno";
  • "se gli dice culo potrebbe anche arrivare a mangiare il panettone";
  • "mal che vada godrai della luce del Signore".

Nemecsek trova la forza per sorridere al suo amico, grattarsi le palle e biascicare: "La luce...".

Capitolo 14: Per cosa abbiamo lottato?! (Il palazzinaro)

La morte di Nemecsek è stato un duro colpo per Boka, la sua unica consolazione è che il sacrificio del suo amico sia servito a proteggere la base. Mentre si reca al campo, gli scappa un sospiro di sollievo pensando: Poteva andare peggio!
L'ingenuo ragazzo non si rende conto di aver attirato con quella frase sventure di classe A++, che comprendono cose tipo "essere investiti da un meteorite" e "dare della troia ad una donna che ti ha soffiato il parcheggio per poi scoprire che è la tizia con cui hai l'importante colloquio di lavoro".
Il rumore delle ruspe lo raggiunge mentre ancora percorre via Sméltzegry. Appena girato l'angolo si accorge del capannetto di pensionati che bofonchiano con sguardo severo, il cantiere è proprio sul loro terreno. Un rullo compressore lo sta spianando, mescolando senza alcun rispetto le tracce di eroiche gesta alle merde di Ettore. A quel punto pensa:
"Peggio di così non può andare!"
La prima guerra mondiale scoppierà dopo pochi anni.

Note

Template:Legginote

  1. ^ le 12:30 circa
  2. ^ ragazzini delle medie
  3. ^ sclerare: dar di matto, scapoccià
  4. ^ uno stolto
  5. ^ teneva il segreto per sé
  6. ^ atteggiarsi a grande mago
  7. ^ all'improvviso
  8. ^ Si dice che il primo furto della figurina di Pizzaballa sia stato perpetrato in seguito a un einstand.

Voci correlate