Nonsource:Dizionario accademico

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Amplissimo

Aggettivo che si suole accompagnare alla qualifica di Preside. Per la sua etimologia vedere la voce Magnifico


Borsa Post Dottorato

Termine medico con il quale viene indicato un particolare tipo di neoformazione benigna, di regola bilaterale e a decorso cronico, caratterizzata da una rilevante tumefazione dovuta ad accumulo sottocutaneo di liquidi e sostanze lipidiche, e che si manifesta prevalentemente in due precise zone del corpo: sotto le palpebre inferiori e nella parte bassa delle natiche. La scienza medica concorda nel ritenere che sia la conseguenza di lunghe ore di studio specialistico universitario, effettuato a tavolino e associato all'assenza di una sana attività fisica. Riconosciuta recentemente come malattia sociale può determinare, su domanda, l’assegnazione di un sussidio economico quadriennale, rinnovabile per un altro quadriennio, a carico del bilancio dell’università. La neoformazione tende a svuotarsi progressivamente e spontaneamente non appena si raggiunga la piena maturità scientifica e didattica. Questo esito finale non è, tuttavia, da accogliere con entusiasmo: accurate indagini statistiche dimostrano che alla scomparsa delle neoformazioni benigne di cui sopra, si accompagna spesso l’insorgere di nuove forme patologiche ben più gravi e di tipo maligno che conducono quasi sempre a un esito infausto. Fra queste, la scienza medica segnala come più frequenti: l’ ego crescens ipertroficus (in proposito vedere anche la voce “Citazione”) ; il delirium baronalis; il delirium persecutionis alicui collegae culpae datae (quest’ultimo accompagnato spesso dalla ripetizione ossessiva della frase “collega inimicus maximus !”).


Chiarissimo

Aggettivo che si suole accompagnare alla qualifica di Professore. Per la sua etimologia vedere la voce Magnifico


Cineca

Termine di etimologia e significato incerto talvolta utilizzato negli ambienti accademici. Si discute se in origine fosse riferito a una associazione di amanti del cinema o di amanti dei cani. Questa seconda ipotesi sembra confermata da più circostanze: per un verso dai rilevanti e già evidenziati rapporti tra i cani e i dogmi (vedere Dog-matica, Dog-ma) utilizzati dalla scienza universitaria (da ciò l’equivalenza: amanti dei cani = amanti dei dogmi), per un altro, dal fatto che il termine cineca viene talvolta utilizzato accanto al termine MIUR, il cui significato è questa volta inequivocabilmente ricollegato a una nota associazione di amanti dei gatti: la parola MIUR che denomina la associazione predetta è stata scelta in quanto possiede evidenti connotati onomatopeici: richiama efficacemente, infatti, il delicato miagolio di un gatto che fa le fusa.


Consiglio di dipartimento

Suggerimento caloroso e insistente finalizzato a produrre, nella persona consigliata, l’effetto di un irrefrenabile impulso a partire, a viaggiare, ad abbandonare la vita di tutti i giorni, ad aprirsi a nuove avventure, a uscire dalla routine quotidiana. Non sempre finalizzato a scopi filantropici, talvolta il consiglio di dipartimento, quando proveniente da un nemico o da un finto amico, è finalizzato a rafforzare più o meno latenti propositi suicidi. In tal caso potrebbe assumere rilievo penale ex art. 580 c.p..


Consiglio di Facoltà

Organo collegiale caratterizzato dal convergere di una pluralità di individui connotati da specifiche e diverse capacità o facoltà. Fra le facoltà più rappresentative del suddetto organo si distingue soprattutto la facoltà di rompere le scatole agli altri componenti del consiglio (definita con il termine facoltà orchiclastica; dai termini greci: ὄρχις- testicolo / κλάω - rompere ) nella quale taluni soggetti (denominati, appunto, orchiclasti) manifestano precipue doti di insuperata eccellenza. Vanno segnalate anche (talvolta, peraltro, compresenti in un unico individuo):

  1. la facoltà di parlare senza farsi comprendere (c.d. facoltà criptofrastica; dai termini greci κρυπτός – nascosto / φράζω - dire );
  2. la facoltà di dire in un’ora ciò che si potrebbe dire in un minuto (c.d. facoltà cronismatica; dal greco χρονίζω – andare per le lunghe);
  3. la facoltà di dire sempre il contrario di ciò che ha appena affermato un altro componente del consiglio (c.d. facoltà allofrastica; dal greco ἄλλος – diverso / φράζω - dire);
  4. la facoltà di dire sempre la stessa cosa che ha appena detto un altro componente del consiglio (c.d. facoltà omofrastica; dal greco ὅμοιος – simile / φράζω - dire).


Corpo docente (Corpo accademico)

Espressioni che manifestano inequivocabilmente una concezione “organicistica” della docenza universitaria e la convinzione che i singoli professori non sono che parte di un unico organismo dotato di una sua identità e di una sua vita autonoma. Come è noto, il termine “organicismo” indica una dottrina che vanta origini antiche: era originariamente utilizzato per esprimere l’idea che l’universo sia un grande organismo (idea che si presenta già in Anassagora come concezione finalistica in opposizione al meccanicismo atomistico). Platone poi, nel Timeo e nella Repubblica riprende l’idea applicandola anche alla società, pensata in analogia con le parti del corpo umano. Le idee di Platone, attraverso il pensiero rinascimentale (Ficino, Bruno, Campanella) arrivano poi a influenzare la filosofia della natura di Schelling e, in generale, i romantici. Applicata alla docenza universitaria la teoria organicistica suscita aspre controversie: infatti, non è chiaro a quali docenti tocchi la parte del cervello (da tutti rivendicata) e a quali, invece, tocchino parti meno nobili (alcune, non è il caso di precisare quali, decisamente rifiutate). Il passaggio dal dibattito teorico all’analisi dei dati empirici permette, tuttavia, assai spesso di individuare facilmente i docenti più rappresentativi delle suddette meno nobili parti del “corpo accademico”: il gentile lettore potrà di persona verificare quanto sia facile, nella pratica, l’accostamento fra docente concreto e parte del corpo che meglio lo rappresenta.


Credito formativo

Concetto di difficilissima definizione e di incerto contenuto che ha sollecitato gli sforzi analitici della migliore scienza accademica. Secondo taluni si tratterebbe di un concetto matematico assai complesso attraverso il quale, in un’unica formula, sarebbe possibile sintetizzare una serie di entità eterogenee e altrettanto misteriose, collocabili contemporaneamente nella realtà fisica (spazio/tempo) e nella attività spirituali della mente umana. Fra queste, particolarmente ostico, ma di centrale importanza, sembra essere il concetto di didattica frontale relativamente al quale si discute se sia un concetto tassativo (e quindi “esclusivo”) o meramente esemplificativo, e quindi anche aperto alla possibilità di considerare altre forme di didattica: quali, ad esempio, la didattica parietale o quella occipitale (che secondo la migliore scienza ed esperienza potrebbero assumere un rilievo decisivo per la comprensione globale del fenomeno). La quantificazione numerica dei crediti formativi suscita aspre controversie fra gli studiosi e costituisce oggetto di una scienza che affonda le sue radici addirittura nel pensiero pitagorico e nel famoso detto “tutto è numero”. La materia presenta una quantità di formule talmente complesse che, in confronto, la teoria della relatività di Einstein sembra ormai acqua fresca. Gli studiosi della materia (c.d. scientia creditoria) prendono il nome di creditori e, per la loro arroganza e il loro atteggiamento di superiorità (che non esitano a ostentare spesso senza alcun ritegno e che deriva evidentemente dalla consapevolezza di padroneggiare una materia così complessa e incomprensibile ai più) sono malvisti dal resto della popolazione.


Cultore della materia

Figura di accademico pentito abbastanza diffusa. Dopo anni di studio a tavolino dedicati all’approfondimento delle scienze dello spirito e accompagnati spesso dal sacrificio delle energie e degli svaghi tipici della gioventù accade di frequente, specialmente in età matura o alle soglie della vecchiezza, che il “cultore dello spirito” si trasformi in un appassionato “cultore della materia”, dedito alla frenetica scoperta delle gioie del cibo, del sesso e del corpo in genere. In considerazione del periodo in cui il fenomeno si verifica questa trasformazione produce di regola danni irreparabili alla salute. Di conseguenza, il “culto della materia” viene trasferito, dal corpo, al denaro e ai beni materiali in genere, facendo sì che il cultore della materia si trasformi in un inguaribile taccagno.


Dogmatica, Dogma

Termine particolarmente diffuso in certi settori dell’accademia, la parola dogmatica (ad es.: “dogmatica filosofica”, “dogmatica giuridica”) può essere pienamente compresa se si parte dall’analisi della parola “dogma”, dalla quale deriva, e relativamente alla quale si ritiene opportuno rimandare alla insuperata e illuminante definizione e spiegazione che di quest’ultimo termine ha dato una illustre studiosa che ci ha preceduto in indagini simili alla presente (cfr. Maria Sebregondi, Etimologiario, Longanesi, 1988):

Dogma, sostantivo maschile (dall'inglese "dog" - cane)

Inconfutabile verità canina. Gli scambi e le metatesi tra "eto"logia e "teo"logia rivelano che i cani hanno indiscutibilmente ragione: il cane è lo specchio di Dio (dog/god). “

Da ciò la sostanziale similitudine fra "abbaiare di un cane" e "affermazione di un dogma": chi proclama di possedere la verità e si propone di imporla come dogma indiscutibile assume un aspetto inequivocabilmente canino. Il progresso della scienza ha poi contribuito a una acuta e utilissima classificazione dei dogmi sulla base della razza del cane che li proclama. Così si distinguono dogmi-barboncino, dogmi-fox terrier, bracco-dogmi, alano-dogmi, dobermann-dogmi ecc. ecc. e, più in generale, “dogmi da caccia”, “dogmi da difesa o da guardia”, “dogmi da pastore”, “dogmi da compagnia o da salotto”, “dogmi per ciechi”. Sarà compito dello studioso attento e sensibile individuare, in presenza di una affermazione dogmatica, la categoria astratta di dogma all'interno della quale operare il processo di sussunzione del dogma concreto.

Magnifico

Aggettivo che si suole accompagnare alla qualifica di Rettore. Analogamente, avviene per la qualifica di Preside (in questo caso l’aggettivo, anche se meno spesso usato, è “Amplissimo”) e per quella di Professore (in questo caso l’aggettivo è “Chiarissimo”).
L’etimologia di tali pomposi aggettivi viene tradizionalmente ricollegata agli aggettivi latini clarus, amplus, magnificus utilizzati come sinonimi per indicare persona illustre o importante. Tuttavia, qualcuno afferma che, pur essendo questa la corretta etimologia degli aggettivi in esame, la abitudine di farne uso sarebbe in origine ricollegabile a un episodio non proprio edificante per l’accademia. Non si è certi se si tratti di un episodio realmente avvenuto o di una storia costruita con la fantasia. La vicenda, tuttavia, potrebbe essere assolutamente verosimile a causa della vena di diffuso maschilismo che tuttora persiste in ambito universitario.

Come è noto, l’accesso delle donne agli studi superiori è stato per lungo tempo impedito o ostacolato. Fino a pochi decenni fa la popolazione universitaria, sia sul versante dei docenti sia su quello degli studenti, era composta in modo assolutamente prevalente, se non addirittura esclusivo, da uomini. In un simile contesto la comparsa delle prime studentesse era destinata a creare un certo scalpore accompagnato, spesso, da incresciose battute formulate dalla maggioranza maschile. Battute accomunate tutte dalla abitudine, a dir poco idiota, di sottolineare le doti fisiche delle allieve – colleghe, svalutandone al contempo le doti intellettuali.
Anche i rappresentanti più illustri dell’accademia hanno talvolta condiviso tali deprecabili comportamenti (che purtroppo, anche al giorno d’oggi, fanno fatica a scomparire: anzi sembrano crescere in numero e frequenza). Ciò dimostra quanto poco influente sia l’erudizione e la scienza sul carattere delle persone: un idiota pieno di pregiudizi resta tale anche se è imbottito di scienza; rispetto a individui di questo genere una persona meno colta ma con una mente aperta e priva di pregiudizi appare di gran lunga superiore oltre a risultare umanamente simpatica.
Ma veniamo all’aneddoto (vero o fantastico che sia, ma comunque assai verosimile) di cui ogni tanto si racconta per spiegare la vera origine degli aggettivi di cui stiamo parlando.

In occasione della seduta di laurea presso una importante facoltà di medicina in cui si stava per laureare la prima studentessa di sesso femminile (con una dissertazione dal titolo “Importanza e vantaggi dell’allattamento al seno per un sano sviluppo del bambino”) era stato deciso di sottolineare la particolare importanza dell’avvenimento facendo partecipare alla commissione di laurea, oltre ovviamente al professore relatore, anche il Rettore (pure lui medico) e il Preside della Facoltà.
La giovane laureanda aveva discusso la tesi in modo particolarmente brillante ed era molto emozionata. Le sue forme prosperose, la sua chiara e quasi lattea carnagione, associate al titolo della tesi e a una scollatura non proprio castigata avevano tuttavia suscitato, nella commissione esaminatrice, una serie di risatine represse, sussurri sottovoce, sguardi ammiccanti che, fingendo di guardare alla ponderosa dissertazione poggiata sul tavolo davanti alla commissione, guardavano in realtà un po’ più in là verso qualcos’altro, pur esso abbastanza ponderoso. La giovane laureanda, che non era affatto stupida e di udito finissimo, si rese ben presto conto che a quella commissione di vecchi, non era chiaro se più laidi che scemi o più scemi che laidi, della sua ottima preparazione e della sua eccellente tesi non importava un fico secco. Si rese facilmente conto che anche l’argomento scelto dal relatore per la sua tesi era un modo per prenderla in giro e per ridere di lei. Percepì perfettamente tre espressioni di ironica ammirazione (che non alludevano al suo lavoro poggiato sul tavolo e alle sue doti intellettuali ma a doti di ben altro tipo e a “qualcos’altro” su cui cadevano con insistenza gli sguardi: “Magnifico!” disse il Rettore, con la fronte imperlata di sudore. “Amplissimo!” esclamò il preside di rimando, con la bava alla bocca. “Chiarissimo!” aggiunse con gli occhi lucidi il professore relatore). Per questa ragione la giovane sentì montare dentro di lei una rabbia sorda.

Alla fine della cerimonia, dopo la proclamazione accompagnata da paroloni enfatici e solenni che sembravano sottolineare il “miracolo” di una donna che era riuscita, a dispetto della ovvia “infirmitas sexus”, a conseguire la laurea, la giovane dottoressa decise di vendicarsi e di fare capire di avere sentito benissimo i commenti salaci che i tre componenti più illustri della commissione avevano espresso verso una parte del suo corpo. Con un gioco di ironie assai superiore rispetto a quello con il quale si era trastullata la Commissione ringraziò i professori lì riuniti per la “straordinaria attenzione” prestata durante la discussione della tesi e, in particolare: “ i tre componenti più anziani di questa Commissione di laurea per i quali l’aggettivo illustre mi pare troppo poco e ai quali esprimerò la mia gratitudine utilizzando tre preziosi aggettivi ricavabili dal latino, la nostra amata lingua madre. Grazie “magnifico” Rettore! Grazie “amplissimo” Preside! Grazie “chiarissimo” professore relatore”. Da notare che i tre babbei, principali destinatari di questo messaggio ironico, non ne capirono affatto il sottile significato (come lo scemo della nota favola al quale viene indicata la luna e che, invece di guardare la luna, guarda il dito che la indica). Anzi furono così contenti per i tre pomposi aggettivi a loro rivolti che decisero di adottarli in futuro per sottolineare i ruoli da loro ricoperti.


Monografia

Oggetto costituente l’esito finale di una particolare forma di demenza riconducibile alla categoria delle monomanie ossessivo compulsive e consistente nello scrivere ripetutamente lo stesso segno grafico o nel ripetere ossessivamente un concetto, che si potrebbe esprimere in poche parole, riempiendo invece pagine su pagine (c.d. sindrome monografomaniacale). Il numero di pagine della monografia è direttamente proporzionale al grado di gravità della patologia in parola. Secondo i più accreditati lavori scientifici la soglia di allarme dovrebbe scattare non appena si superi il centinaio di pagine. Il superamento di trecento pagine suggerirebbe la sottoposizione dell’autore dello scritto a un trattamento sanitario obbligatorio. Caratteristica precipua degli affetti da questo tipo di follia è la tendenza ad associarsi fra loro e a scambiarsi reciproci segni di riconoscimento e apprezzamento. Queste forme patologiche di associazione sogliono essere definite dalla scienza psichiatrica con il termine “accademenza” (scherzoso termine di sintesi che vuole esprimere, in un’unica parola, l’ accentuata demenza di chi non capisce un acca). Da ciò deriva l’uso di definire la monografia anche con l’espressione “lavoro accademico”.

Nota del curatore
Anche se si è convinti che il contenuto della presente voce contenga un fondo di verità, va sottolineato che l’autore della voce predetta potrebbe avere esagerato e generalizzato eccessivamente: verosimilmente mosso da un deprecabile sentimento di invidia verso gli autori di monografie. Successivamente alla diffusione di questa voce è stato, infatti, accertato che l’autore della voce in questione risulterebbe anche lui affetto da una patologia mentale, ma di segno opposto: e cioè dalla cosiddetta sindrome agrafica, che blocca ogni sforzo diretto a tradurre in forma scritta un qualunque pensiero. Questa sindrome, definita anche sindrome di Bartleby (personaggio protagonista di uno splendido racconto di Melville, il quale, a ogni sollecitazione diretta a ottenere da lui un qualunque comportamento attivo, rispondeva “avrei preferenza di no”) è stata ampiamente studiata e approfondita in un pregevole lavoro di Enrique Vila-Matas, “Bartleby y compañía”, trad. it. “ Bartleby e compagnia”, Feltrinelli, 2000, al quale si rinvia per approfondimenti.

Professore a tempo pieno

Altra qualifica accademica di incerta interpretazione. Sulla premessa, pacificamente accettata, che si tratti di qualifica necessariamente contrapposta a un’altra e che, di conseguenza, si tratti di uno dei poli di una coppia concettuale, si discute accanitamente sulla natura dell’altro polo: elemento la cui identificazione e definizione assume importanza essenziale anche ai fini della comprensione della qualifica che ci interessa. Nel dibattito sull’argomento sono state individuate soprattutto le seguenti possibili coppie concettuali:

Professore a tempo pieno vs. Professore a tempo vuoto

L’origine di questa contrapposizione viene ritenuta dai più di scarso pregio scientifico in quanto deriverebbe presumibilmente da una suggestione letteraria (pare quasi ovvio sottolineare che, secondo i rigorosi parametri della scienza accademica, la letteratura è ritenuta di scarsissimo valore euristico e sistematico). Si concorda nell’identificare tale fonte letteraria in una poesia di Eugenio Montale (peraltro assai poco seria, confusa e scarsamente rispettosa del ruolo accademico) che si riporta qui di seguito solo per mero dovere di completezza.

“Il professore ignora
se è supplente o aggregato
o è associato a tempo pieno o vuoto
o in toto esposto al vilipendio
o espettorato deputato
con doppio stipendio.

Il professore ha i capelli grigi,
non può cambiare mestiere.
Se a notte tutti i gatti sono bigi
meglio che la riforma
si faccia e poi si dorma.”


Professore a tempo pieno vs. Professore a tempo definito

Si tratta di una coppia concettuale di maggior pregio scientifico sia perché espressamente considerata nella legislazione vigente sia perché la distinzione fra le due figure sarebbe facilmente attuabile utilizzando le conoscenze proprie della scienza medica. Ed invero la qualifica di “professore a tempo pieno” spetta di diritto al professore che abbia ottenuto, ai fini della assunzione in servizio, il prescritto certificato di sana e robusta costituzione fisica. La qualifica di “professore a tempo definito” andrebbe attribuita, invece, al docente che durante la prestazione del servizio venga trovato affetto (previo rigoroso accertamento di apposita commissione medica) da una patologia talmente grave da comportare una aspettativa di vita non superiore a un anno (si discute però se debba trattarsi di anno solare o di anno accademico). Dal punto di vista dello status giuridico la attribuzione della qualifica di “professore a tempo definito” comporta ovviamente un alleggerimento degli obblighi didattici e una corrispondente riduzione dello stipendio.


Professore straordinario

Titolo accademico dalle origini incerte e controverse.

Secondo taluni il termine starebbe a sottolineare uno stato di grazia nel rapporto fra il docente e la materia da lui insegnata, simile a chi ha appena conquistato la donna amata e si trova a vivere con lei le fasi esaltanti e piene di gioia dell’innamoramento che si trasforma in amore pienamente appagato. La similitudine con una precisa fase del rapporto amoroso (fase che, come è noto, non dura a lungo, essendo destinata a trasformarsi inevitabilmente in un rapporto più routinario) sarebbe confermata dalla circostanza che anche lo stato di professore straordinario non dura più di tre anni e che successivamente il docente interessato si trasforma inevitabilmente nella più prosaica figura del “professore ordinario”. Sarebbero comportamenti tipici di questo stato di grazia: una attività didattica intensa ed entusiastica se non addirittura frenetica; una partecipazione attiva e continua a convegni scientifici; una nutrita serie di pubblicazioni fra le quali spicca di regola anche un lavoro monografico (si veda la voce “monografia” di questo stesso dizionario) che confermerebbe lo stato di eccitazione emotiva, al limite del delirio, di questa figura di docente che, appunto per tale ragione, verrebbe qualificato “straordinario”. Si tratterebbe di una situazione esaltante ma, nello stesso tempo, forse estremamente stressante; ciò potrebbe spiegare lo strano paradosso – che si verifica puntualmente nella realtà – per il quale, alla fine, il professore straordinario chiede che la sua qualifica sia modificata in quella di “professore ordinario”.

Secondo una più pessimistica scuola di pensiero, decisamente minoritaria, la tesi dello “stato di grazia” di cui si è appena parlato sarebbe nient’altro che una fola per gli ingenui, una mistificante copertura (una sorta di illusione della māyā di schopenaueriana memoria) volta a mascherare la circostanza che la disciplina legislativa relativa allo status di professore straordinario sarebbe del tutto paradossale e incomprensibile. In questa prospettiva viene sottolineato come la legge preveda che il titolo di professore straordinario venga conseguito in base a un giudizio che dichiara la “piena idoneità” all’insegnamento del candidato aspirante a tale qualifica, piena idoneità che deve essere dedotta dagli studi precedenti e dai lavori pubblicati. E tuttavia questo giudizio sarebbe comunque espressione di una sorta di semiplena jurisdictio in quanto deve essere confermato da una diversa commissione giudicatrice a distanza di tre anni dal giudizio della prima. La meta raggiunta attraverso la nomina a professore viene, così, sostanzialmente dimezzata, la piena idoneità all’insegnamento dichiarata dalla prima commissione viene di fatto messa in dubbio, il candidato vincitore si trova in uno stato di sospensione destinato a rovinargli la vita per un triennio. Non uno stato di grazia, ma la paura di non essere confermato nel giudizio espresso dalla prima commissione, starebbe a fondamento dell’impegno (appunto: “straordinario”) che caratterizza le attività del primo triennio da professore (come già accennato: una attività didattica intensa e frenetica; una partecipazione attiva e continua, se non addirittura ossessiva, a convegni scientifici; una nutrita serie di pubblicazioni fra le quali spicca di regola anche un lavoro monografico). Il fondo di sostanziale sadismo che caratterizzerebbe la disciplina legislativa relativa allo status di professore “straordinario” sarebbe ulteriormente confermato, a detta della scuola di pensiero di cui si parla, anche da alcune conseguenze economiche e di carriera che accompagnano la nomina, e che evidenziano chiaramente la volontà di assicurarsi (per almeno tre anni) un lavoro “straordinario” e sottopagato. Ed invero, in tale periodo il riconoscimento dei servizi pre – ruolo viene negato e lo stipendio (spesso inferiore a quello già percepito nel ruolo precedente) viene bloccato. Ciò spiegherebbe il paradosso che l’ottimistica tesi dello “stato di grazia” non riesce a spiegare adeguatamente: la circostanza, cioè, che tutti i professori straordinari vedano come una meta ambita la trasformazione della loro qualifica in quella di professore “ordinario”.


Settore scientifico disciplinare

Etichetta collettiva finalizzata a fornire una – per molti aspetti illusoria – identità a chi è entrato a fare parte dell’accademia.
E’ infatti noto come l’attività di ricerca scientifica porti con sé il rischio di spaesamenti, di fughe dalla realtà, di momenti onirici o deliranti che talvolta possono portare a una totale perdita di identità.

Il raggruppamento scientifico disciplinare servirebbe a prevenire o a curare questi preoccupanti fenomeni fornendo al ricercatore in crisi un punto di appoggio, un ancoraggio sicuro da condividere con altri colleghi. La sensazione di fare parte di un gruppo o di una comunità rischia, tuttavia, con il rivelarsi in breve tempo del tutto illusoria. Ed invero, se si guarda ai termini in un primo tempo utilizzati per identificare i vari raggruppamenti è facile avvedersi come questi si siano tradotti in alienanti espressioni alfanumeriche che nulla avevano di confortante o di rassicurante.
Per esemplificare: è difficile, se non impossibile, ricavare un confortante senso di identità o di appartenenza da sigle del tipo B05X ( usata per indicare l’Astronomia e l’astrofisica) B02A (per indicare la Fisica teorica) o F02X (per indicare la storia della medicina), o ancora N07X (per indicare il Diritto del lavoro), D03C (per indicare Geochimica e vulcanologia). La reazione a tali alienanti classificazioni, difficili da ricordare nonché fonte anche di errori e confusione, è stata, in un primo tempo, quella di tradurre le sigle in simboli scherzosi che aiutassero a memorizzarle.

Per rimanere agli esempi citati sopra, e attraverso una convenzionale lettura dello zero come lettera “O”, i relativi raggruppamenti disciplinari vennero per un certo tempo rappresentati graficamente: con cinque BOX dai quali uscivano cinque fiammanti autovetture, con due boe (plurale di BOA) attraverso le quali passava una barca a vela con il vento in poppa, con due volpi (in inglese FOX) inseguite da una torma di cani da caccia, con sette cieli stellati con al centro la falce della luna (per rimandare a sette notti: in latino NOX), con tre bottiglie di vino DOC ecc.
Ben presto, tuttavia, fu facile avvedersi quanto fosse faticoso il metodo di procedere per associazioni fra espressioni alfanumeriche e immagini. Risale all’inizio del terzo millennio la rideterminazione, con decreto ministeriale e dopo lunghe riunioni di una commissione di studio all’uopo nominata, dei settori scientifico disciplinari. Fu deciso di non abbandonare le sigle di tipo alfanumerico ma di renderle più comprensibili separando la parte in lettere (collocata a monte di una barra verticale) da quella in cifre (collocata dopo la barra divisoria). La parte in lettere, inoltre, doveva sinteticamente (quanto meno attraverso le iniziali) evocare la specifica disciplina di riferimento.

Questo potere “evocativo” della parte in lettere, sicuramente più adeguato a rafforzare il senso di identità rispetto ai precedenti termini classificatori, si è rivelato talvolta di più ampia portata rispetto alla specifica funzione di contrassegnare uno preciso settore scientifico disciplinare. Ciò sembra, talvolta, frutto di un preciso disegno: così la sigla ICAR, che rimanda alle scienze in materia di ingegneria civile e architettura, sembra rinviare anche alla storia di Dedalo (il famoso architetto) e della triste fine di suo figlio Icaro (quasi un monito a ingegneri e architetti a tener conto anche del possibile cattivo uso delle loro invenzioni). In altre occasioni il potere “evocativo” della sigla sembra trascendere del tutto la sua originaria funzione (è il caso della sigla SECS, utilizzata per indicare le Scienze EConomico-Statistiche, spesso associata a pruriginose fantasie sulle attività extrascientifiche dei docenti universitari).

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