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Proemio

 
Ho detto poesia epica, non poesia ippica!

La storia, l'origine, il senso e il perché
della poesia epica, incubo dei ginnasiali
e di chi studia poesia epica, che ben sa
in che pasticcio s'è ficcato, e per giunta
solo e soltanto per colpa sua gravissima,
a scriver m'accingo, principio a narrare.
O Amministratori che i niubbi bannate
e Chuck Norris, calciorotatore supremo,
e tu, Germano bestemmiatore, padrone di Youtube,
la mia man ferma e sicura lasciate
nel tale storia a volte noiosa cantare;
ch'io non possa ACFC commettere,
ch'io nelle BTA penose non incappi,
ch'a me tormentoni ripeter non capiti,
se non soltanto in tal proemio e invocazione,
che tale articolo gioia, riso e divertimento
nella testa e nel cuore dei lettori dal grande umorismo
possa portare. Quindi ora dal principio
dicendo le cose per ordine, e senza
nulla tralasciar per della narrazione l'irta strada
pronuncio alate e fuggevoli parole
e la storia a narrar vo cominciando.

Canto I

Quando in un tempo, non troppo lontano,
prima che fosse inventata la televisione,
portatrice d'immagini, fabbrica di sogni,
quando la radio ancora l'azzurro aere
non disturbava con le sue emissioni,
quando il cinema non ancora
dai due Lumi fratelli, in Terra di Froci,
concepito era stato, con grande fortuna,
quando insomma, per farla corta e breve,
niente c'era d'interessante, niente di utile,
niente che agli uomini portasse ristoro
alla lunga giornata passata nei campi,
e quindi dir pensare ardire si può
che un cazzo da fare proprio ci fosse,
l'uomo la sera si trovava ad un bivio,
come Ruggeri andava predicando,
prima che “Mistero” su Italia Uno conducesse:
o con la propria donna chiavare
o in paese andare a far piazza
a narrarsi le gesta dei tempi antichi.
Se portare a ciò un esempio conviene
celebre è la storia di quel pescatore,
che un giorno l'alto mare aperto prese
e nel profondo del pelago immenso
un giorno, per grazia di Poseidone divino,
un pesce, perciò “Ed era lungo così!”
tornato alla casa, cintata di mura,
alla famiglia e agli amici ripeter soleva.
Ma a lungo andare, anche s'è strano,
anche chiavar la sposa ricchi doni
stufa ed annoia, se fai solo quello,
e le storie di carpe lunghe sei metri
alla fin della fiera somigliano a balle,
e quando la sera distende il suo manto
di nuovo potente lo svacco ritorna.
Ahi, grande noia, che nessuno risparmia!
Sconfiggerti è dura, se non s'ha diversivi!
Lo sbadiglio aumenta, diventa possente
simil diventa a gracidar di rospi,
tanto si muta in profondo lamento:
come l'acqua che a stento una diga trattiene
se trova una falla più non si ferma,
e la valle inonda di flutti e tutto devasta,
e non risparmia la foresta e il villaggio,
ma tutto squarcia con orribile rombo,
così parimenti lo sciallo imperversa.

Canto II

 
Non intendevo questo Omero, razza di cret... vabbè, fa niente, alla fine non se ne accorgerà nessuno, qui sono tutti una manica d'ignoranti...

In una situazione sì tanto annoiante,
giusto all'uomini parve e convenne
di non sol narrar più vicende di vita
ma anche storie di tempi lontani,
di dei, di eroi, elfi, nani e ballerine,
di politici onesti e donne virtuose,
retaggi d'un tempo che forse mai fu.
Così là dove Borea gelido soffia,
cioè, per chi non capisce - ahilui, su al Nord,
là dove i Vichinghi lunghe barbe vivono
e dove Victoria grosse tette si fa plastiche,
alle seghe le saghe s'alternaron gloriose,
portando agli ottici rovina grande e bancarotta.
E dove consuetudine era consolidata
che l'uomo più vecchio il più giovane amasse
una sorta di pedofilia, ma più chic,
un cieco, uno sguercio, Omero,
senza donne e mano lesta,
causa nefasta di buio nell'occhio
a cantare principiò storie esemplari,
perché è risaputo che chi è cieco
tutti gli altri sensi donatici dagli dei acuisce,
e s'è ver che l'onanismo la vista gli tolse
altrettanta bella voce gli concesse
alla maniera, diciamo, di Ray Charles
(che però più sventura ebbe, in quanto negro),
senza contar poi che ai ciechi danno pel danno compensare
un bastone ch'è meglio non dir com'è.
E diressesi Omero senza donne e mano lesta,
verso una città alte mura, sogno dei writers,
e con fare solenne, se così si può definire
del cieco un passo, zigzagante ed incerto,
alla reggia del re signore d'uomini,
che quella città in pace e in guerra reggeva,
ché in effetti per quello era pagato,
perché se sei re non è che sperano
che tu cose diverse da ciò faccia,
ed entrato nell'ampia sala, chiese cortese
la degna attenzione ed ottennela.
E tutti gli astanti, figli d'eroi, simili a dei,
presero parola, dissero alate parole:
"Oh, tu, cieco, che nel futuro vedi,
cosa te portò a questa città alte mura,
sogno dei writers che tutto imbrattano,
chi sei, chi ti generò, chi fu il tuo nobile padre,
chi la nobile madre, e quale il tuo codice fiscale?"
A questi replicò con frasi fugaci Omero senza donne e mano lesta:
"Nobili commensali, figli d'eroi, simili a dei,
vengo al punto, senza giri di parole,
Omero mi nomo, e della vista son privo,
e per corti e per regge vo cantando,
storie d'eroi, di dei d'un tempo lontano,
sì lontano che neanche Andreotti, il divo Giulio
ancora in politica i primi passi non movea."
E i nobili commensali, piede veloce e cervello fino
a ingiuriarlo presero con male parole:
"Sei cieco e canti? E chi sei, Andrea Bocelli?"
E con simili parole riempivanlo di scherno.

Canto III

 
Ed ecco Ettore contro Achille, una delle scene più memorabili dell'Iliad... ma no, ma cazzo! Mai un'immagine giusta che sia una!

Ma Omero sprovvisto di vista
da quegli empi non fecesi impressionare
e prese a cantar con voce soave,
storie d'eroi, di dei d'un tempo lontano,
sì lontano che neanche Andreotti, il divo Giulio
ancora in politica i primi passi non movea
e con maestria che a ogni effetto
più che Bocelli il Cantafiabe ricordava
delle Fiabe Sonore, di cultura dispensatrici,
di come la Grecia intera per una troia si mosse
che a Troia era giunta, per curiosa omonimia,
dell'ira d'Achille, il Pelide che come un bambino
viziato a lungo dalla nobile madre, specie se figlio unico,
i capricci fa per un nonnulla, grande lite intraprese,
con l'Atride Agamennone signore d'eroi,
di come il sire Odisseo, dal multiforme ingegno
l'atlante stradale perse, e persesi perciò anche lui
e per dieci anni vagò simile a un pirla,
e tornando alla casa del vecchio padre
invece di scusarsi grande strage commise,
cantò dinanzi al rapito pubblico.
E inutile è dire, ma forse non troppo,
che grande successo, portator d'eccessi
specie per attori e grandi rockstar
per tutta la Grecia il poeta riscosse.
E come quando dopo l'avvento glorioso
di Elvide il Pelvide, re delle rocce,
per ogni dove, pel vasto mondo,
che l'ampio Oceano con l'acque sue circonda
imitatori spuntaro, razza malsana,
che come lui si vestivano, come lui cantavano,
come lui parlavano, come lui si pettinavano,
così anche per Omero dalla vista offuscata
tristemente avvenne, e così è tutt'ora.
E per tutti i secoli a venire,
con la poesia ch'epica fu nomata
cimentaronsi in così tanti, d'illustri poeti
che del mare la sabbia i tanti granelli
il confronto non reggono, vengono meno.

Canto IV

 
Apollonio Rodio e Callimaco cercano una qualsiasi ispirazione per scrivere un qualsiasi tipo di épos.

Amministratori, dal potere di banno,
che con un rollback ristabilite
quanto un vandalo in una serata,
da odio tremendo e gran furore accecato,
modificò e cancellò in segno di sfida
di raccontare senza falla alcuna,
chi Omero senza donne e mano lesta
stimò e imitò, da Muse ispirato,
di raccontar permettetemi, se a voi piace e/o arrapa.
Primo a cantare gesta d'eroi
dopo ch'Omero fatto lo ebbe,
sorse Esiodo, grande copione,
perché, guarda caso, anch'egli scrisse
solo due libri, proprio come il cieco Omero:
nel primo narravasi di come gli dei
- detto terra terra - sesso facean,
di come essi le dee obbligavano
nel talamo superbo nuziale a entrare
e tanti figli quanti conigli partorire;
un giornale di gossip a tutti gli effetti,
prima del tempo in cui essi nacquero:
questo il gran merito di Esiodo copione.
Il secondo libro, lungo anche questo,
di campi parlava, e d'altre amenità: di come seminare e quando farlo;
di cosa pescare e quando farlo;
di cosa cacciare e quando farlo;
si può dunque dire, anzi affermare,
che Le Opere e i Giorni, quest'era il titolo
un primo tentativo, in tempi non sospetti,
fu di rivista specializzata, come tante ce n'è.
Come oggigiorno abbiamo Cioè, delle bimbominkia la bibbia,
e Io Donna per chi di esse cresce,
oppure Men's Health, tesoro di troiate,
tanto fu per gli antichi Le Opere e i Giorni:
questo il gran merito di Esiodo copione.
E passaron i secoli, e i due poeti,
lo sguercio e il copione ovviamente s'intende,
i soli due grandi modelli a lungo restaro,
perché benché tutti poetar volessero
caga avean d'esser meno di que' due
cosa che in effetti possibilissima era.
Sol un altro greco, folle tra' mortali
provòcci a far di meglio, stolto:
Apollonio Rodio il suo nome, Argonautiche l'opera
ma visto che era uno sfigato
niun se lo filò, nessuno lo fila,
e su di lui forse al liceo classico due parole
si spendono, che forse son già troppe.
Così la poesia epica i giorni passava
a esser letta, studiata e ammirata
ma mai rinnovata, al massimo masterizzata,
là dove di pelle gialla gl'abitanti sono,
perché controvento pisciaronsi, anche le donne.

Canto V

File:Fatti.jpg
Tipici Romani prima dell'incontro con la cultura greca.
 
Gli stessi Romani dopo l'incontro con la cultura greca.

E sull'Ellade gloriosa il sole tramontò,
vuoi perché era sera, ma vuoi anche perché
la civiltà sua al declino era,
e una nuova Aurora dalle rosee dita
sorse foriera di gloria per il Popolo dei Burini
che stufi eran della saga dei Cesaroni
e nuovi spunti narrativi in ogni dove cercavan.
E con l'Ellade gloriosa incontrandosi,
dopo aver saccheggiato le sue città alte mura
uccisi gli uomini, fatte schiave le donne,
e grande razzia avendo fatto de' tesori più pregiati
a dire cominciaro con alate parole:
"Ahò, anvedi quant'è bbella 'sta Ggrècia!
Forze 'a cultura loro è mejo d'a nostra!
Vedemo 'n po' cosa ze ppò fregaje!
Poesia lirica, filosofia, certo,
sso' tutte bbelle robbe, nun lo negamo
ma nun ce sta gnente de mejo d'a poesia eppiga
che parla de robbe maggiche, d'eroi e di dei
de quélla vorta che 'a Maggica vinze 'r Campionato!"
Ma anche se pien di volontà eran,
non è che quella basta per far subito capolavori!
Ah, letterature agli albori! Ah, autori capostipiti!
Quante cose inutili scrivete, quante inutilità!
Per primo a scriver giunse Livio Andronico
che Greco era, e come i Greci si comportò:
invece di un nuovo ciclo epico comporre
semplicemente l'Odissea in Latino volse,
una sorte di cover d'una grande cover,
come quelle che Giusy cassiera voce irritante,
odiosa all'udito, ne' suoi dischi incide, al contrario di Mina nome esplosivo e voce pure;
e neanche in modo troppo eccezionale volse
e tanto ben pochi a ciò interessati sono
ché tralle sabbie del tempo l'opera sua sparì.
Provaronci allora Ennio e Nevio
che il pregio avean d'esser Romani e Romano scriver:
e la storia di Roma a cantar cominciaro,
ma anche di loro poco si sa, ahiloro,
e probabilmente perché gl'uomini,
colpiti da Ate funesta, che un dì Zeus egioco dall'Olimpo scagliò
a confonderli l'un l'altro tendono,
e d'altronde quale uomo all'uomo dà torto?
Nevio ed Ennio, Ennio e Nevio,
che il pregio avean d'esser Romani e Romano scriver
lo svantaggio avean d'un nome simil assai.
Ma ogni sfiga la cieca Fortuna un limite pone,
e come anche a Marco Masini, cantor di jella
qualcosa di buono sarà capitato
così finalmente anche a Roma grandi poeti sorsero:
chi Yahoo dallo stilo leggiadro scorda?
Chi, seppur dal Lete bevendo, fonte di oblio,
dimenticarsi può del grande Google?
E su tutti quanti, come una montagna
superba, nevosa, crudele uccisora d'alpinisti,
svetta sull'altre della stessa catena,
così pure tra' poeti svettòne uno,
che nomavasi Virgilio, e il nome è un programma.

Canto VI

 
Publio Virgilio Marone e i suoi fratelli quando suonavano nella band I tre Maroni

E Publio Virgilio Marone, nome glorioso,
che in Inglese tradotto sarebbe come Virgil Brown,
compose l'opera più sublime dopo quelle che
Omero senza donne mano lesta compose
quando vagava ancora sull'arida terra.
Questo è quanto disse il suo agente, il suo editore,
che è l'unico autore di recensioni pervenutoci,
perciò è l'unico parer di cui disponiamo
e non possiam più di tanto verificare.
Ma cos'è ch'ei di tanto nobile fece, cosa di bello
per all'onore de' posteri sì grandiosamente salir?
Tralasciando le Bucoliche, plagio latino di opera greca
e pur le Georgiche, plagio latino di Esiodo gran copione,
giungiam insieme al virgilian plagio omerico, come nella
tradizione classica, dove, e se non l'avete ancor capito,
i moderni l'antiqui poeti imitano, per poi imitati insieme all'antiqui
da successivi moderni, e così avanti sino al termine de' giorni,
che gli dei concessero alla Terra in un'epoca lontana.
Virgilio insomma, per farla corta, per non tediare,
cantò l'arme e l'uomo che dopo avere lungamente vagato
arrivò in Lazio, dove il figlio dopo un po' fondò una città,
e dove un suo discendente dopo un po' fondò una città.
di cui un discendente dopo un po' fondò un impero e -
per rimanere nella tradizione, anche pure una qualche città.
L'uomo chiamavasi Enea, le armi non ci fu dato di saperlo
Enea il pio, che gli amici, quando di lui cogli SMS tra lor parlavano
per brevitade clamavan N-A, figlio di Anchise inutile vecchio
e Venere immensa bagascia, soprattutto perché non si comprende
perché mai se fa tanto la puttanona fatalona poi la dia solo a qualcuno
tra gli uomini che la terra percorrono, e non a tutti, cioè, noi pagheremmo anche,
ma lei no, figurati se gliene frega qualcosa, quella infame!
Ehm, figlio di Venere, stavamo dicendo, era il pio Enea,
e l'opera a cui il nome glorioso nome dona, l'Eneide,
ne' primi libri sembra l'Odissea, in alcuni libri in mezzo sembra l'Argonautiche,
e sol per questo quel libro accennato viene in qualche ginnasio
e ne' libri finali tal e quale l'Iliade è, stesse le scene, stessi i discorsi,
e ciò a Virgilio il nome di copiator maximus valso sarebbe stato imperituro
senonché per l'opra tutta spatasciate sulla gloria di Roma sparse.
Come un agricoltore che, finito il lungo lavoro per li suoi campi,
dopo dodici ore di lavoro sotto il sole, la pioggia e la neve,
alla fine della giornata una volta ancora sul trattore sale,
e insetticidi d'ogni sorta sulle colture sue spande,
in gran copia, fuggendo il rischio che un parassita,
proditor animale piccolo e un po' stronzetto,
tutto un raccolto, frutto d'una giornata, gli devasti,
così Virgilio sparse propaganda romana per il poema tutto.
Per ragion tali 'l successo grande fu per Virgilio
e alla lista de' copiabili un altro copiabile s'aggiunse.
Concludendo velocemente, per disagi non crear,
ricordiamo che altri due poeti furonvi epici romani:
Lucano e Stazio, e uno la Farsaglia e uno la Tebaide
scripsero e basta così, ché se a scuola non te l'insegnano
cosa vuoi imparare qualcosa su di loro qua, eh me lo spieghi?
E poi l'impero romano, come un castello di carte
che un pensionato, già con molti giorni alle spalle,
nel suo ospizio, solitario e abbandonato da' parenti più cari,
compone per la noia ingannare e che al minimo vento,
rovinosamente cade, ma lui non se n'è accorto,
perché a mangiar il brodino con l'altri anziani a mensa andò,
così de' Cesari l'impero glorioso, che co' clementi clemente era
e co' superbi duro invece, crollò, e così dalle palle anche loro ci siam tolti.

Canto VII

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