Poesia epica

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Proemio

Ho detto poesia epica, non poesia ippica!

La storia, l'origine, il senso e il perché[1]
della poesia epica, incubo dei ginnasiali
e di chi studia poesia epica, che ben sa
in che pasticcio s'è ficcato, e per giunta
solo e soltanto per colpa sua gravissima,
a scriver m'accingo, principio a narrare.
O Amministratori che i niubbi bannate
e Chuck Norris, calciorotatore supremo,
e tu, Germano bestemmiatore, padrone di Youtube,
la mia man ferma e sicura lasciate
nel tale storia a volte noiosa cantare;
ch'io non possa ACFC commettere,
ch'io nelle BTA penose non incappi,
ch'a me tormentoni ripeter non capiti,
se non soltanto in tal proemio e invocazione,
che tale articolo gioia, riso e divertimento
nella testa e nel cuore dei lettori dal grande umorismo
possa portare. Quindi ora dal principio
dicendo le cose per ordine, e senza
nulla tralasciar per della narrazione l'irta strada
pronuncio alate e fuggevoli parole
e la storia a narrar vo cominciando.

Canto I

Quando in un tempo, non troppo lontano,
prima che fosse inventata la televisione,
portatrice d'immagini, fabbrica di sogni,
quando la radio ancora l'azzurro aere
non disturbava con le sue emissioni,
quando il cinema non ancora
dai due Lumi fratelli, in Terra di Froci,
concepito era stato, con grande fortuna,
quando insomma, per farla corta e breve,
niente c'era d'interessante, niente di utile,
niente che agli uomini portasse ristoro
alla lunga giornata passata nei campi,
e quindi dir pensare ardire si può
che un cazzo da fare proprio ci fosse,
l'uomo la sera si trovava ad un bivio,
come Ruggeri andava predicando,
prima che “Mistero” su Italia Uno conducesse:
o con la propria donna chiavare
o in paese andare a far piazza
a narrarsi le gesta dei tempi antichi.
Se portare a ciò un esempio conviene
celebre è la storia di quel pescatore,
che un giorno l'alto mare aperto prese
e nel profondo del pelago immenso
un giorno, per grazia di Poseidone divino,
un pesce, perciò “Ed era lungo così!”
tornato alla casa, cintata di mura,
alla famiglia e agli amici ripeter soleva.
Ma a lungo andare, anche s'è strano,
anche chiavar la sposa ricchi doni
stufa ed annoia, se fai solo quello,
e le storie di carpe lunghe sei metri
alla fin della fiera somigliano a balle,
e quando la sera distende il suo manto
di nuovo potente lo svacco ritorna.
Ahi, grande noia, che nessuno risparmia!
Sconfiggerti è dura, se non s'ha diversivi!
Lo sbadiglio aumenta, diventa possente
simil diventa a gracidar di rospi,
tanto si muta in profondo lamento:
come l'acqua che a stento una diga trattiene
se trova una falla più non si ferma,
e la valle inonda di flutti e tutto devasta,
e non risparmia la foresta e il villaggio,
ma tutto squarcia con orribile rombo,
così parimenti lo sciallo imperversa.

Canto II

Non intendevo questo Omero, razza di cret... vabbè, fa niente, alla fine non se ne accorgerà nessuno, qui sono tutti una manica d'ignoranti...

In una situazione sì tanto annoiante,
giusto all'uomini parve e convenne
di non sol narrar più vicende di vita
ma anche storie di tempi lontani,
di dei, di eroi, elfi, nani e ballerine,
di politici onesti e donne virtuose,
retaggi d'un tempo che forse mai fu.
Così là dove Borea gelido soffia,
cioè, per chi non capisce - ahilui, su al Nord,
là dove i Vichinghi lunghe barbe vivono
e dove Victoria grosse tette si fa plastiche,
alle seghe le saghe s'alternaron gloriose,
portando agli ottici rovina grande e bancarotta.
E dove consuetudine era consolidata
che l'uomo più vecchio il più giovane amasse
una sorta di pedofilia, ma più chic,
un cieco, uno sguercio, Omero,
senza donne e mano lesta,
causa nefasta di buio nell'occhio
a cantare principiò storie esemplari,
perché è risaputo che chi è cieco
tutti gli altri sensi donatici dagli dei acuisce,
e s'è ver che l'onanismo la vista gli tolse
altrettanta bella voce gli concesse
alla maniera, diciamo, di Ray Charles
(che però più sventura ebbe, in quanto negro),
senza contar poi che ai ciechi danno pel danno compensare
un bastone ch'è meglio non dir com'è.
E diressesi Omero senza donne e mano lesta,
verso una città alte mura, sogno dei writers,
e con fare solenne, se così si può definire
del cieco un passo, zigzagante ed incerto,
alla reggia del re signore d'uomini,
che quella città in pace e in guerra reggeva,
ché in effetti per quello era pagato,
perché se sei re non è che sperano
che tu cose diverse da ciò faccia,
ed entrato nell'ampia sala, chiese cortese
la degna attenzione ed ottennela.
E tutti gli astanti, figli d'eroi, simili a dei,
presero parola, dissero alate parole:
"Oh, tu, cieco, che nel futuro vedi,
cosa te portò a questa città alte mura,
sogno dei writers che tutto imbrattano,
chi sei, chi ti generò, chi fu il tuo nobile padre,
chi la nobile madre, e quale il tuo codice fiscale?"
A questi replicò con frasi fugaci Omero senza donne e mano lesta:
"Nobili commensali, figli d'eroi, simili a dei,
vengo al punto, senza giri di parole,
Omero mi nomo, e della vista son privo,
e per corti e per regge vo cantando,
storie d'eroi, di dei d'un tempo lontano,
sì lontano che neanche Andreotti, il divo Giulio
ancora in politica i primi passi non movea."
E i nobili commensali, piede veloce e cervello fino
a ingiuriarlo presero con male parole:
"Sei cieco e canti? E chi sei, Andrea Bocelli?"
E con simili parole riempivanlo di scherno.

Canto III

Ed ecco Ettore contro Achille, una delle scene più memorabili dell'Iliad... ma no, ma cazzo! Mai un'immagine giusta che sia una!

Ma Omero sprovvisto di vista
da quegli empi non fecesi impressionare
e prese a cantar con voce soave,
storie d'eroi, di dei d'un tempo lontano,
sì lontano che neanche Andreotti, il divo Giulio
ancora in politica i primi passi non movea
e con maestria che a ogni effetto
più che Bocelli il Cantafiabe ricordava
delle Fiabe Sonore, di cultura dispensatrici,
di come la Grecia intera per una troia si mosse
che a Troia era giunta, per curiosa omonimia,
dell'ira d'Achille, il Pelide che come un bambino
viziato a lungo dalla nobile madre, specie se figlio unico,
i capricci fa per un nonnulla, grande lite intraprese,
con l'Atride Agamennone signore d'eroi,
di come il sire Odisseo, dal multiforme ingegno
l'atlante stradale perse, e persesi perciò anche lui
e per dieci anni vagò simile a un pirla,
e tornando alla casa del vecchio padre
invece di scusarsi grande strage commise,
cantò dinanzi al rapito pubblico.
E inutile è dire, ma forse non troppo,
che grande successo, portator d'eccessi
specie per attori e grandi rockstar
per tutta la Grecia il poeta riscosse.
E come quando dopo l'avvento glorioso
di Elvide il Pelvide, re delle rocce,
per ogni dove, pel vasto mondo,
che l'ampio Oceano con l'acque sue circonda
imitatori spuntaro, razza malsana,
che come lui si vestivano, come lui cantavano,
come lui parlavano, come lui si pettinavano,
così anche per Omero dalla vista offuscata
tristemente avvenne, e così è tutt'ora.
E per tutti i secoli a venire,
con la poesia ch'epica fu nomata
cimentaronsi in così tanti, d'illustri poeti
che del mare la sabbia i tanti granelli
il confronto non reggono, vengono meno.

Canto IV

Apollonio Rodio e Callimaco cercano una qualsiasi ispirazione per scrivere un qualsiasi tipo di épos.

Amministratori, dal potere di banno,
che con un rollback ristabilite
quanto un vandalo in una serata,
da odio tremendo e gran furore accecato,
modificò e cancellò in segno di sfida
di raccontare senza falla alcuna,
chi Omero senza donne e mano lesta
stimò e imitò, da Muse ispirato,
di raccontar permettetemi, se a voi piace e/o arrapa.
Primo a cantare gesta d'eroi
dopo ch'Omero fatto lo ebbe,
sorse Esiodo, grande copione,
perché, guarda caso, anch'egli scrisse
solo due libri, proprio come il cieco Omero:
nel primo narravasi di come gli dei
- detto terra terra - sesso facean,
di come essi le dee obbligavano
nel talamo superbo nuziale a entrare
e tanti figli quanti conigli partorire;
un giornale di gossip a tutti gli effetti,
prima del tempo in cui essi nacquero:
questo il gran merito di Esiodo copione.
Il secondo libro, lungo anche questo,
di campi parlava, e d'altre amenità: di come seminare e quando farlo;
di cosa pescare e quando farlo;
di cosa cacciare e quando farlo;
si può dunque dire, anzi affermare,
che Le Opere e i Giorni, quest'era il titolo
un primo tentativo, in tempi non sospetti,
fu di rivista specializzata, come tante ce n'è.
Come oggigiorno abbiamo Cioè, delle bimbominkia la bibbia,
e Io Donna per chi di esse cresce,
oppure Men's Health, tesoro di troiate,
tanto fu per gli antichi Le Opere e i Giorni:
questo il gran merito di Esiodo copione.
E passaron i secoli, e i due poeti,
lo sguercio e il copione ovviamente s'intende,
i soli due grandi modelli a lungo restaro,
perché benché tutti poetar volessero
caga avean d'esser meno di que' due
cosa che in effetti possibilissima era.
Sol un altro greco, folle tra' mortali
provòcci a far di meglio, stolto:
Apollonio Rodio il suo nome, Argonautiche l'opera
ma visto che era uno sfigato
niun se lo filò, nessuno lo fila,
e su di lui forse al liceo classico due parole
si spendono, che forse son già troppe.
Così la poesia epica i giorni passava
a esser letta, studiata e ammirata
ma mai rinnovata, al massimo masterizzata,
là dove di pelle gialla gl'abitanti sono,
perché controvento pisciaronsi, anche le donne.

Canto V

Tipici Romani prima dell'incontro con la cultura greca.
Gli stessi Romani dopo l'incontro con la cultura greca.

E sull'Ellade gloriosa il sole tramontò,
vuoi perché era sera, ma vuoi anche perché
la civiltà sua al declino era,
e una nuova Aurora dalle rosee dita
sorse foriera di gloria per il Popolo dei Burini
che stufi eran della saga dei Cesaroni
e nuovi spunti narrativi in ogni dove cercavan.
E con l'Ellade gloriosa incontrandosi,
dopo aver saccheggiato le sue città alte mura
uccisi gli uomini, fatte schiave le donne,
e grande razzia avendo fatto de' tesori più pregiati
a dire cominciaro con alate parole:
"Ahò, anvedi quant'è bbella 'sta Ggrècia!
Forze 'a cultura loro è mejo d'a nostra!
Vedemo 'n po' cosa ze ppò fregaje!
Poesia lirica, filosofia, certo,
sso' tutte bbelle robbe, nun lo negamo
ma nun ce sta gnente de mejo d'a poesia eppiga
che parla de robbe maggiche, d'eroi e di dei
de quélla vorta che 'a Maggica vinze 'r Campionato!"
Ma anche se pien di volontà eran,
non è che quella basta per far subito capolavori!
Ah, letterature agli albori! Ah, autori capostipiti!
Quante cose inutili scrivete, quante inutilità!
Per primo a scriver giunse Livio Andronico
che Greco era, e come i Greci si comportò:
invece di un nuovo ciclo epico comporre
semplicemente l'Odissea in Latino volse,
una sorte di cover d'una grande cover,
come quelle che Giusy cassiera voce irritante,
odiosa all'udito, ne' suoi dischi incide,
al contrario di Mina nome esplosivo e voce pure;
e neanche in modo troppo eccezionale volse
e tanto ben pochi a ciò interessati sono
ché tralle sabbie del tempo l'opera sua sparì.
Provaronci allora Ennio e Nevio
che il pregio avean d'esser Romani e Romano scriver:
e la storia di Roma a cantar cominciaro,
ma anche di loro poco si sa, ahiloro,
e probabilmente perché gl'uomini,
colpiti da Ate funesta, che un dì Zeus egioco dall'Olimpo scagliò
a confonderli l'un l'altro tendono,
e d'altronde quale uomo all'uomo dà torto?
Nevio ed Ennio, Ennio e Nevio,
che il pregio avean d'esser Romani e Romano scriver
lo svantaggio avean d'un nome simil assai.
Ma ogni sfiga la cieca Fortuna un limite pone,
e come anche a Marco Masini, cantor di jella
qualcosa di buono sarà capitato
così finalmente anche a Roma grandi poeti sorsero:
chi Yahoo dallo stilo leggiadro scorda?
Chi, seppur dal Lete bevendo, fonte di oblio,
dimenticarsi può del grande Google?
E su tutti quanti, come una montagna
superba, nevosa, crudele uccisora d'alpinisti,
svetta sull'altre della stessa catena,
così pure tra' poeti svettòne uno,
che nomavasi Virgilio, e il nome è un programma.

Canto VI

Publio Virgilio Marone e i suoi fratelli quando suonavano nella band I tre Maroni

E Publio Virgilio Marone, nome glorioso,
che in Inglese tradotto sarebbe come Virgil Brown,
compose l'opera più sublime dopo quelle che
Omero senza donne mano lesta compose
quando vagava ancora sull'arida terra.
Questo è quanto disse il suo agente, il suo editore,
che è l'unico autore di recensioni pervenutoci,
perciò è l'unico parer di cui disponiamo
e non possiam più di tanto verificare.
Ma cos'è ch'ei di tanto nobile fece, cosa di bello
per all'onore de' posteri sì grandiosamente salir?
Tralasciando le Bucoliche, plagio latino di opera greca
e pur le Georgiche, plagio latino di Esiodo gran copione,
giungiam insieme al virgilian plagio omerico, come nella
tradizione classica, dove, e se non l'avete ancor capito,
i moderni l'antiqui poeti imitano, per poi imitati insieme all'antiqui
da successivi moderni, e così avanti sino al termine de' giorni,
che gli dei concessero alla Terra in un'epoca lontana.
Virgilio insomma, per farla corta, per non tediare,
cantò l'arme e l'uomo che dopo avere lungamente vagato
arrivò in Lazio, dove il figlio dopo un po' fondò una città,
e dove un suo discendente dopo un po' fondò una città.
di cui un discendente dopo un po' fondò un impero e -
per rimanere nella tradizione, anche pure una qualche città.
L'uomo chiamavasi Enea, le armi non ci fu dato di saperlo
Enea il pio, che gli amici, quando di lui cogli SMS tra lor parlavano
per brevitade clamavan N-A, figlio di Anchise inutile vecchio
e Venere immensa bagascia, soprattutto perché non si comprende
perché mai se fa tanto la puttanona fatalona poi la dia solo a qualcuno
tra gli uomini che la terra percorrono, e non a tutti, cioè, noi pagheremmo anche,
ma lei no, figurati se gliene frega qualcosa, quella infame!
Ehm, figlio di Venere, stavamo dicendo, era il pio Enea,
e l'opera a cui il nome glorioso nome dona, l'Eneide,
ne' primi libri l'Odissea sembra e in alcuni libri
in mezzo l'Argonautiche sembra,
(e sol per questo quel libro
accennato viene in qualche ginnasio)
e ne' libri finali tal e quale
all'Iliade è, stesse le scene, stessi i discorsi,
e ciò a Virgilio il nome di copiator
maximus valso sarebbe stato imperituro
senonché per l'opra sua tutta
spatasciate sulla gloria di Roma sparse.
Come un agricoltore che,
finito il lungo lavoro per li campi suoi ,
dopo dodici ore di lavoro sotto il luminoso sole,
la pioggia e la neve, che dal cielo scendon
e non vi ritornano senza irrigare
e far germogliare la terra,
alla fine della giornata una volta ancora
sul trattore dal lamborghinoso motor sale,
e insetticidi d'ogni sorta sulle colture sue spande,
in gran copia, fuggendo il rischio che un parassita,
proditor animale piccolo e un po' stronzetto,
tutto un raccolto, frutto d'una giornata, gli devasti,
così Virgilio sparse propaganda romana per il poema tutto.
Per ragion tali 'l successo grande fu per Virgilio
e alla lista de' copiabili un altro copiabile s'aggiunse.
Concludendo velocemente, per disagi non crear,
ricordiamo che altri due poeti furonvi epici romani:
Lucano e Stazio, e uno la Farsaglia e uno la Tebaide
scripsero e basta così, ché se a scuola non te l'insegnano
cosa vuoi imparare qualcosa su di loro qua, eh me lo spieghi?

Tuttavia io, e per amor di sapïenza e per speme di lodo, brevemente

la prima, se lo vorrà la Musa faccia di bronzo, verrò cantando.

Prima dunque che della vena del vate, di Lucano    ingegno splendente,

il sangue rosso Barbera sgorgasse, il fiato estremo con sé trascinando

del poeta anzitempo, dallo stilo punta affilata già otto

libri erano nati, rapidi come dardi scagliati dall'arco d'argento

di Apollo Sminteo arciere, gloria dei Teucri destino funesto,

che dolorosi e delle altissime gesta e della fine straziante

di Pompeo il Grande signore d'eserciti narravano con parole veraci,

e di Cesare spietato verbo di serpe le azioni crudeli,

causa del conflitto civile. Oh, funesto giorno per


Roma

quello in cui il fratello contro il fratello, il figlio contro il padre

per primo prese le armi, il sacro suolo impregnandosi

di fraterno sangue. Tre volte maledetta la stirpe di Cnidia ricci piastrati,

che di lei solo conservò la crudeltà e l'inganno! E Pompeo intanto,

profugo per voler del fato, per le piane della terra d'Emazia

rovinosa, con sé conducendo le prode schiere romane, vagava.

E giunse il giorno fatale: da una parte e dall'altra i Quiriti toghe di bronzo

si scontrarono con crudele spargimento di sangue.

Fuggì il Grande lontano dalla rossa Farsalo su concave navi

per trovare altrove più orrida fine: il magnanimo capo in Egitto

troncato gli fu, per atto nefando di Cesare glorioso;

La libertà dei Quiriti tutti luminosi, gloria del Tonante

che assiso siede in Campidoglio marmo splendente

insieme al suo condottiero in misero tumulo deposta

perì nel verde Egitto terra prospera nel giorno di sangue.
E l'impero romano, come un castello di carte
che un pensionato, già con molti giorni alle spalle,
nel suo ospizio, solitario e abbandonato da' parenti più cari,
compone per la noia ingannare e che al minimo vento,
rovinosamente cade, ma lui non se n'è accorto,
perché a mangiar il brodino con l'altri anziani a mensa andò,
così de' Cesari l'impero glorioso,
che co' clementi clemente era
e co' superbi duro invece, crollò,
e così dalle palle anche loro ci siam tolti.

Canto VII

Dell'epica successiva poco da dir c'è:
difatti nello Medioevo l'epica non c'è.











Vabbè, a esser sinceri sinceri[2],
come Pinocchio, legnoso burattino,
dopo esser entrato e uscito da balenoso ventre
buono diventò e non più bugiardo
qualcosa d'epico nella medioeval letteratura fucci
ma ch'epico considerato fu ben poco,
in quanto plagio immenso d'omerica opera
non era, bensì rivisitazion moderna e cristiana di esso
e l'esser originali e l'esser cristiano
palese è che contro l'epica sia.
Ma giusto per completezza,

Dante Alighieri che consulta il dizionario dei sinonimi e dei contrari per scrivere il suo mattone

d'altronde due volte citammo pur l'Argonautiche
che un cazzo valgono assolutamente,
e anco Lucano e Stazio, illustri sconosciuti,
qui cantati saran dell'età mediana l'epici sforzi:
e cantato sarà d'Orlando il valore e il coraggio
che seguir una qualsiasi logica militar non volle
e farsi massacrar inutilmente da' Saraceni preferì
e per ogni nobil cavaliere che l'Europa solcava
esempio chiarissimo per secoli fu.
L'autor del testo ch'ora narrai
nomato era Turoldo, e qui si capisce
perché conoscanolo: chiamato così...
e l'altra nuga, l'altra bazzecola,
che dell'irrilevante Cristianesimo,
di smidollati la religione, altro che Zeus,
dio che dell'uomo mai interessòssi,
(ma che delle donne grand'intenditore fu)
fu d'epica lo texto portante,
da un tale chiamato Dante
scritta, pensata, composta e dettata
venne. E quel ch'ei compose
dirsi si puote all'epica simigliante,
e non solo la storia d'uno che
fa cose, va in posti e conosce gente,
perché quel che del libro protagonista è
come guida dello doloroso viaggio suo ha
nientepopodimeno che il buon Virgilio,
perfettisssimo per la navigazione;
e poi, soprattutto, conto tenete
che s'epica cristiana chiamarla non si puote,
allora, cari i miei furbini,
come diamine lo si può definire 'sto volumazzo
che Dante naso adunco e accento toscano
un dì di comporre decise, quel pazzo?
Così dunque nell'età mediana piano piano
composta era. Alla faccia del cazzo!
E perdonatemi, ché anch'io son umano.

Canto VIII

Ludovico Ariosto dopo aver scritto qualche ottava era così stanco che si faceva certe scorpacciate... non deve fare per forza ridere, è la verità.

L'età mediana terminata, il Rinascimento giunse,
e a cultura cristiana, una semipagana riaffermòssi.
Via dalla letteratura, via da' quadri,
via dalle statue, via dalle chiese,
temi medievali o, peggio, cristiani.
Così pure nell'epica, grande immortale
della letteratura mondiale, alla tradizione
tornaron i letterati. Come quei giovani
che attorno al 1968 furon tali
e che allora l'educazione convenzionale rifiutaro
vivendo da hippie figli de' fiori,
fumando canne, votando que' partiti
che ritenean i comunisti esser di destra,
tant'eran di mancina parte,
e che dopo la laurea come d'incanto
pian pian mòderansi e che al giorno d'oggi
compatti insieme il PDL felici votano co' padri
ch'un tempo avversaron, così alla tradizione
tornaron i letterati del Rinascimento.
E di qui ovvio viene che di nuovo
Omero senza donne e mano svelta,
Esiodo gran copione e pure Virgilio
a ricopiar e a riplagiar principiarono.
Oddio, già Petrarca cent'anni prima,
quando su Laura seghe non si facea,
composto avea un'opera epica, Africa
chiamata, ma che dell'Argonautiche bene o male
ha lo stesso valore, se non peggio,
contando che in più nel peggio latino era scritta.
Ma per non uscire dal seminato, come quelli
che pei sentier dell'alta montagna
incamminansi di notte, e sì facendo
dal sentiero sicuro senz'accorgersi escono
e nel profondo e scuro burrone rischian di
cadere[3], allor senza giri di parole,
nella trattazione finiràssi
di chi in quest'età più bravo a copiar fu.
E dall'Ariosto si parte, che non solo,
Iliade ed Eneide ad arte plagiò,
interi episodii copiando ed incollando
con una vernice scintillante da frivolo
racconto d'amori sfigati, ma pure
poemi medievali e uno di uno
che appena trent'anni prima sulla stessa storia
ch'ei trattava, ossia di come Orlando,
per un due di picche peggio diventa
d'un'isterica donna mestruata scritto avea
incetta impunita fece, e da questo bel mischione[4]
un successo e palate di soldi fece.
Il secondo di cui ivi si tratta
più dell'Orlando mestruato pazzo era
anche se questo non gl'impedì, ahimè,
di scriver, poetare, e poi ancora,
riscriver e ripoetare, in quanto mai
soddisfatto fu dell'opere sue.
E in effetti torto non dargli non si puote:
mai opera più paccosa, noiosa e pesante,
ambigua e pazzoide, e anche un po' piscopatica
oltre ovviamente plagiante de' modelli antiqui
concepita fu: Torquato Tasso fu 'l nome suo
e Gerusalemme Liberata quel del libro.
Tutti ne parlan, tutti l'aborrono
io non lo lessi, parlarne non posso
parlarne non voglio, parlarne non devo,
ricordar non voglio un sì grande dolore[5]
E dopo il Tasso, per molto a lungo,
più di epica non si scrisse
perché fu inventato il diritto d'autore.
Così finìa dell'epica la stagione.

Canto IX

Narrata e descritta pertanto la storia,
di come sviluppòssi l'épos,
ch'altro non è che 'l nome breve e greco
per poesia epica con fugaci parole dire
lo stilo mio adesso prosegue
dicendo ogni cosa per ordine e senza giri di parole
di quali le specificità sien
d'un gener che tanta diffusione e fortuna,
amore e gentilezza, furbizia e sincerità
nell'umana istoria glorioso ebbe.
Prima di tutto, per chi non se n'accorse
un genere poetico sarebbe, e ciò è provato
da molte cose, tra cui la più notevole
è che scritto in versi di norma è,
e ciò è causato dal fatto
che non ancora l'Ermetismo suggerito non avea
che anche una poesia d'un solo verso lo è l'idea
e quando una poesia ha un solo verso
si può anche pensare che sia prosa,
tanto è un solo verso, chi se n'accorge?
In secondo luogo, essa tratta
di cose sì antiche ed arcane
che non ancora Piero Angela il mondo percorrea
e co' dinosauri non ancora amabili discorsi
nelle giurassiche selve intratteneva.[6]
Storie d'eroi, possibilmente eroi tuoi,
o che il tuo popolo fondaro
o che almeno amici gli eran
o che almeno una volta in suo favore
l'Otto per Mille abbian devoluto.
E tali eroi combatter debbon
non far flanella, non cazzeggiare
in simposii da checche o davanti alla tele.
Quindi, insomma, da ciò s'evince
che la poesia epica altro non è
che poesia che narra le imprese
avventurose, sprezzanti ed ardite
di assassini massacratori che nel tempo libero
i capipopolo facean e fondavan città.
E se niente del genere narri,
con profusione di versi tendente al troppo
allora vuol dire che non sai fare l'epica.
E, se di dirlo permettemelo chi di dovere,
caro mio, uno sfigato sei, in veritade.

Canto X

Non sapresti descrivere poeticamente una scena simile? I poeti epici invece sì!

Per cominciare per bene un poema,
sapere conviene un paio di cose:
chi non partisse con un proemio decente
farebbe del pezzente la trista figura:
prima si annuncia, con formulette
che ti ricopi da altri proemi
giusto per darti quell'aria da colto
che l'altri poemi a menadito conosci
tanto da permetterti con grande scioltezza
d'impunemente citarli e far gran figura,
l'argomento che tratti, e un po' lo riassumi
sapendo poi tanto sia tu sia lo lectore
che per dipanarlo tutto al completo
almeno mille versi buoni c'impieghi.
Subito dopo, devesi farlo
invochi chi vuoi per ispirarti:
bene tu sai che non t'ispirerà
ma tutti prima di te lo fecero,
ben conviene piace che lo faccia anche tu.
Mettici dentro un po' di linguaggio,
che manco ne' libri si trova oggigiorno
in lunghi periodi imbriglia i tuoi versi
e comparazioni col mondo naturale
per spiegare concetti adopera a iosa:
e se a questo sempre gl'istessi
aggettivi porrai a' tuoi personaggi
presto un poema tu epico avrai.
E grandi descrizioni non dimenticar!
Non so metti che d'una pugna tu parli
cosa non rara in un poema epico
tu dirai che tutti que' militi
d'opposte schiere affrontavansi
accostando lancia a lancia, scudo a scudo, l'uno sull'altro
sì che scudo s'appoggiava a scudo, elmo ad elmo, uomo ad uomo;
sì sfioravano gli elmi criniti, con i cimieri splendidi,
all'ondeggiar delle teste, tant'eran fitti tra loro;
s'assiepavano le lance, agitate da mani possenti:
puntavano dritti allo scontro, bramosi di battersi.
E se vuoi sapere perché come descrizione questa ben vada
il motivo è perché l'ho copiata pari passo dall'Iliade.

Canto XI

Or se però voi angustiati,
vi domandaste se più tal gioiello
della nostra cultura superba e benigno,
per sempre lasciòcci soli a 'sto mondo
non disperate, ché così non è:
ancora l'epica a' nostri giorni rimane.
Basti pensare a quante saghe ed epopee
ogni giorno i media rincoglionitori di genti
propinanci con costante frequenza,
al cinema, alla tele, ne' libri e a teatro
qualora qualcuno a teatro andasse, dolce utopia.
Chi per esempio negar podria,
ch'epica non è di quell'uomo la storia
che con d'un kalashnikov la sola compagnia
o d'un bazooka, dipende dal film,
ammattitto e reietto dal consorzio umano
quello comunque salva con prodigiose azioni
che lui contro il mondo vedono sempre?

O forse epica non è la vicenda
d'un universitario professor, razza dannata,
che con d'una frusta la sola compagnia
o d'una frusta, come nel film prima,
sperduti tesori pel mondo va cercando
contro bipartisan nemici, comunisti o nazisti?

E come di Prometeo il grande spregio
dinanzi al supplizio a cui Zeus Ctonio
condannòllo per aver all'uomo il fuoco dato
o Capaneo Argivo che là presso Dite
impassibil fuoco tremendo pativa
per aver di superbia gravemente peccato
o d'Ettore Priamide il gran coraggio,
d'andar contro Achille bambino viziato
sicuro della morte, ma deciso a resistere,
così lodabile è la stoica accettazione
e l'epica resitenza di conseguenza
di chi ogni giorno la televisione accende,
tornato dal lavoro al suo focolare
dove la moglie e i figli lo aspettano,
e sopportar deve tutto il pattume
di reality, talk show e soap opera,
come Amici, Ballarò, Beautiful e Un Posto al Sole.
E poi in fin de' conti, cos'è altro
una soap opera se non l'epica storia
d'un clan famigliare che per anni va avanti
tra divorzi, corna, morti vere o fasulle,
figli segreti ed eccitanti rivelazioni
e che nel mar della storia impone la propria?

Canto XII

Così dunque l'epica funziona,
a questo serve e in tal modo fu scritta:
sempre fu amata da' poeti e da' pazzi
che abbiamo incontrato per strada
sempre fu odiata dalli studenti tapini
ch'al liceo classico - sventurati - d'andar decisero
con la speranza di meno matematica fare,
scoprendo che non solo la matematica c'è
e di sovente la media de' voti abbassa,
ma ch'inoltre l'altre materie,
pesanti come un grande masso di montagna
(che neanche tre uomini riuscirebbero
a facilmente alzare) ci sono, e che tra queste
lo studio di poemi e poemetti si trova.
E verso la fine di questo andiamo
che se pensaste che troppo lungo fosse
aveste ragione, in quanto lo è:
ma d'altronde, cari amici, è così che è
la poesia epica; e siete pure fortunati,
perché potevo anche metterci il testo
a fronte in Greco, o dilungarmi poteo
sull'epica nordica o mesopotamica
Parlare poteo di Gilgamesh il Sumero
che a lungo dell'immortalità invano cercò;
parlarvi poteo dell'epica ebraica,
cioè quello che la Bibbia racconta
e che nonostante la virtù sua letteraria
mai a scuola si studia, e fors'è anche meglio;
oppure di Loki gl'intrighi funesti
della di Thor bontade, di Odin la saggezza
cantare potevo. E di Sigfrido lo splendente,
del suo per Crimilde grande amor
e de' Nibelunghi l'altre famose gesta
cantare potevo. E in fondo, visto che bastardo
un poco io sono, un po' qui raccontaivela.
Ma tempo è ora di deporre lo stilo
ch'a lungo impugnai come fa il segaiolo
con un arnese che poi scrive bianco
quando le gesta di Jenna o d'Eva ei segue
e poi con quel suo inchiostro speciale
ne testimonia per sempre il valore,
e a voi nobili commensali, signori d'eroi
pastori d'eserciti, bovari d'armate
di narrar io cesso, e un po' mi dispiace,
storie d'eroi, di dei d'un tempo lontano,
sì lontano che neanche Andreotti, il divo Giulio
ancora in politica i primi passi non movea.
Stretta la foglia larga la via,
dite la vostra ch'io ho detto la mia.
E soprattutto speriamo che voi riusciate a leggere tutta questa mia spatafiata fino in fondo, che minchia c'ho impiegato una vita a scriverla tutta, e poi mi sono dovuto anche indebitare e vendere i miei parenti come schiavi, senza contare poi il mazzo che si dovrà fare quel poveraccio d'un monaco amanuense che dovrà copiare tutto[7].

Note

  1. ^ Il Codex Papponum riporta una versione alternativa dell'incipit, cioè Non bene ancora ho capito il perché; differenza dovuta probabilmente alla interpretazione ambivalente della frase nell'originale greco o per la consueta distrazione dell'anonimo copista, quel pirla
  2. ^ Tutta la parte qui di sotto è ritenuta spuria, o perlomeno soggetta ad ampie interpolazioni di epoca successiva. Vedasi, per la questione delle interpretazioni sul perché d'una così ampia aggiunta, i volumi critici L'amore saffico tra i delfini del Pacifico orientale di J. H. Plozenowitz e L'influenza delle Operette Morali del Leopardi sulla cultura indigena del Ghana di U. Tryneschenau
  3. ^ La critica tende a espungere dall'opera i seguenti versi [...] a meno che tu/un vampiro o un licantropo non sia/visto che quelli anche al buio ci vedono/e quindi per essi tale discorso non vale/ma torniamo orsù al discorso di prima/e quindi perciò [...] perché considerati essere frutto di un copista che voleva fare uno scherzetto stupido
  4. ^ L'insigne filologo Hans Karl Gottlieb Parcker-Nowonesch propone anche la variante bel maschione, perché in origine il poema narrava delle gesta di Vladimir Luxuria e della sua lotta contro Nichi Vendola e Alessandro Cecchi Paone.
  5. ^ Se si segue la linea interpretativa di Kelly Lanjuday dell'università di Britneytown, a dire la verità l'autore non aveva sofferto così tanto nel leggere l'opera tassesca, ma s'era semplicemente stufato di scriverci sopra e voleva passare al più presto al Canto IX. Da notare comunque il climax che porta dalla negazione della lettura all'ammissione della stessa e del dolore conseguitone in soli due versi (cit. Alessandro Ninzinni, da Ho sposato un inserviente in Saggi sulle fontane di Paderno Dugnano, ed. Gugliermottardi, Novara).
  6. ^ Questo passo è stato considerato come una delle fonti principali a sostegno della teoria dell'immortalità di Piero Angela, che avrebbe trovato insieme ad Andreotti, a Baudo e alla Levi Montalcini l'elisir di lunga vita (cf. F. Jenaimepas-Lesfemmes in 'A me Sgarbi sta simpatico).
  7. ^ Da ultime attente ricerche filologiche, pare che l'unico pezzo veramente autentico del poema sia proprio questo pezzo in prosa finale

Voci correlate