Il nome della rosa

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Non lasciatevi ingannare dalla copertina. Il libro parla di tutt'altro.
« Elementare, Adso! »
(Guglielmo da Basketville ricorda ad Adso il suo livello di studi)
(Adso da Menkia non sa quello che dice)
« Bogomila la baldracca che t'inculi la notte, con la tua verga eretica, maiale! »
(Amena discussione teologica tra due pii monaci timorati di Dio.)


Nel 1980 d.C. un giovane ultra settantenne Umberto Eco, dopo una lenta e ponderata lettura dei libri Harmony e un'accurata e spasmodica consumazione di vini Ronco, decise di creare un'opera la cui grandezza doveva essere pari a quella della Divina Commedia, la cui bellezza doveva essere simile a un verso del Foscolo e la cui cultura doveva essere tale e quale a quella contenuta nel "Manuale d'istruzioni: come montare la vostra scarpiera Ikea". Dopo tanto dispendioso lavoro, finalmente diede in pasto ai suoi miliardi di fan l'opera magna: Il nome della rosa.

L'avvincente trama

La storia è ambientata nell'era dove tutto è possibile e nessuno va al rogo solo perché gli è scappata una bestemmia mentre si martellava il pollice e spacciata come le ultime memorie di un vecchio monaco rincitrullito, che ci narra le sue gesta di novizio, avvenute secoli fa, insieme al suo saggio maestro nell'entroterra itagliano. I due baldi giuovini non sono altro che il famosissimo Guglielmo da Basketville e il suo zerbino Adso da Menkia: l'uno proveniente dalla sperduta foresta di Scervud: se ne andò causa mancanza di donne devote preferendo dedicarsi alla meditazione e alla cultura. L'altro fu mandato a calci in culo a fare l'inutile novizio leccapiedi. Causa: rompeva troppo i coglioni per poterlo sopportare un giorno di più. Così, in una notte buia e tempestosa, Guglielmo da Basketville viene incaricato dall'Imperatore a presenziare a un importantissimo convegno su nuovi metodi per mendicare la grana più velocemente ed efficacemente, a cui parteciperanno quei poveracci dei Francescani e i sostenitori del papa per trovare un accordo. Il convegno si tiene nell'abbazia di San Ughino da Gorgonzola, così Guglielmo, siccome non gli andava di portare le valige, assume come portaborse Adso da Menkia, credendolo più stupido di un mulo e quindi poco problematico. Si ricrederà poco dopo. Egli è convinto che Adso non sia solo stupido, ma che sia persino più irritante della merda sotto le scarpe. Il novizio infatti interverrà spesso nella storia con domande dementi del tipo: Maestro, come nascono i bambini?; Maestro, come mai di piede porto il 41 e di mutande l'extra small?. Guglielmo per farlo tacere risponderà con frasi come: Nullus, nullius quibus, rosa, rosae, rosam.... Insomma, cose prive di senso pur di tappargli quella bocca.

All'abbazia

Guglielmo da Basketville indossa i suoi caratteristici abiti, trovati nel kit del perfetto investigatore.

I due quindi si mettono in marcia e a passo di danza giungono al monastero: qui verranno accolti dall'abate Abbone Pappone, non con la solita festa di benvenuto con Martini e salatini a forma di animaletti, ma con una spiacevole notizia: il confratello Adelmo da Otranto è accidentalmente caduto dall'Edificio, imponente costruzione che contiene il refettorio, la biblioteca e lo stanzino delle scope, sfracellandosi contro le pietre appuntite del burrone. Con lacrime che sgorgano copiosamente dai suoi occhi, Abbone chiede a Guglielmo di indagare sull'accaduto: solo lui con la sua intelligenza, con il suo acume e la sua avvenenza potrà svelare l'arcano. Egli, seppur a malincul malincuore, accetta l'ingrato compito.

Prime indagini

Per necessità d'indagine, Guglielmo farà la conoscenza dei loschi figuri che si aggirano per l'abbazia: Ubertino da Casale, un vegliardo col cervello annebbiato dai fumi dell'incenso, Svenanzio da Salamec, traduttore dall'arabo al greco, uno che sapeva troppo, Jorge dam Burger, un vecchio cieco (si dice che lo sia divenuto per la troppa lettura di libri eruditi) lagnoso e alquanto sospetto, Sederino da Sant'Emmerano, colui che si occupa delle erbe, Berengaio da Arundel, l'aiuto-bibliotecario, un tipo gaio e gioioso, Malachia da Hildesheim, il bibliotecario dalla faccia da pirla. Con la dovuta discrezione e sempre accompagnato dal suo fido portaborse Adso, Guglielmo capisce, dal rilevamento di una minuscola macchia di sangue che stava su un granello di terra, calcolandone la circonferenza e il raggio per base per altezza diviso due, che Adelmo non era caduto, ma si era suicidato. Il mistero si infittisce. Perché uccidersi se la vita non faceva altro che offrire al giovane Adelmo sbobba, duro lavoro, preghiere forzate da mane a sera e niente TV via cavo?

Nella cacca fino al collo

Il secondo giorno di permanenza dei nostri eroi non è di certo più lieto, infatti, tralasciando i bagni otturati, viene ritrovato il cadavere del traduttore Svenanzio affogato nel letame di maiale (molto utile per concimare il terreno, ma anche per rendere più saporita la carne). La tensione inizia a farsi strada tra i monaci: già si parla di venuta dell'Anticristo, di Apocalisse e dell'inizio di un'era di quiz a premi taroccati. Ma il nostro detective non si lascia prendere dal panico e intuisce che una spiegazione plausibile non può che trovarsi nella misteriosa biblioteca. Non ci resta che dire: "Alla biblioteca!"

In biblioteca

La biblioteca è il labirintico luogo dell'abbazia in cui viene fatto il lavoro sporco: i monaci passano ore liete e felici a sgobbare su libri e scartoffie per preservarli dalla furia del tempo. Guglielmo manifesta il desiderio di visitarla, ma gli viene negato: i monaci hanno accesso solo allo scriptorium e ai cessi. Il resto è competenza di Malachia e del suo fido Berengaio.

Un tipico lettore che tenta di capirci qualcosa.

Ma ciò non ferma l'intrepida coppia che scopre, sbirciando nel nuovo catalogo Euroclub, che alcuni libri "proibiti" portano la menzione di finis Africae. Cosa avrà voluto dire?

Canta che ti passa

I primi sospetti, quindi, iniziano ad affiorare. Nel frattempo, il confratello Bencio da Uppsala spiffera a Guglielmo ciò che ha visto la fatidica notte del suicidio: a quanto pare, tra Adelmo e Berengaio c'era qualcosa di grande, che andava al di là del semplice prestarsi una biro, e quel giorno avevano deciso di conoscersi biblicamente da bravi uomini di fede quali erano. L'accorto Bencio, che evidentemente non aveva nulla da fare, aveva casualmente captato ora, luogo e giorno dell'incontro: così, siccome in abbazia ci si annoia, aveva deciso di assistervi. Ma qualcosa non era andato per il verso giusto: Adelmo era fuggito, frignando come una mammoletta, inseguito da Berengaio con in mano un oggetto sospetto. Bencio, che si stava appassionando alla vicenda, nemmeno fosse una puntata di Don Matteo, aveva deciso di seguirli nell'ombra, ma ecco! Un altro guardone. Era Svenanzio (evidentemente nemmeno lui aveva affari da sbrigare) che cautamente s'apprestava ad Adelmo. Bencio altro non sa. La faccenda sembra farsi un po' più chiara. E il caro Gugli ha un'idea.

Infiltrazione

Sul far della notte, Guglielmo ed Adso decidono di comportarsi da cattivoni infiltrandosi di nascosto all'interno della biblioteca. Ciò che cercano è il libro su cui Svenanzio stava lavorando, purtroppo però non riescono a trovarlo. Al suo posto, scritto su un pezzo di carta igienica, rinvengono uno strano codice, lasciato da Svenanzio stesso poco prima di crepare. Guglielmo allora s'appresta a decifrarlo attraverso le sue lenti da vista. Nascono tre ipotesi:

Riuscirà il nostro Guglielmo a decifrare gli strani simboli scritti da Svenanzio su questo rotolo?
  1. È il numero di sua sorella
  2. È la lista della spesa
  3. È una preziosa informazione

Ad un certo punto, un rumore interrompe le supposizioni di Guglielmo (e Adso, diciamo): evidentemente là dentro non sono soli. Quell'attimo di distrazione costa caro a Guglielmo che si vede scomparire proprio sotto il naso le lenti: come farà ora a decifrare il codice, mezzo cieco com'è? Adso allora si lancia all'inseguimento del bastardo, solo che le sue vesti da donnetta gli impediranno di raggiungerlo. Nonostante l'inconveniente, i due proseguono indisturbati con le indagini: decidono quindi di esplorare l'interno del labirinto. E, come in tutti i labirinti degni di questo nome, si perdono. All'interno troveranno orridi e spaventosi trucchetti come uno specchio-che-riflette-l'immagine e una lampada strana-che-fa-venire-le-visioni (di cui Adso beneficerà altamente), ma poi, per caso, riusciranno a uscire. Sia lode a Gesù Cristo!

Una serie di straordinari eventi

Dopo la claustrofobica esperienza del labirinto, Guglielmo prende una decisione: interrogare il gaio Berengaio. Purtroppo, però, Berengaio è svanito nel nulla e non gli resta quindi che fregarsene, e trovare, piuttosto, un modo per non perdersi all’interno di quell’infernale labirinto. Aiutato da Adso, Guglielmo mette a punto una teoria: se un quadrato ha quattro lati e un triangolo ne ha tre, allora è ovvio supporre che sono figure geometriche, e quindi, se gallina vecchia fa buon brodo e rosso di sera bel tempo si spera, l’unica soluzione è rientrare nel labirinto e utilizzare il vecchio metodo della conta. Tanto funziona sempre.

Un esemplare di femmena, creatura di cui Adso ignorava l'esistenza.

Intanto Adso, trastullandosi per le cucine, fa una scoperta: un essere che non aveva mai visto prima, e che tutti chiamano femmena. La femmena, che era probabilmente della specie delle meretrix, meretricis, dà la possibilità ad Adso di inzuppare il biscottino che, vedendo che era cosa bona e giusta, non se lo fa ripetere due volte. Insomma, chi se ne frega dei voti, si vive una volta sola, perdinci!

Avvelenamento

Finalmente Berengaio fa la sua comparsa, non propriamente vivo e vegeto come ci si potrebbe aspettare, ma leggermente pallido e cianotico. Cioè morto. Nelle latrine. Guglielmo esamina il cadavere, rinviene delle strane macchie sulle dita e la lingua e ne deduce un possibile avvelenamento: "se fosse stato aggredito avremmo udito le sue urla da checca per tutta l’abbazia" dice. La morte di Berengaio si rivela molto utile (ebbene sì), infatti si scopre che la fantomatica spia altri non era che lui, grazie all’improvviso ritrovamento delle lenti di Guglielmo. Ora sì che potrà guardare i suoi porn programmi preferiti, e ovviamente decifrare i simboli lasciati da Svenanzio. Nel frattempo fanno la sua comparsa Michele da Cesena, che capeggia i francescani, e gli emissari del papa alla cui guida c’è l’inquisitore Bernardo Gai, che, appena arrivato, farà crocifiggere e bruciare quattro gatti neri e un comunista, scambiandoli per il demonio travestito.

Le cose si complicano

E visto che di morti e allegrezze varie non se ne ha mai abbastanza, il quinto giorno (sì, sono passati già cinque giorni felici) l’erborista Sederino da Sant’Emmerano si ricongiunge al Creatore, a causa di un trauma cranico provocato dalla caduta di un armadio, contenente dieci palle da bowling da 50 kg l’una, sul suo cranio. L’inquisitore Bernardo Gai decide di sistemare le cose, facendo processare il cessario Remigio, a causa del suo passato da eretico tra i dolciniani, e poi per la faccia da lestofante che si ritrova. Lo sevizierà e torturerà con la allora famosa tortura degli show della domenica mattina, costringendo il povero Remigio a una visione forzata e non stop di programmi come Domenica in o Domenica in famiglia. Il cessario, sfinito da cotanto obbrobrio, confessa di essere stato la causa di tutti gli omicidi. Ma, colpo di scena! Il sesto giorno, un altro cadavere fa la sua comparsa: quello di Malachia.

Sia fatta la sua volontà

Anche Malachia presenta le strane macchie sulle dita, così l’accorto Guglielmo ormai si convince totalmente della corrispondenza tra le morti e il libro scomparso di Svenanzio. Nonostante i divieti di Abbone Pappone, Guglielmo ed Adso penetrano nuovamente all’interno della biblioteca. Attraverso il metodo dell’Ambarabacciccìcoccò azzeccheranno la stanza giusta, la finis Africae, e con le informazioni di Svenanzio (“tira la maniglia”, è il significato dei simboli) riusciranno a entrarvi. E ad aspettarli trovano “lui”. Sì, “lui”. La causa di tutti gli orridi omicidi. No, non è il maggiordomo stavolta. Ma… Jorge Dam Burger! Il cieco.

Solo perché è cieco non vuol dire che non possa fare una strage.

Ciò che preserva così gelosamente non è altro che il libro Mille modi per cucinare il riso di Suor Germana. Il furbo Jorge aveva cosparso le pagine di veleno, in modo che coloro che l’avessero letto, come Svenanzio o Berengaio o Malachia che cercavano di carpire il segreto per un ottimo risotto allo zafferano, sarebbero morti: Sederino era morto per uno sfortunato caso. E tutto ciò, perché nessuno rivelasse l’esistenza di questo libro empio. "Jorge, ti dichiaro in arresto! Consegnami quel libro." dice Guglielmo, ma per tutta risposta il cieco lo ingoia (copertina annessa) e appicca fuoco all’abbazia. "Non avrai mai le ricette di Suor Germana! Lei è mia! Il mio tessssoro!"[citazione necessaria] sono le ultime parole di Jorge prima di finire incenerito.

L’abbazia, nonostante le provvidenziali secchiate d’acqua, si riduce a un cumulo di cenere e polvere. Tutto è perduto. Ma la giustizia ha trionfato, quindi chi se ne importa. Amen.

Adso da Menkia narrerà a tutti la sua storia, ma verrà rinchiuso in manicomio, da cui scriverà questo libro nel vano tentativo di essere creduto, mentre Guglielmo da Basketville si ritirerà a vita privata in Tanzania, dove poi verrà colpito da una potente febbra e morirà circondato da simpatici indigeni. Cannibali.

Il mirabolante film

Un avvenente attore del film.

Essendo Il nome della rosa un libro di grande fama, si è pensato bene di farne una trasposizione cinematografica, a cura del grande e stimatissimo regista Jean Jacques Anod nel 1986. Epiche e di grande effetto sono le scene girate dal capace regista, come l’incontro tra Guglielmo da Basketville e Padre Pio o la mozzafiato scena d'azione di Adso che fa bunjee jumping dall‘abbazia. I personaggi di Guglielmo da Basketville e Adso da Menkia sono interpretati rispettivamente dal secsi e attempato Sean Connery e da un giovane quanto sconosciuto Christian Slater: il resto dei personaggi è interpretato da immigrati ucraini dall’indicibile bruttezza. Il film ha ricevuto inoltre diversi meriti come: miglior peggior film dell’anno, miglior trucco e parrucco e un MTV Award come Film sfigato dell’anno.

Sacrosante verità

  • La rosa, diversamente dal titolo, non compare mai.
  • Si dice che chi legge Il nome della rosa per due volte, al contrario, a testa in giù e contemporaneamente invocando San Giorgio Cavaliere, verrà colpito da un irreversibile coma.
  • I libri di Eco sono stampati su materiale riciclabile. Infatti è grazie a lui se abbiamo la carta igienica.

Voci correlate

Questa è una voce in latrina, sgamata come una delle voci meno pallose evacuate dalla comunità.
È stata punita come tale il giorno 4 ottobre 2009 con 100% di voti (su 9).
Naturalmente sono ben accetti insulti e vandalismi che peggiorino ulteriormente il non-lavoro svolto.

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