Andrea Palladio

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Progetto di Villa Godi Malinverni, una delle prime opere di Palladio.
« Che palle! Un'altra villa? Perché nessuno mi propone mai di progettare un bel night club? »
(Andrea Palladio su ennesima commissione riguardante una villa di campagna)
« Il fatto che gli abbiano commissionato solo ville sperdute nei campi, lontane quindi da ogni sguardo umano, dovrebbe quantomeno far riflettere. »
(Pier Paolo Pasolini rispondendo alla domanda precedente di Andrea Palladio)
« Io rinnovo l'architettura guardando all'antichità di Roma. »
(Andrea Palladio ritirando il Premio Umiltà 1575)

Andrea Palladio (al secolo Andrea di Pietro, 1580-1508, ma anche 1508-1850, o perché no 1580-1994) è stato un noto architetto vicentino, o almeno così era scritto sui suoi biglietti da visita: in realtà era un semplice geometra diplomato alle scuole serali, perdipiù padovano.
È tuttora considerato come la maggiore personalità artistica della Repubblica di Venezia, addirittura più influente e apprezzato di illustri concittadini del calibro di Giacomo Casanova, Renato Brunetta o Mara Venier.
Nel corso della sua esistenza progettò numerose ville, chiese, ponti, rimesse per gli attrezzi, cassette della posta e chalet di montagna, nei quali profuse a piene mani i suoi ideali architettonici: i principi classico-romani, i richiami manieristi e l'abitudine di gonfiare la nota spese per fregare il committente di turno.

Biografia

Un ritratto giovanile del Palladio.

Nato in una squallida barchessa nella campagna padovana, Andrea di Pietro era il frutto della relazione clandestina tra un gondoliere sordomuto e una mugnaia zoppa. Il bimbo passò la sua dorata infanzia a spaccarsi la schiena trasportando pesantissimi sacchi di farina e a ricevere pagaiate sui denti ogniqualvolta osava piagnucolare per la fame, per il freddo o per le pulci che infestavano la sua cameretta.
Fortunatamente ebbe anche la possibilità di svagarsi come tutti i bambini: Andrea infatti si dilettava a passare il suo tempo libero sbriciolando pietre col suo limasassi.
A tredici anni iniziò a mostrare segni di repulsione per il simpatico ma monotono gioco, e inoltre si accorse con rammarico che gli amorevoli genitori erano scappati di casa nascondendo dei cuscini sotto alle coperte per far finta di essere addormentati.
La laconica reazione di Andrea alla triste vicenda fu:

« Ecco perché negli ultimi cinque anni i miei genitori non si sono mai alzati dal letto! »

Andrea non si lasciò abbattere dall'abbandono, e anzi sfoderò un coraggio e uno spirito di iniziativa che contraddistingue eroi ed imbecilli. E Andrea non è mai stato un eroe.
Il giovane si trasferì a Vicenza presso la bottega dei Pedemuro, noti costruttori pederasta: qui sperava di far fortuna nel fiorente settore edilizio, ma per motivi inspiegabili le sue innovative abitazioni realizzate in guano di piccione non ottennero mai l'apprezzamento dei committenti.
Sempre nella città berica gli capitò tuttavia un'insperata botta di culo: mentre si trovava fermo in mezzo alla strada a contarsi le dita dei piedi e a progettare un palazzo costruito interamente in chewingum, Andrea venne investito dalla carrozza di Gian Giorgio "Giangy" Trissino, pluripremiato letterato, voyeur e talentscout locale.
Il giovane riportò fratture scomposte a tutte le ossa e danni ai più svariati organi interni, rimanendo in fin di vita per settimane; gli andò però di lusso perché Trissino, temendo un possibile scandalo e una denuncia per omissione di soccorso, insabbiò il caso ospitando e curando Andrea nella sua umile magione da sei milioni al metro quadro.

Gian Giorgio Trissino mostra con orgoglio una copia di Harry Potter e l'Ordine della Fenice autografata da J.K. Rowling.

Qui Andrea si rimise e accrebbe la sua preparazione artistica: sotto la guida del Trissino imparò infatti a contare senza l'ausilio delle dita, a progettare gli spazi funzionali in modo rigoroso e simmetrico, a disegnare in scala senza sbavature, a non bere le boccette di china e a cucinare un baccalà alla vicentina da leccarsi i baffi. Trissino fu così colpito dall'innato talento e dagli addominali scolpiti del suo allievo che arrivò a soprannominarlo col nome con cui tutti lo conosciamo: Andrea Palladio, proprio come il centro commerciale sulla Strada Padana.
Gli affidò addirittura la direzione dei lavori di ristrutturazione di un vecchio palazzetto di sua proprietà caduto in disuso e abitato solo da topi, scarafaggi e avvocati tirocinanti. Palladio nel giro di mezza giornata costruì una loggia a doppie arcate e due imponenti torrette ai lati, impiantò uno splendido giardino pensile arricchito da una raffinata fontana, diede una mano di bianco alle pareti, tagliò le siepi, sfrattò gli avvocati molesti a suon di scudisciate sulla schiena e organizzò una dimostrazione di prodotti cosmetici nel salotto assieme a tutte le casalinghe del quartiere. Fu un successo straordinario.
Da lì in poi la sua carriera come architetto e dog-sitter (ma solo nel fine settimana) subì una brusca impennata: nel giro di pochi anni Andrea divenne richiestissimo e realizzò un sacco di edifici perlopiù abusivi avvalendosi della collaborazione dell'allievo prediletto Vincenzo Scamozzi (di cui storpiava affettuosamente il cognome in Scamorzi o Scaccabarozzi).
Il suo nome era ormai così conosciuto in Veneto che appena un nobile voleva farsi erigere una villa o una cappella di famiglia, subito contattava Palladio.
Appena una nobildonna voleva sapere se il tappeto che aveva visto al mercato si sarebbe intonato o no con il colore del divano, subito contattava Palladio.
Appena qualcuno voleva sapere se il quadro che aveva appena appeso al muro era diritto oppure no, subito contattava Palladio. Ben presto l'architetto si ritrovò oberato di lavoro, e sull'orlo di una crisi di nervi, si prese un periodo di pausa e nel 1554 si recò in vacanza a Roma, dove nessuno lo conosceva.

Vincenzo Scamozzi ammira con venerazione il capolavoro del suo maestro.

Nella capitale venne scippato come un pollo da una banda di ragazzini zingari. Una volta accortosi del furto subito Palladio si lanciò in tonanti bestemmie, le quali attirarono una pattuglia di carabinieri che, complice anche il suo marcato e incomprensibile accento veneto, lo arrestarono per schiamazzi e disturbo della quiete pubblica. Quando l'equivoco venne chiarito lo stremato Palladio era stato sottoposto a un crudele interrogatorio e aveva confessato abbastanza crimini per passare in gattabuia altre tredici vite. Fortunatamente il questore Daniele Barbaro capì che quello era l'illustre architetto vicentino e lo fece liberare proprio mentre gli altri detenuti stavano tentando di impiccarlo con un asciugamano.
Tra Palladio e il questore, che oltre al manganellare i civili durante i sit-in di protesta aveva anche l'hobby dell'architettura antica, nacque l'amore una forte amicizia. Insieme i due diedero alla luce I quattro libri dell'architettura: Modelli architettonici illustrati da colorare, una serie di albi pedagogici per bambini che consacrarono Palladio come idolo di grandi e piccini.

Successivamente costruì una stupenda villa per un doge veneziano, e grazie ai suoi magheggi e alle sue amicizie in Comune riuscì a spacciarla per un casotto da caccia e a esentarla dal pagare l'IMU. Il doge apprezzò molto il gesto e nominò Palladio Architetto capo della Serenissima con Delega Speciale per Lazzi, Intrallazzi e Appalti Truccati.
Con suo sommo rammarico, però, a Venezia non gli lasciarono mai costruire un edificio che non fosse una chiesa. Che beffa per uno che quando bestemmiava tirava giù tutti i santi del Paradiso e che invece di bagnarsi le dita nell'acquasantiera, ci sputava dentro!
Gli ultimi anni si rivelarono spaventosamente difficili: solo allora infatti Andrea Palladio capì che progettare un sacco di ville senza chiedere nemmeno una caparra non era stata un'idea particolarmente brillante. Tra i committenti che non lo pagavano e la vita sentimentale che andava a rotoli (il fido Scamozzi si era messo in proprio e Barbaro era morto in un conflitto a fuoco durante una retata antidroga), Palladio si ritrovò povero in canna e solo.
Morì nel 1580 e secondo le sue volontà la sua salma fu cementificata all'interno delle fondamenta del Teatro Olimpico, ultima opera incompiuta.

Opere principali

  • Villa Foscari, detta la Malcontenta perché abitata da una zitellaccia acida e scassacazzo. Ha una pianta rettangolare ed è molto monumentale nonostante siano stati usati soltanto materiali poveri quali mattoni, strutto, colla vinilica e nastro adesivo.
  • Basilica Palladiana, era la sede delle magistrature pubbliche di Vicenza e Palladio riuscì ad accaparrarsi l'appalto grazie alle bustarelle sottobanco del suo mentore Trissino.
    È così suggestiva da spingere Johann Wolfgang Goethe a proferire la celebre frase:
« Non è possibile descrivere a parole l'impressione che fa la Basilica di Palladio... solo un conato di vomito può rendere bene l'idea! »
  • Villa Emo, dalla facciata estremamente triste, presenta numerosi tagli decorativi sulle pareti. Commissionata nel 1558 dalla famiglia Emo, un nobile casato ormai estinto dopo il suicidio di tutti i suoi rappresentanti.
  • Ponte di Bassano del Grappa, rifatto dal Palladio dopo che il precedente era crollato sotto il peso di numerosi alpini sbronzi ivi radunati. Realizzato interamente col vetro ottenuto dalla fusione delle bottiglie di grappa vuote, il ponte emana tutt'oggi un inconfondibile aroma di alcool e urina.
  • Villa Almerico-Capra, detta la Rotonda a causa dell'orrenda rotatoria posta a due passi. È senza dubbio la villa più famosa e suggestiva del Palladio, forse perché non si sa con certezza se l'abbia effettivamente progettata lui.
  • Palazzo Chiericati, attualmente pinacoteca e paninoteca civica. È inserito nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO al pari del culo di Jennifer Lopez.

Stile e trucchetti vari

La Rotonda.

Tanto nei suoi trattati quanto negli edifici che progettò, Palladio seguì i principi dell'opera dell'architetto romano Vitruvio, il cui motto era: "I muri portanti non sono poi così importanti".
Palladio ebbe modo di studiare solo i suoi disegni perché per uno strano scherzo del destino tutti gli edifici costruiti da Vitruvio crollarono dopo poco tempo e non ne rimase traccia.
Palladio combinò liberamente molti degli elementi del linguaggio classico, rispettando le esigenze derivanti dalla posizione dell'edificio e sfruttando fino alla morte i suoi manovali. Da questo punto di vista lo si può considerare un architetto manierista ma anche un aguzzino sadico e bastardo.
Andrea Palladio ricercò sempre una proporzione armonica e un'austera semplicità nelle facciate che disegnò, o almeno così asseriva in osteria quand'era ubriaco marcio. Il suo unico vezzo era l'uso del portico, che inseriva ovunque e spesso a sproposito. Utilizzato su tutte le facciate, il portico sarebbe dovuto servire per permettere agli occupanti di guardare il paesaggio restando al riparo dal sole o al limite per spiare i vicini di casa, ma in realtà Palladio lo prediligeva perché gli ricordava un bel momento della sua vita: Andrea perse infatti la verginità sotto un portico, alla tenera età di quarantasei anni.
In altre occasioni, e cioè quando il committente minacciava di fargli causa se avesse inserito nella sua villa un "fottuto portico", Palladio usava la loggia aperta. Questo tipo di loggia non è altro che un portico così incassato, ma così incassato che a lavori ultimati pareva sempre che il Palladio avesse progettato uno sgabuzzino in più.

Curiosità

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  • Oltre che per le sue ville di dubbio gusto, Andrea Palladio è tristemente noto per le numerose scazzottate con il pittore Paolo Veronese. I due si odiarono fin dal primo incontro, quando vennero chiamati a collaborare alla realizzazione di Villa Rabarbaro a Maser: in quell'occasione il Veronese fu così incauto da salutare Palladio chiamandolo "Andrea Palle Mosce", e l'architetto reagì trafiggendo la mano destra del pittore con l'affilata punta del suo compasso.
  • L'architettura del Palladio diede vita a un fenomeno noto come Palladianesimo, divenendo presto famosa non solo in Europa, ma addirittura in America e a Ragusa.
    Il presidente degli Stati Uniti d'America Thomas Jefferson era un fervente ammiratore dell'architetto vicentino, tanto che da giovane attraversò tutto il Veneto in autostop per visitare le ville costruite dal suo idolo.
    All'età di sedici anni, dopo aver passato le vacanze estive a lavare piatti in una tavola calda, Jefferson riuscì persino a comprarsi una copia autografata dei quattro libri dell'architettura, che lui soleva definire con venerazione "il kamasutra dell'architettura".
  • Vincenzo Scamozzi espresse tutta la sua tristezza per la morte del suo maestro offrendo un giro di spritz a tutta Padova e ballando nudo sulla tomba del Palladio per tre giorni; inoltre avviò una battaglia legale per ottenere i diritti d'autore sulle ville che i due avevano costruito assieme.