Utente:GorillaK2/Sandbox
FILM DI CUL...TO
Qualcuno ha definito questa pellicola "capolavoro inarrivabile". |
GorillaK2/Sandbox | |
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[[File:|frameless|center|260x300px]]Se te incazzi fai due fatiche! | |
Paese di produzione | Italia |
Genere | Documentario asociale |
Regia | Pier Pablo Pisolini |
Interpreti e personaggi | |
Nessuno |
La rabbia è un film del 1963 diviso in due parti: la prima scritta e diretta da Pier Paolo Pasolini, la seconda da Giovannino Guareschi. Per chi si fosse perso il secondo, stiamo parlando del creatore dei personaggi di Don Camillo e l'onorevole Peppone. Tuttavia, considerando che nell'articolo si terrà conto solo della parte di Pasolini, non ce ne frega una prestigiosa minchia né di lui né della simpatica coppietta.
È realizzato attraverso il montaggio di materiale di repertorio dei cinegiornali, archivi storici di diversi Paesi, interviste alla vicina impicciona, chiacchiere da barbiere, nonché fotografie da libri d'arte e da rotocalchi. È in sostanza un riassunto degli anni '50 ma analizza, in modo fortemente critico e polemico, i fenomeni e i conflitti socio-politici di quel decennio.
Diciamo la verità: "il film è palesemente una grande rottura di coglioni" e quindi, se avete di meglio da fare (tipo andare a spolverare la tomba della vostra bisnonna sepolta in Colombia) non fatevi scrupoli. Però è anche vero che per certi versi è un documentario attualissimo, alcune cose sono ancora come allora, altre possono essere spiegate come una conseguenza di quei fatti. E comunque Bogotá sarà lì anche domani.
Ricapitolando:
- si parla di un periodo in cui, in varie parti del mondo, si menano ancora come fabbri;
- siamo in pieno clima guerra fredda, riuscire a capire "chi sta con chi" è più difficile che decifrare il manoscritto Voynich;
- il colonialismo non si è estinto, si è solo trasformato in un controllo economico;
- l'Italia è un paese devastato dal conflitto, la Repubblica è nata da pochi anni e il pannolino è pieno di cacca;
- le mafie si fregano le mani per gli appalti della ricostruzione;
- in Parlamento siede già Andreotti.
C'è anche una notizia positiva: proprio perché c'è tanto da fare l'economia viaggia a mille, grazie anche agli aiuti finanziari del Piano Marshall. Qualcuno sostiene che questo ci renderà una colonia economica degli States, che prima o poi gli americani ci presenteranno il conto, e che sarebbe stato meglio fare da soli, magari mettendoci solo più tempo. Il buon senso prevale sulle malelingue: tanti soldi uguale tante mazzette (e comunque il debito se lo "accolleranno" le generazioni a venire).
Ma torniamo al film, tenendo in conto che le persone attualmente in grado di ricordare quegli anni (e non sono molte) vi riescono a fasi alterne e per non più di sei-sette minuti al giorno, è plausibile che il film interesserà lo 0,0000000004% della popolazione mondiale, contando anche chi ha il cinema più vicino a circa trenta chilometri da casa, le nazioni in cui i cinema sono vietati per legge e quelle in cui al cinema non ci va nessuno perché esplodono con le persone dentro.
Trama (si fa per dire) illustrata
E qualcuno ne approfitta[1].
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Il film inizia con un funerale, quello di Alcide De Gasperi. Lo spettatore in sala pensa subito: "cominciamo bene... era meglio che andavo a vedere Sansone contro i pirati", ma il regista lo sorprende con una folla festante attorno a JFK. Le immagini vanno lette nel loro insieme: in Italia muore un grande statista, un severo e pragmatico eroe del dopoguerra; oltreoceano nasce il politico del futuro, quello "immagine", un bamboccione di buona famiglia, belloccio ed eternamente sorridente. Pasolini intendeva metterci in guardia, sapeva che l'italiano medio subisce il fascino della "americanata". Oggi, dopo i vari Moro e Fanfani, ci ritroviamo con Matteo Renzi. Restando nella stessa categoria poteva andar bene anche il Mago Galbusera.
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La pace passa da Ginevra, all'incontro dei quattro grandi. Mentre ne stanno parlando, in Algeria le truppe francesi sistemano le buche sulle strade della capitale, riempendole con i cadaveri degli indipendentisti. Negli aeroporti si assiste ad un continuo andare e venire di presidenti, ambasciatori e ministri, che scendono dalla scaletta dell'aereo e sorridono. Subito dietro di loro, non inquadrati, mercanti di armi e faccendieri di ogni sorta, che hanno "usufruito" dei primi per piazzare la loro merce. Stiamo parlando di voli di linea e poteva anche essere una coincidenza, ma c'è comunque sdegno. Ai nostri giorni un Valter Lavitola scende dall' , assieme a Berlusconi, e nessuno esclama: "Oh cazzo!"
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Fa rabbia il colonialismo, anacronistica violenza di una nazione su un'altra nazione, col suo strascico di martiri. Eppure c'era chi lo difendeva, chi sosteneva che fosse un bene per il paese colonizzato. L'attivista politica indiana Arundhati Roy un giorno disse: '"Dibattere i pro e i contro del colonialismo è come dibattere i pro e i contro dello stupro". Gli Stati Uniti, come ex colonia britannica, lo hanno da sempre condannato, in tutte le sue forme. Il nobel portoghese José Saramago osservava: "Negli Stati Uniti non c'è nessuna base militare straniera, mentre ci sono basi militari statunitensi in tutto il mondo." Deve essercene una anche nello Stato Islamico dell'Iraq e della Grande Siria, perché recentemente gli americani gli hanno paracadutato delle armi (a loro dire "accidentalmente").
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Fa rabbia la pace raggiunta in parte, l'occasione sprecata dopo il secondo conflitto mondiale di ottenere quella vera. Ci sono alcune parti del mondo in cui, con tutta la famiglia, puoi andare tranquillamente a fare un picnic senza il rischio di essere ucciso (anche se stare vicino ad una Fiat 600 multipla non è del tutto sicuro). In altre la guerra continua, posti nei quali "fare una scampagnata" significa: darsi alla macchia da rivoluzionario, sparare a chi ti vuole morto e mangiare tucani al posto dei tramezzini. Non è un caso che, ancora oggi, il desiderio principale di alcune tra le menti più illuminate del pianeta sia: "La pace nel mondo". Spesso a pari merito con rifarsi le tette.
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Fa rabbia il conformismo, da cui nasce l'odio per tutto ciò che è diverso, che non rientra nella norma e che quindi turba l'ordine borghese. Quelli che vivono nelle periferie sono individui pericolosi: non vanno a Via Veneto a fare una passeggiata, non prendendo un caffè nei lussuosi bar, non socializzano, probabilmente tramano nell'ombra della miseria. A parte che sarebbe sconveniente sedersi nel bar con le scarpe completamente infangate, visto che dalle parti del "Serpentone" le strade sono previste nei sogni, il loro vero problema è reperire le seimila lire per pagarlo, che comporterebbe svaligiare il caveau della filiale BNL al Trullo.
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Fa rabbia la ricchezza mal distribuita, lo sfruttamento dei tanti da parte di pochi. Non manca la critica al simbolo stesso del capitalismo di casa nostra: la Fiat ("comprare un operaio non costa nulla..."). Le pessime condizioni degli sfruttati, la classe che ringrazia il padrone per le sue "mille lire al mese". Esse sono denunciate da Pasolini con brani tratti da documentari, quelli sui lavoratori costretti ad emigrare o, peggio ancora, sulla tragedia di quelli morti in miniera. Oggi è tutta un'altra cosa, la cassiera di un supermercato può arrivare a guadagnare anche mille euro al mese, lavorando 14-15 ore al giorno, anche la domenica. E dopo "averla data" per ottenere il lavoro.
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Fa rabbia la fame dei bambini nel Terzo Mondo ("...un singhiozzo che squassa il pianeta"). Secondo gli attuali dati dell'UNICEF: a causa della denutrizione, ogni anno muoiono oltre 3 milioni di bambini prima di raggiungere i 5 anni. Secondo una stima moderatamente fantasiosa (ma plausibile): trasformando in cibo quello che costa mantenere la struttura dell'UNICEF, ne morirebbero mezzo milione di meno. Ma sono cadaveri funzionali al business, pianti da pochi. All'epoca, furono versate molte più lacrime per la morte di Marilyn Monroe, anch'essa funzionale al potere. Pasolini le dedica un inno: "...la tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico, richiesta dal mondo futuro, posseduta dal mondo presente, divenne un male mortale."
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Fa rabbia la perdita della speranza, quella che questi problemi possano essere risolti. Sul finire del film un raggio di speranza pare accendersi, al ritorno dalla sua impresa spaziale German Titov afferma: "Da lassù tutti mi erano fratelli". Ma tale speranza è di breve durata, poiché il film si conclude con una serie impressionante di esplosioni nucleari. Pasolini l'aveva persa nel 1963; a distanza di mezzo secolo i problemi sono ancora tutti lì, ce ne siamo inventati anche di nuovi. Magari è vero che la speranza è l'ultima a morire, ma ci verrebbe da dire: "Dio vi stramaledica! Almeno teneteci aggiornati sul suo stato di salute".
Curiosità
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- Maurizio Gasparri ha definito la visione del regista "pessimistica e sinistroide", ma non è sicuro di aver pronunciato i due termini in modo corretto perché non li conosce.
- Prima di vedere la pellicola, Flavia Vento credeva che la Guerra d'Algeria fosse un film con Omar Sharif. Ancora ne è convinta.
- Sara Tommasi ha pianto a lungo per il tucano mangiato dai rivoluzionari cubani. Comunque sempre meno che nella scena di sesso anale contenuta nel suo primo film da protagonista.
Note
- ^ perché trovare "normale" cose come la mazzetta, il pizzo e i privilegi della casta, fa il gioco del nemico (nota dell'autore di questo articolo)