Utente:Zurpone/Sandbox2: differenze tra le versioni

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[[File:Rapido 904 I nomi delle vittime.jpg|right|thumb|300px|Qui ci andrebbe una didascalia divertente. Bravo chi riesce a trovarla.]]
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come fanno i delfini nei giorni d’agosto<br />
come fanno i delfini nei giorni d’agosto<br />

Versione delle 15:16, 16 giu 2013

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Per sapere tutta la verità è stato indetto un concorso. Occorre comperare un orologio TAG Heuer Mikrotimer Flying 1000 ed essere rapido a bloccare il conteggio dei millesimi esattamente su 904. I vincitori (muniti di regolare scontrino) saranno informati di cosa è successo davvero (prima di sparire per sempre).
« Come sale veloce quel treno che si tuffa nelle gallerie,

come fanno i delfini nei giorni d’agosto
seguendo chissà quali vie.
Ma di colpo è un mare di fuoco,
la tempesta si schianta d’intorno.

Il biglietto era solo d’andata e non c’è ritorno.
 »
( Leoncarlo Settimelli.)

La strage del Rapido 904 avvenne a bordo del Rapido 904, le prove a testimonianza di ciò sono schiaccianti. Definita anche strage di Natale, rappresenta il colpo di coda dell'ormai agonizzante terrorismo degli anni '70. No, un momento. Essa rappresenta l'inizio dell'epoca nota come guerra di Mafia dei primi anni '90 del XX secolo. Ma no, non è così: c'entra il terrorismo nero coi pantaloni a zampa d'elefante... merda, non è corretto neanche così! Mettiamola in questo modo: diciamo che si tratta di terrorismo mafioso. O mafia terroristica, boh, suonano bene entrambi.
Il fatto è che questa strage si colloca in un contesto socio-temporale altamente ambiguo, a cavallo di due periodi storici profondamente differenti: agli slanci creativi ed innovativi degli anni '70 fa seguito una sensazione di indolente consapevolezza che galleggia in fiumi di Ramazzotti, Aperol ed eroina, al ritmo martellante della New Wave. Chi ha trascorso l'adolescenza in quel periodo ha oggi buone probabilità di essere un vecchio rincoglionito senza alcuna prospettiva per il futuro.

L'attentato

« È da un po' che non mettono le bombe sui treni! »
(Uno che pensava di saperla lunga.)
« Già, figuriamoci se lo rifanno adesso, sotto le feste! »
(Un altro che pensava di saperla lunga.)

Il 23 dicembre 1984, alle ore 19:08, sul treno Rapido n. 904, partito da Napoli alla volta di Milano, si verificò un'esplosione talmente forte che, a 60 km di distanza, la casalinga Priscilla Carota coniugata Scornaienchi si rivolse così a suo marito:

« Belisario, hai scoreggiato di nuovo? »

E invece il signor Belisario era innocente. Il treno stava percorrendo la Grande Galleria dell'Appennino, tra Bologna e Firenze, 18 km rettilinei in cui la velocità raggiunta dai convogli si attestava oltre i 150 km/h. Una carica di esplosivo radiocomandata, collocata sulla vettura n. 9, esattamente a metà del treno, scoppiò al km 9 del tunnel, nel suo centro esatto. Sul colpo morirono 15 persone e 267 restarono ferite. Successivamente i morti aumentarono a 16. Subito dopo l'esplosione, i macchinisti attivarono il freno di emergenza, cosicché il convoglio si arrestò nel bel mezzo del tunnel. A causa dello scoppio era andata distrutta anche la linea elettrica, insieme a tutti i finestrini delle carrozze. Lo scoppio, il buio e il freddo invernale contribuirono a creare un'atmosfera di intensa e vibrante apprensione, ma non ci sarebbe stato alcun cartello "fine del primo tempo" a stemperare la tensione e rinfrancare gli animi. Uno dei controllori, al suo ultimo viaggio in servizio prima della pensione, benché ferito, riuscì ad organizzare i soccorsi chiamando da un telefono di servizio all'interno della galleria. Se avesse avuto un cellulare non ce l'avrebbe mai fatta poiché, come tutti sanno, dentro le gallerie non c'è campo.

I soccorsi

I soccorsi erano equipaggiati con: bombola "baloon time", maschera di un simpatico verde asia e un set di palloncini multicolor.
« Raga, questa è un'occasione d'oro per collaudare il piano d'emergenza! »
(Il coordinatore della Centrale Operativa di Bologna.)
« Quale piano d'emergenza? »
(Il vice-coordinatore, colto lievemente impreparato.)

Il personale viaggiante del Rapido 904 riuscì a mettere in moto la macchina dei soccorsi nonostante le oggettive difficoltà. Nella concitazione, però, non fu subito chiaro chi si andasse a soccorrere e perché: l'unica certezza era che c'era un treno fermo in galleria. Fu perciò deciso di inviare un locomotore elettrico per trainare il convoglio, ma a causa del black out elettrico l'idea si risolse in un fallimento totale. Si optò dunque per un locomotore diesel, che però appestò l'aria all'interno della galleria. Anche i non fumatori ivi presenti si trovarono dunque col rischio di sviluppare tumori e patologie cardiache centuplicato. Si cercò di tamponare il problema portando in galleria delle bombole d'ossigeno, ma nell'urgenza non si andò troppo per il sottile: ad un venditore di palloncini nelle sagre paesane fu requisita la dotazione di bombole di elio, così ad un certo punto sembrò che ci fosse un raduno dei parenti di Donald Duck e di Topo Gigio.

Nella vicina stazione di San Benedetto Val di Sambro vennero prestati i primi soccorsi ai feriti e trainato il convoglio. Qui finalmente venne allestito un ponte radio funzionante e fu possibile organizzare il trasporto dei feriti più gravi verso gli ospedali di Bologna. La Società Autostrade, per agevolare tale operazione, mise gratuitamente a disposizione un casello poco distante, salvo ritoccare verso l'alto i pedaggi nel giro di un paio di settimane.

Il piano d'emergenza era stato messo a punto all'indomani della strage di Bologna e prevedeva la cooperazione tra forze dell'ordine e mezzi di soccorso, la razionalizzazione delle vie d'accesso agli ospedali del capoluogo felsineo e l'impossibilità di presenziare per Gabriele Paolini. L'attentato al Rapido 904 costituì la prima vera opportunità di sperimentarne l'efficacia. La cosa più difficile fu ricordare in quale cassetto era stato chiuso il manuale operativo, operazione che richiese un'ora buona di spremitura di meningi. Fortunatamente questo fu l'unico ritardo e gli operatori coinvolti si comportarono in maniera a dir poco esemplare. Dopo questa esperienza il servizio centralizzato di Bologna Soccorso sarebbe diventato il primo nucleo attivo del servizio di emergenza 118.

Le indagini

Giacché più volte nominato, S.Benedetto decise di fare una apparizione straordinaria durante le indagini; purtroppo però, nessuno poté dargli udienza a causa del gran fermento delle stesse.

La macchina dei soccorsi aveva funzionato egregiamente, avrebbe saputo fare altrettanto la macchina della giustizia? Si partiva da pochi punti fermi, tutti in comune con la strage dell'Italicus di dieci anni prima: tanti morti, tantissimi feriti, un treno sventrato e la Grande Galleria dell'Appennino involontario teatro del misfatto in entrambi i casi.

« È chiaro come il sole: i terroristi hanno voluto celebrare il decennale della strage dell'Italicus! »
(Il questore Cleto Cervellone deciso a chiudere le indagini.)

Si ripresero in mano i polverosi fascicoli delle stragi nere e si procedette col metodo ampiamente collaudato in precedenza: si rastrellarono circoli anarchici e covi di neofascisti, si cercarono collegamenti col terrorismo internazionale, la banda della Magliana, la Loggia P2 e i servizi segreti deviati. Alla fine il guazzabuglio di congetture fu tale che, a tre mesi dall'attentato, l'unica cosa sicura era che nessuno ci aveva capito una mazza.

La svolta nelle indagini: una investigatrice di primo pelo, grazie ad una straordinaria intuizione, si insospettisce sui contenuti del frigorifero del covo.

La svolta giunse per un caso del tutto fortuito: nel marzo 1985 erano stati arrestati a Roma per commercio illegale di merce illegale Guido Cercola e Giuseppe Calò: il nomignolo di quest'ultimo, "Pippo", aveva attirato l'attenzione degli agenti, in quanto, secondo essi, tradiva inequivocabilmente l'abitudine di assaggiare la roba prima di smerciarla. Nel maggio successivo fu individuato il loro covo, all'interno del quale venne rinvenuto un apparato tipo scatole cinesi: una valigia che ne conteneva altre due più piccole, in cui si trovava un apparato ricetrasmittente che conteneva le pile per farlo funzionare. Dentro le pile c'erano dei dischi di zinco alternati a dischi di rame, immersi in una soluzione acidula. Gli agenti rimasero stupefatti: quanto doveva essere perversa e malata la mente che aveva concepito un simile marchingegno? A completare il quadro furono trovate antenne, cavi elettrici, mozziconi di spinello, due plettri un po' usati, venti cerini e sei sigarette. Insospettiti dalla mancanza di una chitarra, i poliziotti notarono che il frigorifero, anziché essere pieno di birre, conteneva una certa quantità di esplosivo, lo stesso usato per la strage.

È il 9 gennaio 1986 quando Cercola e Calò vengono formalmente accusati di aver eseguito materialmente la strage: a loro carico erano stati raccolti innumerevoli indizi ed essi stessi avevano fatto delle piccole ammissioni. Per ottenerle, gli inquirenti non avevano esitato a torturarli mediante la visione forzata e continuata di tutte le puntate dell'Almanacco del giorno dopo; prima di andare a dormire dovevano scrivere un resoconto dettagliato delle puntate visionate in giornata e se commettevano qualche errore dovevano ricominciare da capo. Emerse altresì una serie di collegamenti con varie organizzazioni malavitose e con un tedesco di nome Friedrich Schaudinn, esperto di trenini elettrici ma soprattutto di dispositivi radiocomandati identici a quello usato per la strage: ne furono trovati diversi in casa di Pippo Calò, che non fu creduto quando dichiarò:

« Non pensate male, uno è il telecomando del garage, un altro è per la mia automobilina radiocomandata e l'ultimo aziona la pompa di calore! »

Con queste premesse in mano, agli inquirenti non restava altro che inquadrare l'ideologia che aveva concepito l'attentato. Calò e Cercola potevano essere neofacisti, veterocomunisti o vegani, camorristi o infiltrati di qualche organizzazione paramilitare. Si scoprì che erano un po' tutte queste cose qua e si andò a processo.

I processi e le condanne

« Ma siamo sicuri che questi due hanno fatto tutto da soli? »
(Il pubblico ministero davanti allo specchio.)
« Gilberto, perché parli da solo chiuso in bagno? »
(La moglie impicciona del pubblico ministero.)

Stavolta, a differenza di altri misteri italiani, sembrava tutto abbastanza chiaro: c'era la strage, c'erano gli indiziati, c'erano delle cose molto simili a prove, c'erano i giudici, c'erano i tribunali, c'era l'associazione dei parenti delle vittime. Caso forse unico, non si era verificato alcun tentativo di depistaggio. I depistatori abituali si erano resi irreperibili e provando a fargli una telefonata entrava in funzione la segreteria telefonica. I processi si sarebbero dovuti concludere in breve tempo e con esito positivo. È andata veramente così?

La Corte di Assise di Firenze il 25 febbraio 1989 rifilò l'ergastolo a Pippo Calò, Cercola e ad altri personaggi legati ai due (Alfonso Galeota, Giulio Pirozzi e Giuseppe Misso, boss della Camorra detto 'O Primario in quanto boss del Rione Sanità), con l'accusa di strage. Inoltre, condannò a 25 anni di galera il crucco Schaudinn, più una serie di altre pene ad altri personaggi emersi dall'inchiesta, per il reato di banda armata. Finì nel calderone anche qualche ignaro passante.

Al secondo grado la sentenza fu emessa il 15 marzo 1990. Le condanne all'ergastolo per Calò e Cercola vennero confermate. Misso, Pirozzi e Galeota vennero invece assolti per il reato di strage, ma condannati per detenzione illecita di esplosivo, con la seguente motivazione: "Detenere esplosivo è diverso da farlo detonare: ci sono ben due vocali che fanno la differenza". Il tedesco Schaudinn venne invece assolto dal reato di banda armata, ma rimase incolpato della strage e condannato a 22 anni, con la seguente motivazione: "Anche se non deteneva l'esplosivo, poteva benissimo farlo detonare. Il cambio di vocali si è dimostrato anche in questo caso determinante, la Settimana Enigmistica lo ha acclarato in maniera inoppugnabile".


Ma chi ha messo quella scritta lì?

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