Giulia Tofana

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(Rimpallato da Acqua tofana)
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Giulia Tofana assieme a Mastro Titta (in parte a destra e in parte a sinistra).

Giulia Tofana, o Toffana (Boh, qualche anno prima – Roma, 1659), è stata un'assassina seriale italiana.
Per un periodo visse alla corte di Filippo IV di Spagna, che era interessato alle arti divinatorie e si circondava di ciarlatani e fattucchiere. Giulia era una di queste, specializzata in pozioni per far abbassare il colesterolo, alzare la fava e stendere i rompicoglioni. Filippo il Grande restò presto vedovo.
È considerata una serial killer sui generis, in quanto simpatizzante per donne che si sentivano intrappolate in matrimoni sbagliati e, in assenza di una legge sul divorzio decente, e di una rivendita di serpenti a sonagli, si rivolgevano a lei per avere una parola di conforto (e una damigiana di veleno).

Giulia Tofana : Prenda questa boccetta, dieci gocce nel caffè e il suo problema sarà risolto.
Aspirante vedova : Mio marito non beve caffè.
Giulia Tofana : Le metta nel brodo.
Aspirante vedova : A Carmine il brodo non piace.
Giulia Tofana : Le metta sulla passera.
Aspirante vedova : Carmine non mangia cacciaggione.
Giulia Tofana : Le prenda lei e si levi dalla minchia. Fanno venti Paoli!
Aspirante vedova : Lei è una cafona! Tenga.

Secondo alcuni calcoli (fatti con la calcolatrice di Windows in modalità scientifica[citazione necessaria]) il suo veleno è stato usato per uccidere quasi scarsanta uomini, cifre che rendono dei principianti loschi figuri come Barbablù e Jack lo squartatore. Morì decapitata a Roma nella piazza di Campo de' Fiori, assieme ai suoi apprendisti, la figlia Girolama[1] e un discreto numero di vedove sospettosamente giovani.

Biografia

Giulia Tofana in un dipinto dell'epoca.

Poche le notizie biografiche su Giulia Tofana, chi l'ha conosciuta non è vissuto abbastanza per entrarci in confidenza. Probabilmente era figlia (o forse nipote) di Thofania d'Adamo, giustiziata a Palermo il 12 luglio 1633 con l'accusa di aver avvelenato il marito Francesco perché, stando alle risultanze del processo, era uno stronzo insensibile. Per la legge vigente in quel periodo ciò non costituiva attenuante generica, anzi, la giuria (composta di soli uomini) considerava tale caratteristica un diritto inalienabile, quindi Thofania d'Adamo fu condannata col massimo della pena, che consisteva nella decapitazione dopo indicibili torture e pisciata di gruppo dei giurati sulla tomba. La piccola Giulia ne rimase visibilmente contrariata, è ipotizzabile che il suo odio per gli uomini nascesse in quel momento.

Mannaggia! Non ricordo se Giulia aveva detto "una goccia ogni 10 kg di peso" oppure "dieci gocce ogni kg".

Entrata in possesso dell'eredità materna, che consisteva in una cospicua scorta di arsenico ed altri elementi usati comunemente per sterminare specie animali infestanti, la ragazza iniziò a giocare al piccolo chimico. Ovviamente i prodotti andavano provati, dopo due mesi di esperimenti le uniche forme di vita non umana, nel raggio di sei chilometri da casa sua, erano gli animali dello zoo (protetti da solide sbarre) e le pulci dei pitbull (protette dall'istinto di conservazione della donna). A questo punto si rese necessaria la sperimentazione umana. Aveva elaborato la formula della cosiddetta "acqua tofana", un veleno inodore e insapore, capace di stecchire un facchino dei mercati generali in pochi minuti. Ne provò mezza boccetta diluita in una botte di vino, l'intera osteria piombò in un silenzio irreale in meno di un quarto d'ora.
Grazie alla collaborazione di Ivonne de' Marchi, astuta imbonitrice priva di scrupoli, e di sua figlia Girolama Spera, vendette il prodotto a donne insoddisfatte del matrimonio, entrando in contatto con loro grazie ad uno stratagemma davvero ingegnoso

« Donne, è arrivato l'arrotino!
Arrota coltelli, forbici, forbicine, forbici da seta, coltelli da prosciutto.
Se avete fumo nella cucina, togliamo il fumo dalla cucina.
Se avete un marito che fuma in cucina, togliamo il marito dalla cucina! »

Uno di questi mariti, sopravvissuto miracolosamente a un tentato avvelenamento perché aveva dato la braciola al cane, convinse la moglie (dapprima a cinghiate, poi promettendogli salva la vita) a spifferare il nome della fornitrice. Si scatenò la caccia a Tofana, che riparò in una chiesa mettendosi in salvo. L'assedio fu impostato sulla "presa per fame", impedendo alle vettovaglie di raggiungere l'interno della struttura. Dopo due settimane il parroco era allo stremo, cedette alle lusinghe della promessa di un secchio di coda alla vaccinara e consegnò la donna alla folla inferocita.
Messa alle strette (nella vergine di Norimberga) confessò di aver venduto, nella sola Roma, veleno sufficiente a uccidere circa 600 uomini. Con lei salirono sul patibolo i suoi collaboratori e una ventina di donne che avevano avvelenato i mariti, più un'altra dozzina accusate di averci provato (quasi tutte sposate con uno dei giurati), tra esse anche la suocera del giudice.

Acqua tofana

Acqua Tofana: l'ultima che potr vorrai bere.

Secondo i bene informati, il mortale composto fu inventato proprio dalla madre di Giulia, quest'ultima si limitò solo ad allargare il mercato, vendendo il veleno fuori dai confini palermitani, e cioè a Messina e a Trapani. Per la vendita nello Stato Pontificio dovette attendere l'autorizzazione del cardinal vicario Biscottini, ma ci volsero quasi due anni.
L'acqua tofana aveva un alto grado di letalità, a metà strada tra il morso di un cobra e una canzone di Marco Masini. Ne era sufficiente una piccola quantità per procurare una morte priva di sintomi[2], facendo sì che l'assassinio non venisse scoperto.

Gli ingredienti della miscela sono quasi tutti noti, ma non se ne conoscono le esatte dosi e il procedimento di lavorazione, accidenti.
Composizione

Un'opinione scientifica potrebbe essere quella del medico personale di Carlo VI d'Austria, che descrisse il contenuto dell'acqua tofana come una soluzione di anidride arseniosa in acqua distillata aromatica, addizionata con piombo e alcoolato di cantaridi. Ma lo disse per fare bella figura col sovrano, in realtà ne sapeva di chimica quanto Renzo Bossi di meccanica quantistica.
L'assenza di sapore e odore faceva di questa miscela il veleno ideale da propinare con cibi o bevande, escludendo ovviamente la cucina francese (già velenosa di suo). Veniva venduta camuffandola a volte come cosmetico, altre volte come oggetto di devozione nei confronti di San Nicola (imbottigliata in fialette recanti la sua immagine). Durante quegli anni, il santo barese veniva bestemmiato in rapporto di 6:1 rispetto la media degli altri Santi (e nel conteggio non furono inseriti quelli che riuscirono solo a proferire "Mannaggia San Nic..."). In ogni caso, la vendita del veleno era sempre accompagnata dal bugiardino con le istruzioni per l'uso, allo scopo di evitare avvelenamenti accidentali. Nel capitolo Effetti collaterali c'era scritto chiaramente "può avere effetti letali".
Ai nostri giorni, Giulia Tofana sarebbe stata assolta e vivrebbe immensamente ricca.

Note

  1. ^ condannata per nome osceno
  2. ^ anche se l'incazzatura del morente restava comunque
  3. ^ una quantità notevole
  4. ^ senza parsimonia

Voci correlate