Utente:Zurpone/Sandbox2
Se piove, si lustra e sfoggia
il suo fischio d'aiuto.
È notte. S'è forse perduto
in mezzo alla nebbia dei fiumi
e non vede più i lumi
della nostra città?
Il macchinista che fà?
S'affaccia, s'affaccia
e la pioggia gli sferza la faccia,
il vento gli ruba la voce
il bianco sorriso veloce.
Sol grande orologio il suo cuore
gli batte il fragore
del treno che va[1]. »Il macchinista è l'adepto di una setta che si ispira al macchinismo, o macchinistica, movimento laico-religioso che propugna la circolazione di uomini e cose come strumento indispensabile per accedere al Nirvana. Ciò fa sì che egli sia il conducente, o conduttore, o guidatore, o pilota, o autista del treno. È in grado di condurre con la medesima disinvoltura sia l'ultimo modello ipertecnologico di elettrotreno su monorotaia, sia la sgangherata automotrice arrancante e sbuffante delle vecchie linee a scartamento ridotto. Ma soprattutto, può suonare quasi a piacimento la sirena, o clacson, o avvisatore acustico.
Storia del macchinismo
Il primo treno fu inventato, come tutti ben sappiamo, dal solito Leonardo Da Vinci, quindi è logico pensare che all'illustre scienziato possano essere attribuite le prime serie riflessioni che sarebbero poi sfociate nel macchinismo. Forse perché troppo in anticipo sui tempi, forse a causa della diffusa superstizione di quei tempi, forse per colpa di qualche beffardo scherzo del destino, i concetti fondamentali del macchinismo restarono misconosciuti per tre secoli buoni, fino ai primi anni del 1800, quando un gruppo di perdigiorno riprese in mano alcuni bizzarri progetti leonardeschi. Tra essi c'era gente del calibro di Richard Trevithick[uèèèèèèèèèèè!!!], John Blenkinsop[ooooohhhhh!!!], e soprattutto George Stephenson[seeeeeeeeeeeee!!!], che progettarono e costruirono le prime locomotive a vapore utilizzate in miniera. In questo modo i minatori respiravano costantemente i densi fumi di scarico all'interno dei cunicoli, e se prima morivano mediamente a trentacinque anni, adesso morivano a ventotto, ma c'è da dire che il puzzolente fumo nero aveva un effetto inebriante, quasi stupefacente. Era facile inculcare in queste menti giovani ed ottenebrate i dogmi e le rigorose applicazioni del macchinismo, che si diffuse a macchia d'olio in tutta Europa in men che non si dica.
L'eccezione della Sardegna
Il macchinismo raccolse ampi consensi praticamente dovunque, tranne che in Sardegna, a causa di un disguido linguistico. Nella lingua dei conterranei di Marco Carta il sostantivo macchìne[2] designa la follia, e per questo motivo tutti i Sardi, notoriamente diffidenti, si chiusero ancora più a riccio di fronte alle novità tecnologiche provenienti dal continente, ritenendo che coloro che parlavano di macchinismu cercassero di diffondere la pazzia per tutta l'isola. I trasporti ferroviari in Sardegna saranno pertanto caratterizzati da una profonda arretratezza che, lungi dall'appianarsi, si è semmai acuita ulteriormente negli ultimi anni, come dimostra l'immagine a lato.
È nato prima il treno o il macchinista?
Non è un quesito ozioso, come si sarebbe portati a pensare di primo acchito. Se qualche saccentone, con mentalità cerchiobottista o bottepienaemoglieubriachista che dir si voglia, sostiene che sono nati entrambi nello stesso momento, un'altra teoria, indubbiamente più razionale, dimostrerebbe come in realtà sia nato prima, molto prima, il macchinista. Il ragionamento è il seguente: si consideri che il treno, e quindi la locomotiva, sono stati inventati da Leonardo da Vinci, cosa che ormai non dovrebbe più essere messa in dubbio da nessuno. Il grande scienziato fu anche il primo collaudatore della sua invenzione, perciò può essere considerato a buon diritto il primo macchinista. Il treno fu inventato nel quasimillecinque(cento), quando Leonardo aveva circa quarantacinque anni, di conseguenza, era nato ben quarantacinque anni prima del treno. In tanti hanno provato, nel corso degli anni, a confutare la granitica solidità di tali argomentazioni, fallendo miseramente uno dopo l'altro.
Macchinisti ieri
I primi macchinisti, che conducevano locomotive a vapore, dovevano avere requisiti particolari: corporatura massiccia, braccia possenti, scarsa propensione all'igiene, aspettativa di vita non superiore a quarantacinque anni. Tanto serviva per manovrare le pesanti ed insicure vaporiere di allora. Ad essi vennero presto affiancati i fuochisti, ai quali era perfino dispensata la conoscenza della lingua italiana: dovevano preoccuparsi esclusivamente di gestire e la caldaia, il forno, l'acqua e il combustibile[3], e per far ciò non era certamente necessaria la laurea in lettere. La particolare conformazione delle locomotive a vapore non favoriva una buona visuale al macchinista, che era spesso costretto a sporgersi fuori dall'abitacolo, con qualsiasi tempo ed in qualunque condizione: l'alto tasso di mortalità fra i macchinisti di vaporiere si deve, oltre che ai tumori polmonari causati dal fumo, anche alle numerose pleuriti, polmoniti, ed alle repentine decapitazioni provocate dall'incontro col ramo di qualche albero che invadeva la sede ferroviaria.
Macchinisti oggi
Con l'avvento dei rotabili a trazione diesel ed elettrica, le condizioni dei macchinisti migliorarono sensibilmente. Di pari pari passo, si evolveva anche la figura professionale: tra i requisiti minimi per ottenere l'abilitazione all'esercizio, sono richiesti vista a quindici decimi; un terzo occhio di riserva; diploma di scuola superiore ad indirizzo tecnico; udito finissimo, da comprovare mediante conseguimento di diploma in direzione d'orchestra. Costituisce titolo preferenziale aver visto almeno una volta tutte le serie del telefilm MacGyver. Fino a qualche anno fa i macchinisti lavoravano sempre in coppia, eppure non sono mai circolate barzellette su di essi. Negli ultimi tempi le politiche di contenimento della spesa hanno dapprima indotto a far lavorare un solo macchinista per treno, successivamente per due, ma anche tre treni. I macchinisti hanno protestato vivacemente dichiarando che viaggiare da soli, senza poter fare due chiacchiere col collega, può portare alla depressione ed alla schizofrenia, ma non sono stati ascoltati. Infine si sono resi conto che per condurre due o tre treni per volta bisogna concentrarsi talmente tanto che non avanza più tempo per la conversazione.
Curiosità
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Un oggetto misterioso: il trexi
Personaggi che hanno sentito il bisogno impellente di dire qualcosa sul macchinista
Oltre al già citato Alfonso Gatto, in tantissimi hanno detto la loro sul macchinista. Probabilmente questo fatto va interpretato come mancato superamento di una qualche fase dell'età infantile, le cui cause vanno ricercate nel fatto che costoro non hanno mai ricevuto come dono natalizio un trenino elettrico o a molla che fosse. Solo per citarne alcuni:
- Francesco Guccini, nel suo quarantennale tormentone La locomotiva: Non so che viso avesse, neppure come si chiamava...[citazione necessaria];
- Rino Gaetano, che narra di un macchinista idealista e bonaccione in una delle sue prime canzoni: Agapito Malteni il ferroviere;
- Anonimo che ha scritto una canzone pacifista intitolata Macchinista, testo in parte ripreso da Marco Paolini e i Mercanti di liquore ne Il sergente nella neve.
Note
- ^ Il titolo di questa poesia è, per combinazione, Il macchinista.
- ^ Che gli adolescenti isolani scrivono makkìne
- ^ Legna, carbone, o quel che capitava.