Dialetti delle Marche: differenze tra le versioni

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Versione delle 09:23, 4 ago 2010

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« Te strongo le mà! »
(Gentile invito a trovare pace rivolto dai genitori ai bambini)
« Quand el sol batt tel paiè... viva le t'nai! »
(Tipico brindisi del Montefeltro)
« Jimo jo ppele jieppe cola jippe jalla ? »
(Marchigiano con un problema al pomo d'Adamo)
« Compàaaaa ...!!! »
(Richiamo rurale marchigiano)
« Che vvoliiiiii ...??? »
(Risposta al richiamo di cui sopra)
« Ma te vai a fa da' ntel culo? »
(Cantilena portuale anconetana)
« Oh và vo vè lo vì? »
(Ragazzo dice che...boh)
« Lu sarvaì era sbusciatu e s'è scapordato tutto »
(L'imbuto era bucato e si è rovesciato tutto)
« La acca m'ha fetato tre manzitti, unu era stroppiu e n'antru parìa topercolosu - Fatto vè cuscì te mbara a faje magnà lo sfarato »
(Discorso tipico di due agricoltori)

I dialetti marchigiani sono un'accozzaglia di dialetti capitati per caso nella stessa regione, un po' come succede ai matrimoni con l'assegnazione dei posti a tavola, praticamente non ci stavano da nessuna parte e furono scaricati nelle Marche. Vi sono quindi molte differenze da zona a zona, da provincia a provincia, da paese a paese e da numero civico a numero civico.

Tuttavia i linguisti hanno osato dividere i dialetti marchigiani in quattro gruppi:

  • la zona di Pesaro-Urbino (in cui il dialetto principale è il tavulliese, esportato poi in tutta la provincia da Valentino Rossi);
  • la zona dei ciambotti e dei mòscioli (volgarmente detta anconetana);
  • la zona de li contadì de cambàgna e de li pistacoppi de città (o maceratese);
  • la zona delle live fritte (o dell'asculà).

La prima e la quarta zona sono state linguisticamente espropriate da tempo dai romagnoli e dagli abruzzesi rispettivamente, tanto che molti si chiedono come cazzo fanno ad essere marchigiani se dicono Mentr’ acsè le parleva do’ ragazz malè passeva sai “bleu-geens” tutti sbrimbledi oppure Che te possa cascà adduosse na pioggia de chiuove 'rrezzentite.

Inoltre a Senigallia e nelle città circostanti la parlata è così bastarda (non nel senso di meticcia) che non può essere classificata fra le quattro, poiché per l'alta concentrazione di incompatibilità dialettale ogni abitante si sceglie il proprio dialetto fra quelli dei quattro gruppi. Ad oggi nella città di Senigallia i cartelli stradali sono scritti in sette-otto lingue, peggio che in provincia di Bolzano.

Da considerare anche gli sforzi della gente marchigiana nel tentare di interagire con persone in luoghi più o meno affollati: visto il caso di dialetti multipli precedentemente analizzato, può succedere che per paura di creare incomprensione si tende a parlare in italiano (almeno quello fin'ora conosciuto). Questo fenomeno è stato riscontrato soprattutto in signore in età avanzata come dimostrato da un recente studio. Ne fa un esempio la signora che si reca in macelleria e chiede:

« Vorrei tre etti di fettine, mi raccomando me le dia tenere che mio marito non le stroncica bene... »

.

Caratteristiche comuni (poche)

Ci sono delle caratteristiche comuni tra i dialetti, che smentiscono quelle non comuni e viceversa.

Scomparsa dei finali delle parole

Nella zona dei mòscioli, de li contadì e delle live fritte ad esempio il cervello dei parlanti per colpa di un bug non riconosce le parole che terminano in no/ni/ne causando una ritrazione della lingua che fa dire queste parole solo fino all'accento: abbiamo così lu vì, el cà, li picciù, li contadì, 'l pà, la comuniò (ecc). Il cervello de li contadì è ulteriormente ridotto e va in tilt anche con le parole che finiscono in aro/ore: abbiamo così lu trattò, lu vergà, lu macellà, ecc.

Incapacità di pronuncia

Nelle stesse tre zone si verifica un altro degli innumerevoli bug del sistema che colpiscono i marchigiani: l'impossibilità di riconoscere gran parte delle S (doppie o no) che si trovino fra due vocali o prima d'una consonante. L'esito di questo difetto è una S strisciata sul palato: abbiamo così scì (sì), cuscì (così), tosce, posci, pasciò (passione), shpettà (aspettare), shcòjo (scoglio), vashtò (bastone), ecc. Nell'inutile tentativo di rimediare a tal difetto, i marchigiani ar-fatti (quilli che vole parlà l'italjano justo) danno vita ad obbrobri linguistici come coscì, cussì (così), (sì), shpettare, vastone, tossa (tosse), shcoglio, ecc.

Limiti grammaticali

L'altro grosso difetto di un po' tutti i marchigiani è quello di usare la terza persona plurale molto ma moooooolto raramente, perché vedendo ce n'è già una singolare, non c'è bisogno di usarne una plurale, ovviamente. Nel vano tentativo di rimediare a codesto sgradevole difetto, i mosciolari per eccellenza hanno escogitato una forma di pseudo-terza persona che assomiglia vagamente a quella italiana:
mosciolaro:

Singolare Plurale
el ca' magna na muchia (il cane mangia molto) i ca' magnane na muchia (i cani mangiano molto)


Per quale arcano motivo ci sia una E al posto di una O in quel màgnane è ancora ignoto.

Caratteristiche non comuni nelle 2 zone centrali (tante)

Nonostante i tratti comuni di cui sopra, i dialetti marchigiani prendono le distanze fra loro per via di differenze eclatanti pari a quelle che differenziano il Quechua dal fiorentino.

Pistaccoppese

  • La provingia di Macerata è corbita purdroppo da un derribile difetto di pronungia che fa sì che "nt" divendi "nd", "mp" cambi in "mb" e "nc" sia reso "ng". Inoltre sembre presso i pistacoppi la B in mezzo alle vocali divenda irrimediabilmende una V.
- pistaccoppese1: Che meshtiere fai?
- pistaccoppese2: Faccio lu varishta a lu varre de vabbo mia!”
  • Maceratesi e favrianesi a differenza dei mosciolari compiono delle assimilazioni, cioè una consonante si mangia quella dopo e la risputa sotto forma di mutante a sua immagine e somiglianza. Infatti la loro "n" si mangia la "d" successiva, la loro "m" si mangia la "b" successiva e a volte la loro "l" si mangia la "d" successiva. Sono senza dubbio lettere molto ghiotte, queste tre. Il risultato:

Quanno la gamma se scalla (quando la gamba si scalda).

  • Succidi ai marchigiani dilla pruvincia di Macirata di parlari un pucu cun la prununcia stritta, pirchì upira un finuminu chi si chiama metafonia, o metafonesi, o umlaut, o HP³109™4²,9A. Quistu finuminu si applica a li paruli chi finiscunu in O, I, U, i cunsisti nillu scurimintu dilla vucali sulla quali cadi l'accintu. Quindi iu stu prupriu isagirandu a parlari cusì strittu.

Mosciolarese e Ciambottaro

  • I bravi ancunetà, per far vedere che non temono la "n" mangiona, hanno fatto diventare la "d" della parola quando una bella "t":

Quanto sei bella Ancona quanto se fa sera!

  • Nel dialeto dei mosciolari, forse per una penetrazione del dialeto dei Veneti, vengono sdopiate tute (ma proprio tute) le letere dopie, cioè quele che vano in copia. Fano ecezione le dopie S, che rimangono come sono: El gato ha ciuciato el late ntel piato de cocio (il gatto ha succhiato il latte nel piatto di coccio)
  • I ciambotti, essendo vicinissimi al mare, hanno una mèntalità molto più aperta dei maceratesi, perciò aprono la E della parola "mente", e di conseguenza anche di tutte le parole che finiscono ugualmènte. Qualche esempio: Pratigamèèènte, mèèènta, svenimèèènto, gudimèèènto, sentimèèènto, velucemèèènte, ecc.

Altre malignità linguistiche

  • Ad esempio la mente perversa dei Marchigiani fa sì che ad Ancona e a Macerata la stessa parola significhi due cose quasi opposte: presso i ciambotti infatti co' significa che? mentre presso i pistacoppi significa niente. La differenza sta solo nell'accento, chiuso a Macerata, aperto ad Ancona.
- ciambotto: Co' fai? (che fai?)”
- pistacoppo: Non faccio co'! (non faccio niente!)”
  • Una delle differenze più eclatanti fra i dialetti marchigiani è l'uso totalmente campato in aria dell'articolo determinativo maschile. Infatti a macerata l'articolo "il" è sempre "lu", mentre ad Ancona è sempre "el".
Abitante Esempio
Pistaccoppese Lu gra', lu lupu, lu taulu (il grano, il lupo, il tavolo)
Ciambottaro E' sguardo, el spago, el stucafisso (lo sguardo, lo spago, lo stoccafisso)
Osimano, jesino e altri paesini El gatto, lo rifugio, lo ramo, lo spago (il gatto, il rifugio, il ramo, lo spago)
Gente di paesini di cui a nessuno importa, tipo i filottranesi Ir diaulu, u gattu, ru ca', ro zucchero (il diavolo, il gatto, il cane, lo zucchero)

Da notare la finezza del filottranese RU, articolo determinativo di rara eleganza. Ad Ancona è anche attestato l'uso di "el" al posto di "lo" anche come pronome: El mazo, el spegno (lo ammazzo, lo spengo).

  • Succede in gran parte dell'area centrale che la "v" scompaia spesso in posizione intervucalica, e che non si trovi ancora nonostante gli appelli a Chi l'ha visto?. Gli unici ad andare fieri delle loro "v" sono i mosciolari, mentre gli altri le ripudiano:

Taolo, brao, dormìo, 'na orta, le acche (tavolo, bravo, dormivo, una volta, le vacche)

  • L'apertura del dittongo "ie" è l'aspetto vocalico più strapazzato in assoluto nelle province di Ancona e Macerata. I pistacoppi infatti lo pronunciano chiuso nella maggior parte delle parole (ri, pnu, camanzinre, pde, insme), mentre a Jesi, Osimo e altre città dei dintorni esso è sempre aperto tranne in alcuni casi (ri, pno, vne, dci, pde, ferovre, insme). I ciambotti per non sbagliare pasticciano come possono prendendo un po' qui un po' là (ri, pno, vne, pde, insme, tne, dci).

Chiamamisivi ... chiamisivici ... chiamasi ipercorrettismo il fenomeno per cui jesini, osimani e coloro che hanno il dittongo "ie" aperto lo chiudono (rinnegando la loro lingua madre), sebbene in italiano corretto esso vada pronunciato per regola aperto, bestie!

Cortesie marchigiane

  • Te dago do' sardèle ntele custarèle che te fago piagne finché nun mori! (Ancona)
  • Ma vàte a fa' da' ntel culo! (Ancona)
  • Ma vatte la a fà anderculo! (Fermo)
  • Te do 'n cazzotto che tte sparìscio! (Osimo)
  • Un gorbu che tte spacca! (Macerata)
  • Piassa un colp ma te e ma chi t'ha fat! (Fano e dintorni)
  • Te pijesse nu sciordo' addè 'ddè! (Fermo)
  • Mo vengh' ess' e te sdrovell' co su mis da cà lip! (San Benedetto del Tronto e dintorni)
  • Ooh fio de 'na cocchia looonga... (Castelfidardo)
  • Pozzi murììì! Pozzi murììì! (Macerata)
  • Te se pozza murì lu porcu e rruinà tutte le sargicce de anno (Montegranaro)

Voci correlate