Alfa Romeo Arna

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« Volevo comprarne una al posto della mia Alfasud, ma mi sono accorto che c'era una sola differenza: l'Arna aveva la ruggine di serie. »
Tutti gli esemplari di Arna venduti nel 1986.

L'Alfa Romeo Arna è stata un'automobile, più precisamente una berlina di segmento medio-infimo, che ha mostrato al mondo come anche un semplice ammasso di lamiera e bulloni possa rappresentare un elemento di accusa per oltraggio al pudore. Prodotto di una sciagurata joint venture tra Alfa Romeo e Nissan, rappresenta il più compiuto esempio di connubio tra gusto estetico giapponese e qualità produttiva italiana, per dirla con le parole con cui la accolse Quattroruote, la cui scheda tecnica ne descrisse le caratteristiche con la consueta completezza:

« Fa cagare. »

Concezione ed assemblaggio

Sul finire degli anni '70, l'Alfa Romeo decide che è ora di sputtanare la sua nobile fama e prova ad introdursi in un nuovo settore del mercato automobilistico, creato pochi anni prima da modelli quali Volkswagen Golf, Fiat Ritmo e Lancia Delta: quello delle macchine che costano un botto, valgono la metà e bevono come tombini. Vista l'impossibilità di produrre un modello nuovo, la casa milanese decide di riciclare la meccanica dell'Alfasud, basata su quella dell'Alfa Giulia che a sua volta derivava dalla componentistica di un decespugliatore motorizzato Busso, e stipula un accordo con la Nissan per la fornitura dei telai della Nissan Cherry, un'automobile che aveva riscosso ampi apprezzamenti in Estremo Oriente tra quanti l'avevano scambiata per un boiler.

I problemi iniziarono a palesarsi fin dalla fase di produzione, avviata nel 1983 negli stabilimenti di Pratola Serra, in provincia di Avellino, un posto dove il mezzo più moderno in circolazione era il carretto del gelataio: tali impianti erano sorti dopo il terremoto dell'Irpinia per iniziativa di Ciriaco De Mita, un atto di gratitudine verso i suoi conterranei che dal canto loro lo contraccambiarono con sassate in tutti i suoi comizi da allora in avanti, perché in campagna elettorale aveva promesso loro altri due anni di sussidio di disoccupazione.

L'assemblaggio vide dunque il massiccio impiego di manodopera del luogo, che mise in evidenza fin da subito preoccupanti carenze di preparazione tecnica: tre quarti delle maestranze, infatti, alla richiesta di timbrare il cartellino lasciarono il posto di lavoro per correre a comprare l'inchiostro; il rimanente quarto, invece, iniziò il turno utilizzando la chiave inglese per aprire le scatolette di Simmenthal.

Il compito degli operai non fu poi facilitato dal fatto che la forma delle scocche Nissan non collimava con quella del propulsore Alfa, il che ritardò considerevolmente la commercializzazione del modello, anche perché dal Giappone rifiutarono di ritirare le carrozzerie da modificare perché prive dello scontrino. Fu quindi possibile mettere in vendita la vettura solo dopo averci ficcato dentro il motore a martellate.

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