Utente:Zurpone/Sandbox2

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Pellegrino Artusi

Di Pellegrino Artusi (Forlimpopoli, 1820 - Firenze, 1911) si dice sia stato critico letterario, scrittore e gastronomo, sebbene sia ricordato esclusivamente per l'ultima attività citata. Ad onor del vero, egli avrebbe preferito essere ricordato come scrittore e letterato ma, come spesso accade, la vita di ognuno di noi prende talvolta direzioni inaspettate, e del doman non c'è certezza[citazione necessaria].

La vita

Pellegrino Artusi nasce in terra di Romagna quando l'Italia è ancora una pura utopia, quartottavo di ben dodici figli. Tutti insieme andranno a costitutire per qualche anno la Polisportiva Pro Forlimpopoli, società sportiva che, a metà dell'ottocento, si distinse in discipline come il lancio della vacca, la tombola goriziana, l'alpinismo orizzontale.

Figlio di un ricco droghiere, si trovò fin da piccolo in mezzo a partite di canfora, cocaina, benzoino, noce moscata, canapa indiana, pepe, stramonio, curry e chiodi di garofano. Respirandone gli effluvi sviluppò una forma mentis alquanto curiosa e particolare, ottimamente trasposta nel suo look sbarazzino. Dopo il liceo si traferì a Bologna, facendo credere ai genitori di frequentare con buoni profitti l'università, mentre in realtà era un habitué dei festini notturni, si esibiva al karaoke nelle piazze, primeggiava nelle gare a chi mangia più pastasciutta. Un giorno il padre si accorse che il giovane Pellegrino aveva falsificato il libretto universitario, e che in pratica non aveva sostenuto alcun esame per ben quindici anni. Fu costretto a tornare a Forlimpopoli, dove il padre lo mandò a lavorare nella drogheria di famiglia. Pochi mesi dopo l'intero paese fu messo a ferro e fuoco dal brigante Stefano Pelloni, detto Il Passatore, che compì ripetute rapine in stile Arancia meccanica, con tanto di violenza carnale conclusiva. Neppure la famiglia Artusi scampò al feroce bandito: si dice che anche una sua sorella subì le sue turpi attenzioni, ma il dubbio è che il bandito sia andato oltre, poiché c'è chi afferma che l'Artusi stesso, dopo quell'episodio, abbia sofferto per il resto della sua vita di prolasso rettale.