P2

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La P2 all'apice dello splendore.
« Mi dovrebbero almeno dare il copyright! »
(Licio Gelli reclama i diritti d'autore dopo l'ennesimo saggio di Travaglio sulla P2)

La Propaganda Due, più nota come P2 o PD, costituisce, insieme a Cosa Nostra, uno dei due poteri universali che reggono l'Italia.

Finalità e obiettivi

La loggia P2 è l'istituzione temporale incaricata di salvaguardare il Paese dalla minaccia del comunismo, che nel secondo dopoguerra mise a serio repentaglio la libertà dei cittadini.

La sua Santa Missione è stata lungamente ostacolata dall'ingerenza dello Stato Italiano, associazione eversiva di stampo marxista-leninista che mirava a trascinare l'Italia verso una dittatura delle toghe rosse.

Dopo anni di battaglie, il pericolo di una rivoluzione proletaria fu definitivamente scongiurato nel 1994, grazie alla vittoria sui comunisti del piduista Silvio Berlusconi[1] e alla fagocitazione dello Stato Italiano da parte della P2.

La Mente

Maestro Venerabile della loggia P2 fu Licio Gelli, il quale era un faccendiere-intrallazzatore-trafficone: insomma, era il classico tizio che non si capisce bene che cosa faccia nella vita, ma che inspiegabilmente ha le mani in pasta ovunque.

Giulio Andreotti seppe scrutarne il talento e nominarlo così "Custode delle Chiavi e dei Luoghi d'Italia". Con questo titolo, durante la lunga battaglia contro il comunismo, Gelli e la P2 vennero in diverse circostanze consultati su questioni nevralgiche, come il rapimento di Aldo Moro.

Caso Moro

Iniziati eccellenti

Massoni iniziati alla P2.
  • Silvio Berlusconi: promettente imprenditore edile milanese, capace di gesti di sconfinata umiltà e magnanimità. Il più eclatante è la scelta di condividere con i propri dipendenti la condizione di manovale, aderendo alla massoneria con la qualifica di "apprendista muratore".
  • Maurizio Costanzo: giornalista servizievole, scelto come contraltare moderato allo strapotere mediatico dei comunisti, i quali già tenevano saldamente in pugno l'informazione; sfruttando il loro peso politico per trasmettere in prima serata, a reti unificate e con cinque repliche, l'Angelus di Papa Paolo VI e per pubblicare, sui maggiori quotidiani, graffianti inchieste sul pellegrinaggio a Lourdes di Arnaldo Forlani.
  • Claudio Villa: icona della musica italiana, l'uomo giusto per allungare i tentacoli sul festival di Sanremo. L'influenza e le pressioni della P2, infiltrata con i suoi uomini nella giuria sanremese, fu determinante nel sancire, nel 1978, la vittoria dei Matia Bazar della manifestazione canora, a scapito del favorito Rino Gaetano, inviso ai poteri forti.
  • Vittorio Emanuele di Savoia: erede di una dinastia decaduta, ma che poteva sempre tornare utile all'uopo. La sua iniziazione permise di mettere le mani avanti, nel caso di un ritorno alla monarchia.
  • Roberto Calvi: probo e scaltro faccendiere con un'anima ecologista, sostenitore della raccolta differenziata e del riciclaggio di denaro. La P2 si avvalse della sua perizia nel rimediare denaro, per finanziare le proprie iniziative filantropiche. Per la sua prodigalità e il suo altruismo, attirò su di sé l'avversione dei comunisti, che lo impiccarono sotto un ponte di Londra.
  • Angelo Rizzoli: ah, la stampa... Chi non ha mai bramato di impadronirsene? E quale uomo più adatto di Angelone Rizzoli, editore spregiudicato (e pregiudicato), autentico collezionista di testate giornalistiche e Presidente della casa editrice proprietaria del Corriere della Sera e di un enorme cumulo di debiti? Peccato che le toghe rosse abbiano percepito, nell'attività imprenditoriale di Rizzoli, una minaccia per l'edificazione del socialismo reale e siano prontamente corse ai ripari, sfoderando contro l'editore l'arma della persecuzione giudiziaria e arrestandolo con un'assurda condanna per bancarotta fraudolenta.
  • Michele Sindona: banchiere e pupillo di Andreotti, che, per i suoi meriti conseguiti nel campo della musica, lo definì il "salvatore della lira". Fu un mecenate stimato e rispettato da tutti nella sua Sicilia, dove era affettuosamente chiamato "Don Michele". Tuttavia, l'avvocato Giorgio Ambrosoli, evidentemente in cerca di notorietà e smanioso di fare carriera, ebbe l'ardire di mettere in discussione la rettitudine di una persona tanto integerrima come Sindona[2]. A conferma del fatto che ad andarsene siano sempre i migliori, il Fato volle che Sindona fosse diabetico e che un giorno Andreotti gli avesse incautamente offerto un caffè al bar, dimenticando di avvisare l'amico di aver già aggiunto nella tazzina cinque cucchiaini di zucchero...

Note

  1. ^ Tessera n. 1816, codice E. 19.78, gruppo 17, fascicolo 0625
  2. ^ Per questo spudorato affronto, Ambrosoli fu assassinato; anche la colpa è solo sua, poiché, come ha lucidamente fatto notare Andreotti, «certo era una persona che, in termini romaneschi, se l'andava cercando.»