P2

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La P2 all'apice dello splendore.
« Mi dovrebbero almeno dare il copyright! »
(Licio Gelli reclama i diritti d'autore dopo l'ennesimo saggio di Travaglio sulla P2)

La Propaganda Due, più nota come P2 o PD, costituisce, insieme a Cosa Nostra, uno dei due poteri universali che reggono l'Italia.

Finalità e obiettivi

La loggia P2 è l'istituzione temporale incaricata di salvaguardare il Paese dalla minaccia del comunismo, che nel secondo dopoguerra mise a serio repentaglio la libertà dei cittadini.

La sua Santa Missione è stata lungamente ostacolata dall'ingerenza dello Stato Italiano, associazione eversiva di stampo marxista-leninista che mirava a trascinare l'Italia verso una dittatura delle toghe rosse.

Dopo anni di battaglie, il pericolo di una rivoluzione proletaria fu definitivamente scongiurato nel 1994, grazie alla vittoria sui comunisti del piduista Silvio Berlusconi[1] e alla fagocitazione dello Stato Italiano da parte della P2.

La Mente

Maestro Venerabile della loggia P2 fu Licio Gelli, il quale era un faccendiere-intrallazzatore-trafficone: insomma, era il classico tizio che non si capisce bene che cosa faccia nella vita, ma che inspiegabilmente ha le mani in pasta ovunque.

Giulio Andreotti seppe scrutarne il talento e nominarlo così "Custode delle Chiavi e dei Luoghi d'Italia".
Con questo titolo, nel corso della lunga battaglia contro il comunismo, Gelli e la P2 vennero in diverse circostanze consultati su questioni nevralgiche, come il rapimento di Aldo Moro.

Caso Moro

Nel 1978, in seguito allo sconvolgente e imprevisto[citazione necessaria] rapimento di Aldo Moro, il Ministro dell'Interno Francesco Cossiga dispose l'istituzione di due "comitati di crisi". A questi organi egli affidò il compito di tracciare la linea da seguire nei rapporti con le Brigate Rosse e deliberare quali fossero il colore e la fantasia della cravatta più consoni alle cariche dello Stato per presenziare agli imminenti funerali di Moro. Per questo cruciale ufficio, Cossiga ritenne opportuno interpellare personalità di comprovata lealtà e statura morale: incaricò così Gelli e una dozzina di altri piduisti di ottemperare a questo delicato compito.

Durante i lavori dei comitati, furono discusse le seguenti mozioni:

  • Inscenare un blizt fittizio della polizia nel quartiere generale delle BR, permettendo ai sequestratori di fuggire dalla porta sul retro: avrebbe potuto funzionare, ma c'era il rischio che i brigatisti, credendo di essere davvero perseguiti dallo Stato, intimiditi, rinunciassero così ad uccidere Moro.
  • Trattare con i terroristi, dimostrando l'impegno delle istituzioni per salvare Aldo Moro, tergiversare ed infine rovesciare il tavolo e abbandonare Moro al proprio destino. Una buona idea, che avrebbe soddisfatto anche Craxi e i socialisti, ma che richiedeva troppo tempo, mentre Andreotti fremeva d'impazienza per togliere di mezzo Moro ed essere rinominato Presidente del Consiglio.
  • Telefonare ai brigatisti e far loro una supercazzola.

L'impasse fu risolta dall'intervento in prima persona di Giulio Andreotti, il quale stabilì che si dovesse fare alla classica maniera democristiana: decidere di non decidere, non fare nulla e lasciare che gli eventi seguissero il loro naturale corso.

Iniziati eccellenti

Massoni iniziati alla P2.
  • Silvio Berlusconi: promettente imprenditore edile milanese, capace di gesti di sconfinata umiltà e magnanimità. Il più eclatante è la scelta di condividere con i propri dipendenti la condizione di manovale, aderendo alla massoneria con la qualifica di "apprendista muratore".
  • Maurizio Costanzo: giornalista servizievole, scelto come contraltare moderato allo strapotere mediatico dei comunisti, i quali già tenevano saldamente in pugno l'informazione; sfruttando il loro peso politico per trasmettere in prima serata, a reti unificate e con cinque repliche, l'Angelus di Papa Paolo VI e per pubblicare, sui maggiori quotidiani nazionali, graffianti inchieste sul pellegrinaggio a Lourdes di Arnaldo Forlani.
  • Claudio Villa: icona della musica italiana, l'uomo giusto per allungare i tentacoli sul festival di Sanremo. L'influenza e le pressioni della P2, infiltrata con i suoi uomini nella giuria sanremese, fu determinante nel sancire, nell'edizione del 1978, la vittoria dei Matia Bazar della manifestazione canora, a scapito del favorito Rino Gaetano, inviso ai poteri forti.
  • Vittorio Emanuele di Savoia: erede di una dinastia decaduta, ma che poteva sempre tornare utile all'uopo. La sua iniziazione permise di mettere le mani avanti, nel caso di un ritorno alla monarchia.
  • Roberto Calvi: probo e scaltro faccendiere con un'anima ecologista, sostenitore della raccolta differenziata e del riciclaggio di denaro. La P2 si avvalse della sua perizia nel rimediare denaro, per finanziare le proprie iniziative filantropiche. Per la sua prodigalità e il suo altruismo, attirò su di sé l'avversione dei comunisti, che lo impiccarono sotto un ponte a Londra.
  • Angelo Rizzoli: ah, la stampa... Chi non ha mai bramato di impadronirsene? E quale uomo più adatto di Angelone Rizzoli, editore spregiudicato (e pregiudicato), autentico collezionista di testate giornalistiche e Presidente della casa editrice proprietaria del Corriere della Sera e di un enorme cumulo di debiti? Peccato che le toghe rosse abbiano percepito, nell'attività imprenditoriale di Rizzoli, una minaccia per l'edificazione del socialismo reale e siano prontamente corse ai ripari, sfoderando contro l'editore l'arma della persecuzione giudiziaria e arrestandolo con un'assurda condanna per bancarotta fraudolenta.
  • Michele Sindona: banchiere e pupillo di Andreotti, che, per i suoi meriti conseguiti nel campo della musica, lo definì il "salvatore della lira". Fu un mecenate stimato e rispettato da tutti nella sua Sicilia, dove era affettuosamente chiamato "Don Michele". Tuttavia, l'avvocato Giorgio Ambrosoli, evidentemente in cerca di notorietà e smanioso di fare carriera, ebbe l'ardire di mettere in discussione la rettitudine di una persona tanto integerrima come Sindona[2]. A conferma del fatto che ad andarsene siano sempre i migliori, il Fato volle che Sindona fosse diabetico e che un giorno Andreotti gli avesse incautamente offerto un caffè al bar, dimenticando di avvisare l'amico di aver già aggiunto nella tazzina cinque cucchiaini di zucchero...

Note

  1. ^ Tessera n. 1816, codice E. 19.78, gruppo 17, fascicolo 0625
  2. ^ Per questo spudorato affronto, Ambrosoli fu assassinato; anche se la colpa è solo sua, poiché, come ha lucidamente fatto notare Andreotti, «certo era una persona che, in termini romaneschi, se l'andava cercando.»