Malavita genovese

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Joe Pisciotta e Nick Culatiello, partners inseparabili a casa e al lavoro.
« Hai saputo? Paolo ha venduto sua madre a un nano »
« Bei tempi, non c'era tutto l'inquinamento di oggi, certo volavano un po' di pallettoni ma il cibo era genuino »
(Don Raffaé intervistato da Giovanni Minoli)

La malavita genovese classica si sviluppò nella città della lanterna dagli anni ’50 agli anni ’70, allorquando divenne appannaggio esclusivo dei socialisti e dei loro degni eredi. A differenza della malavita odierna, avida e spietata, la malavita “vintage” aveva un suo codice d’onore, una sua anima, istituzioni giuridiche, culturali e militari parallele e un cuore grande così.

Gennaro Santalucia

La malavita sbarca a Genova, attratta dai grandi traffici del porto e dal desiderio di copiare il pesto genovese e produrlo con basilico contraffatto. Il primo boss fu Gennaro Santalucia, detto “lo smilzo”, considerato che pesava solo 120 chilogrammi da nudo, interiora escluse. I suoi primi traffici si svilupparono verso lo smercio di contrabbando di figurine dei calciatori e poi lentamente passò al contrabbando dei calciatori stessi, fino a contrabbandare stadi interi, comprensivi di massaggiatori e raccattapalle.
Gli affari andavano benone, Gennaro era benvoluto da tutti, compresi i tutori dell'ordine ai quali inviava sempre un'album di figurine completo. Nel 1954 accadde però il fattaccio. Il Santalucia mancò di rispetto al boss siciliano, Concetto Papalìa, in vacanza con tutta la Famiglia a Portofino. Non avendolo riconosciuto, gli schiacciò inavvertitamente un callo durante la coda per comprare la cassata. Sul momento, Concetto Papalìa non disse nulla ma nel 1958 fece rapire il Santalucia che fu insufflato dentro un pilastro portante dell’Albergo “Bella Rimini” di Crotone. Il Santalucia, a causa del notevole quantitativo di cemento e calcestruzzo ingerito non riuscì a liberarsi in tempo ed è quindi attualmente un inquilino a tempo indeterminato del suddetto albergo. A seguito di questo evento spiacevole, la famiglia Santalucia si trasferì nei pressi dell'eremo avellinese di San Regolino per meditare sulla filosofia avverroistica e sul suo significato nella società moderna.
A Genova intanto il potere era passato in mano a Joe Pisciotta.
Joe Pisciotta era tornato dagli Stati Uniti dove aveva maturato una grossa esperienza come guardia del corpo e venditore porta a porta di aspirapolveri. Del suo passato aveva mantenuto un aspirapolvere potenziato da una ditta tedesca con il quale si divertiva ad aspirare i rivali.

Joe Pisciotta

Joe Pisciotta elaborò insieme al suo braccio destro Nick Culatiello “mano di fata” tutta una serie di regolamenti e leggi che resero il centro storico di Genova al di fuori di ogni giurisdizione statale e parastatale. Praticamente i negozi pagavano le tasse ad un certo Vincenzo Scornuto che le rigirava al centro di potere della malavita, il quale gestiva quei soldi per migliorare il quartiere e comprare i fuochi artificiali per la festa dell’Assunta. Tutto filava liscio fin quando non si presentava la Guardia di Finanza. A questo punto nascevano interminabili dispute fra chi dovesse incassare le tasse che neppure il parrocco di San Matteo riusciva a risolvere.
Fu quella "l’age d’or" della malavita genovese. Essere malavitosi era onorevole come oggi essere politici corrotti. I malavitosi potevano entrare gratis al cinema, avevano la panca personalizzata in chiesa ed era loro concesso di imitare il nitrito del cavallo ogni volta che lo desiderassero.
Fu in quell’epoca che nacque la festa della “mala”. Tutti potevano vestirsi con gessati grigi, farsi chiamare Santino o Vito o Micheal, spararsi addosso con i mitragliatori Thompson lasciati dagli alleati e mangiare a strippapelle. Durante la festa veniva eletto il malavitoso dell’anno, distintosi per attività di volontariato e buone azioni.
Durante queste feste furono notati fra la folla alcuni bei nomi del jet-set di allora come Jean Paul Belmondo, Amintore Fanfani, Brigitte Bardot e i Brutos.
Purtroppo Joe Pisciotta era omosessuale, partner fedele di Nick Culatiello, e per questo motivo non potè lasciare eredi, anche se provò a recarsi a Casablanca per un trapianto dell’utero, ma a quel tempo un intervento del genere non era stato ancora perfezionato e si rischiava di essere trasformati in cammelli.

La guerra dei vicoli

Proprio a causa della mancanza di eredi, nel 1968 si scatenò la famosa "guerra dei vicoli”. Tutte le bande rimaste nell’ombra cercarono di ottenere il loro posto al sole.
Il primo a proporsi fu Gavino Piras, dell’Anonima Sequestri. Il suo piano, che propose lealmente a tutti gli altri capi-mandamento, era quello di rapire tutti i genovesi e chiedere un riscatto ai milanesi. Si trattava di un piano piuttosto abominevole e infatti il Gavino fu condotto presso un ristorante cinese e tagliato a fettine sottili, preparato al carpaccio e servito come tonno pinna gialla a degli ignari ed entusiasti turisti tedeschi.
Il secondo tentativo fu quello di Pasquale Friscitiello, da Foggia, detto “il dottore” perché aveva finito la terza media. Il Friscitiello tentò il tutto per tutto. Riunì tutti i capicosca a casa sua e poi iniziò a sparare con una mitragliatrice Maxim del 1916. Purtroppo la mitragliatrice non era proprio in buono stato, avendo saltato gli ultimi 80 tagliandi. Pasquale Friscitiello fu pertanto invitato a suicidarsi facendosi incornare durante la festa dei tori di Villadolid, cosa che puntualmente accadde.
La guerra finì quando il leader dei primi marocchini della città, Rachid Burghiba detto il “Profeta dalla mano misericordiosa”, per via dell'affascinante vezzo di lasciare un corano accanto alle sue vittime, si alleò con Onofrio Badalamenti da Ragusa. A seguito dell'alleanza vi fu in una modernizzazione di tutto l’apparato malavitoso e purtroppo si perse l’aura romantica degli anni 50 e 60.

Trasformazione della malavita genovese

All’inizio degli anni 70 si assistette così ad un fenomeno di burocratizzazione della malavita. In alcuni ambienti per diventare malavitoso occorreva ormai iscriversi ad un concorso per titoli ed esami. Conoscere almeno una lingua fra spagnolo, albanese e napoletano, saper fare salsicce di carne umana e mangiare una confezione di peperoncino di Vibo Valentia senza prendere fuoco erano considerati titoli preferenziali dalla commissione esaminatrice.

Il leader del Partito Socialavido italiano

In questo nuovo contesto, il malavitoso classico, quello con la spider, la bambola vertiginosa accanto e la pistola sempre pronta, stava tramontando. Il malavitoso si trasformò lentamente in un impiegato:

  1. timbratura del cartellino alle ore 8.00;
  2. omicidio su commissione alle ore 9.00;
  3. ritiro tangenti dalle 10.00 alle 11.00;
  4. giro degli avvocati per le cause in corso;
  5. pausa pranzo;
  6. riunione di staff e successivo planning della settimana;
  7. Invio di notizie fresche alle agenzie di stampa e alle Forze dell’Ordine;
  8. Timbratura del cartellino.

Il colpo di grazia alla belle époque della malavita genovese fu sparato dal Partito Socialavido Italiano. In un’epica riunione del 1979, i maggiori rappresentanti di quel partito intimarono alla malavita genovese di sloggiare:

« qui c’è posto per una sola malavita. Se proprio volete restare potrete fare i lavori sporchi, perché la differenza fra noi e voi è che noi siamo delinquenti istruiti, voi invece usate ancora le pistole, le prostitute, che schifo…A noi basta una firma e guadagniamo come voi tutti messi insieme, uahr uahr uahr… »
(Il capo del partito socialavido italiano, un certo Pietro Gambadilegno.)

Dopo quella riunione vi fu l’ennesimo rivolgimento della malavita genovese: alcuni si riciclarono come politici, altri preferirono continuare la loro vita romantica diventando banditi in Messico o in Arizona, altri ancora aprirono dei ristorantini tipici che riscossero un certo successo fra la bassa borghesia e l'alto proletariato.