Il deserto dei Tartari è un romanzo ricco di azione e continui colpi di scena scritto dal giornalista Dino Buzzati nel 1939.
È universalmente considerato uno dei migliori esempi del filone fantastico: sarebbe infatti fantastico riuscire a finire questo libro, ma nessuno ci è mai riuscito.

Dino Buzzati dopo aver ultimato la stesura del deserto dei Tartari.
« Credetemi, è un libro noioso. Io me ne intendo di libri noiosi. »
(Stephen King su Il Deserto dei Tartari.)
« Il maggiore Drogo sentì che il duro carico dell’animo suo stava per rompere in pianto. Proprio allora dai fondi recessi uscì limpido e tremendo un nuovo pensiero: la morte. Gli parve che la fuga del tempo si fosse fermata, come per rotto incanto. La vita dunque si era risolta in una specie di scherzo, per un’orgogliosa scommessa tutto era stato perduto.
La porta della camera palpitava con uno scricchiolio leggero. Forse era un soffio di vento, un semplice risucchio d’aria di queste inquiete notti di primavera. Forse era invece lei che era entrata, con passo silenzioso, e adesso stava avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizzò un po’ il busto, si assestò con una mano il colletto dell’uniforme, diede ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata, per l’ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo vedesse, sorrise.” »
(Giovanni Drogo su bellezza poetica del morire solo come un cane dopo un'abbuffata di cozze)

Trama generale

 
Copertina del romanzo nella prima edizione edita nel 1939.
La freccia indica l'avanzata dei Tartari.

Il romanzo narra dell'arrivo del tenente Giovanni Drogo in un avamposto militare, la Fortezza Bastiani, situato nel bel mezzo del deserto più assoluto, e degli spassosi giochi che l'intera guarnigione si inventa per ingannare il tempo.
Il gioco più apprezzato dai soldati è quello di vivere in costante attesa che un fantomatico esercito nemico dalla scarsa igiene orale (i Tartari) possa sbucare fuori dal deserto e attaccare.
Inutile precisare che nel deserto non c'è anima viva [1] e che quindi i soldati aspettano per il cazzo.

Particolarmente denso di significato è il capitolo finale, durante il quale sembra che effettivamente i tanto agognati Tartari stiano per arrivare.
A questo punto però Drogo ha la brillante idea di ammalarsi [2] e viene spedito in città per curarsi, vanificando così il lavoro di una vita: in gergo tecnico una cosa simile è altrimenti detta "mandare tutto a puttane".
Vi sta venendo voglia di leggere questo capolavoro della letteratura italiana, eh?

Capitoli

 
La Fortezza Bastiani in un'elaborazione grafica al computer.

Capitolo I

Capitolo introduttivo che descrive minuziosamente l'attività escrementizia mattutina del giovane tenente Drogo (il cui cognome testimonia una certa predisposizione alla tossicodipendenza).

Capitolo II

Giovanni Drogo viene assegnato di stanza alla Fortezza Bastiani, che riesce a trovare con gran difficoltà in quanto essa è raggiungibile solo con l'autostrada Salerno-Reggio Calabria. Giunto a destinazione fa la conoscenza del maggiore Matti, del capitano Ortiz e di Jessica Fletcher. La prima impressione è quella di avere a che fare con degli autentici idioti, e come sappiamo bene la prima impressione è quella che conta.

Capitolo III

Giovanni compie il suo primo giro della Fortezza, e dopo pochi metri si perde. Gli altri soldati della guarnigione lo trovano dopo tre ore rannicchiato in un angolo che piange e dice di voler tornare a casa.

Capitolo IV

Giovanni Drogo viene iniziato ai passatempi della Fortezza: aspettare i Tartari, lavare il cane e fare scherzi telefonici a La prova del cuoco.

 
Un'accattivante copertina è importantissima per attirare i potenziali lettori.
Coma mai allora questo libro non se l'è filato nessuno?

Capitolo V

Drogo è di sentinella sui bastioni della Fortezza e medita di chiedere il trasferimento in un'altra zona, quando dei gemiti provenienti dal deserto interrompono la sua riflessione. Incuriosito, il tenente si attrezza di binocolo e vede che Jessica Fletcher e il maggiore Matti stanno copulando selvaggiamente nella sabbia. Che sporcaccioni. Drogo decide comunque di rimanere alla Fortezza per un altro po' di mesi.

Capitolo VI

Drogo trova una lattina vuota in mezzo al deserto. Comincia a prenderla a calci perché si annoia. Trascorrono così trentaquattro anni.

Capitolo VII

Accurata descrizione di un'unghia incarnita che affligge Giovanni Drogo, nel frattempo divenuto capitano.

Capitolo VIII

Drogo inizia un fitto rapporto epistolare con una certa Rosaria da Caltanissetta, per poi scoprire che Rosaria è un travestito. Per la delusione decide di dedicare tutta la vita che gli rimane a guardia della Fortezza e di non tornare mai più in città [3].

Capitolo IX

Viene avvistato un polverone nel deserto, segno inequivocabile che qualche anima viva c'è e si sta avvicinando alla Fortezza. Tutti i soldati festeggiano, ma Drogo viene colto da un'appendicite di dimensioni colossali.
Il suo superiore, da buon bastardo, decide di mandarlo in città.

Capitolo X

Mentre tutta la guarnigione si prepara per la battaglia contro i Tartari il fortunato Giovanni Drogo viene condotto in città su di un calesse trainato da facoceri.
Il libro si chiude con la sua auspicabile morte in uno squallido motel e con le sue ultime parole famose: "Che vita di merda".

Accoglienza

 
Giovanni Drogo mentre scruta fervidamente l'orizzonte alla ricerca dei Tartari.

Il romanzo fin dalla prima edizione si è rivelato un costante successo editoriale, tanto che la casa editrice Mondadori ha fiutato l'affare e ha recentemente tradotto l'opera di Buzzati in svariate lingue fra cui afgano, assiro-babilonese e terrone.
I suoi punti di forza in effetti sono molteplici:

  • I lettori di ogni generazione restano solitamente affascinati dal ritmo incalzante della narrazione e si sentono rappresentati nelle tematiche affrontate (l'attesa, la solitudine, la vecchiaia, i matrimoni gay, l'aumento vertiginoso del costo di frutta e verdura).
  • Il libro offre il vantaggio di trasformarsi in un comodo strumento per grattarsi in caso di prurito grazie alla copertina molto spigolosa.
  • Il libro è un efficace rimedio all'insonnia dato il suo alto tasso di periodi prolissi e soporiferi.

Poche persone sono a conoscenza del fatto che Dino Buzzati fu costretto dalla Democratica e Liberale Repubblica fascista a dare al romanzo il titolo che noi oggi conosciamo. Lo scrittore voleva infatti intitolarlo Mi sono dato la zappa sui piedi da solo e ora bestemmio in compagnia. A quei tempi però l'Italia era appena entrata in guerra e i fascisti temevano che un titolo simile potesse far venir voglia di disertare ai milioni di volontari che loro eran oriusciti a infinocchiare con la panzana della guerra-lampo, pertanto utilizzando i soliti metodi pacati persuasero Buzzati a optare per il titolo attuale.
Da "Il deserto dei Tartari" il regista Valerio Zurlino (fratello minore del ben più noto Mago Zurlì) ha tratto nel 1976 un omonimo film, con Giuliano Gemma nella parte del tenente Drogo e Jack Nicholson nella parte di un cammello psicopatico.

Controversie

 
Particolare del lussureggiante e variopinto deserto dei Tartari.

Il romanzo ha ottenuto subito la notorietà ma ha suscitato anche alcune polemiche, molte delle quali alimentate da gente invidiosa del genio e del talento narrativo di Buzzati.
Nel 1941 un certo Amadeus denunciò Buzzati affermando che lo scrittore aveva copiato la trama dal suo romanzo "1 contro 100". Buzzati negò sempre il plagio tuttavia fu costretto dalle autorità competenti a pagare 44 milioni di dollari di risarcimento ad Amadeus.
Lo stesso Buzzati entrò in forte contrapposizione con il noto intellettuale Federico Moccia, dopo che quest'ultimo affermò: "Il deserto dei Tartari è un libraccio senza il minimo contenuto artistici. È buono solo per bambini stupidi che attaccano lucchetti sui lampioni." La sdegnata reazione di Buzzati (che a sua volta definì Moccia come un "patetico scherzo della natura") diede vita a una diatriba di carattere nazionale.
I due arrivarono anche ad azzuffarsi durante una puntata di Porta a porta che aveva come argomento principale di discussione la rottura del menisco di Ronaldo.

Dino Buzzati è rimasto suo malgrado legato al "Deserto dei tartari", considerato non a torto il suo capolavoro: nelle opere successive (il romanzo Un fetore e la raccolta di racconti Sessanta frattaglie) il giornalista non riesce più a raggiungere livelli artistici simili e viene infatti preso a calci in culo bocciato senza pietà da critica e pubblico.

Note

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  1. ^ Si chiama pur sempre deserto per un motivo, no?
  2. ^ Del resto a forza di aspettare è diventato un vecchio artritico
  3. ^ Dove peraltro nessuno sente la sua mancanza perché tutti i suoi parenti sono nel frattempo morti