Dino Buzzati

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« Da quando ho iniziato a scrivere, Kafka è stato la mia croce. »
(Dino Buzzati su come non ammettere di aver commesso un plagio)
« Dipingere o scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o scriva, io perseguo il medesimo scopo: quello di raccontare delle storie. »
(Buzzati su perché disegna come un bambino di seconda elementare)

Dino Buzzati (Bosco Vecchio, 1906 - Deserto dei Tartari, 1972) è stato un giornalista, scrittore, pittore, montanaro, detrattore degli usi e costumi di questa scellerata società odierna, violinista, scacchista, arrotino, gran mangiatore di tartufi e critico d'arte italiano.
La sua opera narrativa è stata più volte associata a quella di Franz Kafka, mentre i suoi dipinti... beh... diciamo che Piero Manzoni non è stato il primo a realizzare le merde d'artista.

Biografia

Fin da bambino Dino Buzzati ha sempre avuto una vivace curiosità per le vicende del mondo.

Terzo di due figli, Dino Buzzati nacque il 16 ottobre 1906 a San Pellegrino, paese alle porte di Belluno noto in tutto il mondo per la sua sorgente che produce un'inconfondibile acqua dall'aroma salmastro.
Il padre, che morì di cancro allo stomaco nel 1918 dopo aver lavorato per venticinque anni come assaggiatore della San Pellegrino, era di famiglia bellunese, mentre la madre discendeva da una famiglia veneziana di alto lignaggio, i Venier. A lei lo scrittore rimase sempre legato, non per amore filiale ma a causa di una dimostrazione di nodi marinareschi finita in tragedia.
L’infanzia di Buzzati si divise fra Milano, dove il futuro scrittore affinò il suo insopportabile accento da "Siur Brambilla", e la villa di famiglia a Belluno, dove sviluppò l'amore per la letteratura, per la musica e per la montagna: l'audace Dino, da vero enfant prodige, riusciva a conciliare alla perfezione questa passioni, tant'è vero che durante un'escursione cadde e si fratturò tutte le ossa perché tentava di arrampicarsi suonando il violino e leggendo un libro.
A quattordici anni Buzzati si trasferì a Milano e si iscrisse al rinomato liceo Parini, dove imparò a inviare gli SMS e a scrivere "perché" con la K.
Successivamente, equivocando le volontà dei familiari (i quali si sarebbero accontentati che Dino scegliesse la brillante carriera di bidello), si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza: non solo, riuscì pure a laurearsi nel 1928[1] con una tesi intitolata "Non ho potuto studiare perché il colombre mi ha mangiato il quaderno".

Con un curriculum di così alto spessore Buzzati non faticò a farsi assumere come praticante al Corriere della Sera, dove si distinse per la sua prosa arguta e per la sua congenita cleptomania nei confronti degli articoli da ufficio[2].
Buzzati ridotto in maniche di camicia dopo la pubblicazione dell'ennesimo, fallimentare romanzo.
Nel 1933 e nel 1935 Buzzati pubblicò rispettivamente Barnabo delle montagne e Il segreto del Bosco Vecchio, confidando nel fatto che gli italiani sono un branco di caproni che leggono solo la lista della spesa: evidentemente le due opere di Buzzati erano troppo scarse anche per il popolo italiota, tanto che entrambe riscossero un sincero apprezzamento (tra l'altro espresso a rutti) solo da Ermanno Olmi.
La fama (e si parla di Fama con la A maiuscola, e non quella relativa ai frequenti arresti di Buzzati per atti osceni in luogo pubblico) arrivò tuttavia nel 1940, quando venne pubblicato Il deserto dei Tartari: lo scrittore capì di avercela finalmente fatta quando venne accusato di essere un debosciato e venne picchiato da un gruppo di militari. Negli anni successivi Buzzati continuò la sua attività di cronista e scrittore con gli stessi eccelsi risultati[3], pubblicando diverse raccolte di racconti brevi (detti anche "ci mancherebbe solo che fossero lunghi!" dai lettori) e confermando così sia la sua grande versatilità intellettuale, sia il fatto che le case editrici stampano i libri di cani e porci purché siano giornalisti del Corriere della Sera.
Nel 1958 si aggiudicò il prestigioso Premio Strega grazie alle proverbiali sessanta mazzette ai Sessanta racconti.
A sessant'anni suonati, Dino Buzzati decise di sposarsi con Almerina Taldeitali nel dicembre del 1966: appena sei anni dopo lo scrittore morì di analessi aggravata e tumore al pancreas, probabilmente causati dalle eccessive liti matrimoniali. Oggi Buzzati è ricordato come uno dei massimi esponenti della letteratura fantastica.
E nel caso ve lo stiate chiedendo... no, "letteratura fantastica" non significa libri porno.
Ehi, perché ve ne andate tutti?

Tematiche e stile

Anche al mare Buzzati non disdegnava di perdersi in dotte riflessioni interiori.
O forse era solo incazzato perché avrebbe preferito andare in montagna.

A torto ritenuto dalla critica letteraria come uno “scrittore di un solo libro” (quando invece tutti sanno che lo scrittore bellunese era analfabeta), Buzzati ha forse raggiunto il suo culmine narrativo con la sua vasta produzione di racconti brevi e di inserzioni compro/vendo nei giornali di gossip.
È innegabile tuttavia che egli nella sua intera attività narrativa sia rimasto fedele a un ristretto gruppo di temi, anche perché avrebbe fatto fatica a ricordare più di 20 o 30 vocaboli. Con uno stile fiabesco ed elegante Buzzati affrontò sentimenti e temi come l'angoscia, la magia, il mistero, la secchezza vaginale, l'Antani, la difficoltà nell'annodarsi la cravatta, la mancanza di parcheggi a Milano, la morte, lo scorrere del tempo e, ultimo ma non per importanza, il turismo del Molise.
Il grande protagonista dell'opera buzzatiana rimane comunque il destino, onnipotente e talora beffardo come un giornalista di Studio Aperto: l'autore aveva cioè un atteggiamento di “serena coglionaggine” nei confronti del destino, accettando con remissione tutti i pestaggi di merda di cane per la strada (tanti), le cazziatone dei capi (tante), i due di picche delle donne (poche, le donne; tanti, i due di picche) che gli capitarono nella vita, perché riteneva inutile ribellarsi a un copione già scritto.
Le opere di Buzzati hanno talvolta presentato elementi comuni al filone horror e al teatro dell'assurdo: nel senso che fanno paura da quanto sono scritte con i piedi ed è assurdo che siano state pubblicate.
Questo ha portato la critica ad accostare il nome dello scrittore bellunese ad autori come Edgar Allan Poe, Agatha Christie e Franz Kafka: tutti e tre morti e sepolti e, si può starne certi, rivoltatisi nella tomba dopo aver saputo del lusinghiero paragone.

Opere

Curiosità

  • Un personaggio di Buzzati o è in viaggio o è malato o muore alla fine del racconto. Questi temi nei suoi racconti si possono combinare in diversi modi sempre nuovi[citazione necessaria]:
  1. Tizio è malato. Si mette in viaggio per andare a curarsi ma crepa sul treno.
  2. Tizio è in treno. Fuori dal finestrino vede le devastazioni di un'epidemia e si tocca vigorosamente. Poi, all'improvviso, il treno deraglia e muoiono tutti.
  3. Tizio è in viaggio. Raggiunge la sua meta, ci passa diversi anni, si ammala e muore.
  4. Tizio muore. Il suo cadavere viene portato via in treno, ma tutti i passeggeri contraggono la malattia di cui è morto e muoiono.
  5. E poi... e poi niente, ho finito.
  • Ha ricevuto il Premio Minor Fantasia Anagrafica avendo utilizzato rispettivamente 22 e 45 volte i nomi Giovanni e Giuseppe nella sua carriera letteraria.

Voci correlate

Note

  1. ^ Forse sfruttando a suo vantaggio l'emicrania post-sbornia dei professori, che la sera prima avevano fatto bagordi.
  2. ^ Non era raro infatti vedere Buzzati uscire dalla redazione con tre o quattro spillatrici nascoste sotto la giacca.
  3. ^ Cioè facendo schifo incondizionatamente in ogni attività.


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Questa è una voce di squallidità, una di quelle un po' meno pallose della media.
È stata miracolata come tale il giorno 5 marzo 2017 col 66.7% di voti (su 6).
Naturalmente sono ben accetti insulti e vandalismi che peggiorino ulteriormente il non-lavoro svolto.

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