Coscienza
- Filosofo: “Cosa ti dice la tua coscienza?”
- Pinocchio: “Criii criii criiii”
La coscienza è una modalità cerebrale che molti, per comodità, disattivano. Può portare spiacevoli inconvenienti come compassione, pietà, pentimento... alla fine, chi te lo fa fare?
Wikipedia ci informa che non tutti gli antichi dividevano l'uomo in mente e corpo. Questo perché alcuni preferivano l'anca, altri le costole, altri ancora la parte lombare... i gusti sono gusti, si sa! Quindi la concezione moderna di coscienza è molto dissimile da quella che i nostri antenati avevano. All'epoca sfidare la morte in un duello era questione di necessità morale, la menzogna era proibita, prima che dagli altri, dalla propria coscienza; oggi fanno persino vedere gente come la Brambilla in televisione.
Una coscienziosa definizione
Con l'avvento della psicanalisi, si è cercato di dare al termine coscienza una definizione che andasse oltre alle credenze della società medio-borghese, ossia:
- Credo nella Sacra Verità che Santa Romana Chiesa tramanda da secoli e secoli
- Sono un bravo bambino rispettoso e faccio tutto quello che mi viene detto dal Signor Padre e dalla Signora Madre, vado a Messa tutte le domeniche e dico sempre la verità.
Si cominciò a concepire la coscienza come qualcosa di più profondo, più mutevole e vario del sesso di Platinette. Grazie a Freud, insomma, ora abbiamo una scusa per darci all'alcol. Un grande filosofo del calibro di John Searle[1] si espresse in questo modo:
- concetto che si può sintetizzare egregiamente così:
La coscienza, insomma, è quella vocina interna che ti dice: "Ehi, non uccidere tua madre per l'eredità, in fin dei conti è sempre tua madre[2], e poi credi che le manchi molto?", "Ehi, ma non ti fa sentire crudele prendere in giro quel tuo amico che soffre?", "Ehi, non ci provare con quella ragazza, sta vivendo un brutto periodo, ehi... ehi... ma dove cazzo vai?!". Un po' come quella della Marcuzzi che ti dice: "Ehi, vuoi ritrovare la tua naturale regolarità?".
Il trionfo della coscienza nell'arte
Potevano scrittori, poeti e quant'altro esimersi dal trattare un simile argomento? Nonostante si siano fiondati in gruppo su questo tema, con una tale concentrazione e prolifiquità da rendere inibiti quei pochi che ce l'avevano e pazzi tutti gli altri, viene ricordata in particolare un'opera: La coscienza di Zeno di... di... Sveto? Svevo, ecco. Si intende ovviamente che la si ricorda di nome, perché poi chi è che l'ha letta?[3]
La coscienza viene insomma vista come l'autoconsapevolezza, l'autocoscienza di sé.