Gian Galeazzo Visconti

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« Il mio idolo - mai visse politico Lombardo più accorto e savio di lui. »
(Gian Galeazzo Visconti su Silvio Berlusconi.)
Il duca Galeazzi, al tempo della foto già deceduto, esposto ai corvi sugli spalti dello stadio di San Siro dall'oppositore politico Mostarda da Forlì.

Gian Galeazzo Visconti, pseudonimo a giorni alterni di Giampiero Galeazzi, (Pavia, 16 ottobre 1351 - Melegnano, Heaven DiscoPub, 3 settembre 1402), è stato un politico italiano, primo Duca di Milano, nonché conte di Vertus, Pavia, signore di Milano, Verona, Crema, Cremona, Cremuccia, Bergamo, Bologna, Brescia, Belluno, Belldue, Belltre, Feltre, Novara, Como, Lodi, Milano, Vercelli, Alba, Tramonto, Asti, Pontremoli, Tortona, Alessandria (non d'Egitto), Valenza, Piacenza, Bobbio, Parma, Reggio Emilia, Arcore, Vicenza, Pisa, Perugia, Siena, Assisi e Basta.

Biografia

Infanzia

Gian Galeazzo Visconti nacque a Pavia il 16 ottobre 1351, ufficialmente figlio primogenito di Galeazzo II e Bianca di Savoia - fonti autorevoli dell'epoca[senza fonte] sospettano che la paternità sia da attribuirsi ad altri. Nel gennaio del 1356, ancora bambino, secondo le sue memorie, fu nominato cavaliere dall'imperatore Carlo IV da Lussemburgo durante la sua visita a Milano, dopo aver sconfitto in combattimento a mano bianca metà dell'entourage dell'imperatore durante la sua visita a Milano. Sempre seguendo le sue memorie, fin da giovane diede prova su prova di grande sagacia e di speciali attitudini militari - fra gli altri episodi degni di nota si riportano la distruzione di Sodoma e Gomorra all'età di sei anni e l'invenzione della bomba atomica a otto.

Ascesa al potere

Matrimonio

Alla fine novembre del 1360 sposò la principessa di Francia Emanuela de Valois-Mussida, a quel punto di anni ventisei in confronto ai suoi nove, dopo averla sedotta con successo e averne avuto già tre bastardi poi legittimati dal matrimonio - la produzione di prole illegittima avrebbe continuato ad essere una delle sue abitudini fin nella tarda età; come dote dal matrimonio riuscì ad ottenere dal padre di lei il rimborso completo delle spese per il matrimonio, cinquecentomila fiorini, oltre che il permesso di continuare ad insidiare le sue altre figlie e, ancora non contento, la contea di Vertus nello Champagne. Quest'ultima gli valse il nomignolo di "Conte di Virtù", diffuso dall'Emanuela in riferimento alla sua abilità a letto. La moglie, dopo avergli dato altri quattro figli dentro il vincolo matrimoniale, morì nel 1372 - vuole la leggenda che la coppia abbia finto la sua morte perché potesse diventare l'amante del duca.

Prima del secondo matrimonio

Alla misteriosa morte del padre nel 1378, Gian Galeazzo ne ereditò il titolo di signore a Pavia. Giocò un ruolo importante in questa parte della sua vita lo zio Bernabò, il quale, sebbene segretamente detestasse il nipote, vedeva in lui una perfetta pedina politica. Vi fu un tentativo da parte di Bernabò di far sposare a Gian Galeazzo la regina di Sicilia, Maria - egli sperava che, una volta incontrati i suoi cani, il nipote sarebbe stato sbranato e lui avrebbe potuto prendere possesso dei suoi titoli. Quando però il Gianga ritornò dall'incontro con la promessa sposa portando al guinzaglio un segugio baffuto e nerboruto, che chiamò Facino ed in seguito fece conte di Biandrate (ovunque essa sia), Bernabò volle immediatamente far saltare il matrimonio. Ricevuta una dispensa speciale dal papa Vigile Urbano sesto [1], Bernabò dovette accontentarsi di far sposare la figlia Caterina al di lei cugino Gian Galeazzo[2].

Colpo di stato

Dopo aver ricevuto l'ambitissimo titolo di Vicario Imperiale, in realtà solamente uno stratagemma imperiale per tenere buoni i vassalli, Gian Galeazzo mise gli occhi su Milano e sui feudi dello zio-suocero. In particolare, gli dava fastidio la noiosa abitudine della suocera, Regina della Scala, di incitare i cugnati (cognati-cugini) ad ucciderlo per poterne ereditare i ricchi domini. Questo aveva portato il futuro duca ad adottare ogni precauzione per evitare l'assassinio: restrinse il numero di domestici, fece assumere un assaggiatore che gli provasse tutte le vivande prima della consumazione e si faceva accompagnare ovunque da una scorta armata, persino a messa - fatto che ogni volta mandava in collera il suo parroco, l'arcivescovo Antonio da Saluzzo. L'unica cosa in cui rifiutò di trattenersi furono le numerose amanti, molte delle quali condivideva con la moglie e cugina - che spesso benediceva per la sua condivisone dei "gusti di famiglia"; ma a questo provvide la fortuna del Visconti. A questo periodo risale il famoso incidente durante il quale Gian Galeazzo invitò a copulare con lui e la moglie il sicario mandato ad assassinarlo dallo zio.

A maggio del 1385, con la scusa di una visita a parenti d'oltralpe - era in realtà diretto ad Arcore per motivi ignoti - colse l'occasione per passare da Milano ed invitare lo zio ad incontrarlo alla porta Vercellina. Il fesso Bernabò, che sottovalutava il nipote, si presentò all'appuntamento da solo, accompagnato solo dai figli Rodolfo e Ludovico, mentre Gian Galeazzo si presentò anche lui da solo, ma accompagnato da una scorta di cinquecento lancieri guidati da alcuni dei suoi fedelissimi, fra cui figurava un giovane Umberto Bossi. Avendo impapocchiato qualche cazzata sulla incapacità come signore di Bernabò, Gian Galeazzo entrò vittorioso a Milano, chiuse lo zio in una gabbia per uccelli e lo rinchiuse nel castello di Trezzo sull'Adda, nel quale poi lo fece uccidere con una zuppa di fagioli.

Padrone assoluto della Lombardia

« Io sono l'unto del signore, c'è qualcosa di divino nell'essere scelto dalla gente. »
(Gian Galeazzo Visconti nel discorso di elezione a signore di Milano, acclamato dalla sua scorta di ventimila picchieri.)

A questo punto, Gian Galeazzo aveva realizzato il sogno di ogni uomo nato a nord di Parma: aveva unito sotto la propria egida uno stato territoriale che andava da Asti a Bergamo. Speso l'equivalente del debito pubblico italiano in festeggiamenti per la morte dello zio, suscitando il disdegno delle dozzine di cugnati ancora in vita, Gian Galeazzo attese con pazienza che il Consiglio dei Novecento, una versione primitiva del Consiglio Regionale Lombardo, gli confermasse la signoria su Milano. Dopo averci pensato a lungo e bene, si decise di lasciare che la storia facesse il suo corso. Subito dopo l'investitura a signore di Milano, Gian Galeazzo fu anche, in un controverso episodio, chiamato a diventare leader sia della Lega Nord che del partito Forza Italia, ma con la sua nota furbizia il Visconti decise di creare un proprio partito, più radicale e reazionario - la Restaurazione Longobarda - che rapidamente assorbì tutti gli altri partiti monarchici al tempo in Lombardia.[3]

Più o meno a questo periodo risale l'inizio della costruzione del Duomo di Milano, che Gian Galeazzo voleva fosse un monumento internazionale e rispondesse ai canoni del Gotico europeo più che a quelli del Gotico italiano. Nei tempi della costruzione, sfortunatamente, il Duomo fu perfettamente Italiano - i lavori perdurano, e Dio sa quando finiranno.

Alleanze

Meeting del G8, di Giovannino de' Grassi (1391). Ritratti da sinistra a destra: Paolo Guinigi (lucchese), un ex membro del Governo dei Nove (senese), Pietro Gambacorti (pisano), Roberto Benigni (aretino); Gian Galeazzo Visconti e Cosimo de' Medici, sul podio, accompagnati dalla scorta del primo.

Dopo questi fatti, il signore di Milano subito strinse un'alleanza militare con tutti i vari stati e staterelli del centro-nord peninsulare: Firenze, Pisa, Lucca, Siena, Perugia, Arcore e Bologna. Con questo atto formò il G8 Italico, antenato di quello moderno e internazionale, ma nel primo meeting al vertice già si mostrarono le crepe in questo patto. I capi delle città toscane, meno Cosimo de' Medici - che dignitosamente si tenne fuori dalla lotta - passarono gran parte del tempo a picchiarsi fra di loro e, per non essere tagliati fuori, i diplomatici di Perugia e Bologna accesero un'animata discussione. Il Visconti, dopo qualche tentativo di tranquillizzare gli ospiti con spiritose barzellette, fu costretto alfine a scacciarli dalla propria villa. Pochi mesi dopo, Gian Galeazzo già aveva creato una nuova alleanza, con i da Carrara, - che nonostante il nome erano signori di Padova - gli Este, - che nonostante il nome erano signori di Ferrara - ed i Gonzaga, il cui feudo d'origine era tanto oscuro che la battuta non avrebbe funzionato. Il patto era difensivo, vale a dire che avrebbero combattuto con chiunque si fosse trovato contro uno dei loro, ma non si sarebbero supportati a vicenda in guerre intestine. Galeazzo utilizzò in seguito questa scusa per attaccare una signoria confinante, rivendicare che l'altro avesse attaccato per primo e chiamare a se tutta l'alleanza.

In merito ai rapporti diplomatici con la chiesa, quando il pontefice ebbe l'ardire di non accordargli il titolo di re, Gian Galeazzo si portò più vicino alle posizioni dell'antipapa e antipatico Clemente VII, lasciando che i cardinali detrattori dell'Urbano cospirassero contro di lui. Ma quando poi ebbe bisogno di fondi per finanziare l'onerosissimo matrimonio fra la figlia Valentina e il figlio del re di Francia, mandò un'elaborata lettera di scuse scritta e revisionata dal suo entourage al pontefice, col quale si riconciliò e che gli permise di mettere taglie sulla testa dei chierici più ricchi del suo reame. Ciò diede inizio ad un periodo nero per la chiesa lombarda, i cui esponenti più importanti venivano cacciati per sport da capitani di ventura e cacciatori di taglie professionisti speranzosi di ottenere parte della ricca ricompensa per la loro cattura.

Espansione e guerre

« La baguette se la ficchino in culo! »
(Facino Cane dopo la battaglia d'Alessandria.)

Dopo avere consolidato il potere in Lombardia, il piano di Gian Galeazzo - già in lizza e favorito per l'incarico di premier - si mise definitivamente in moto. Iniziò una lunga serie di guerre rapide e consecutive che lo portarono rapidamente sul tetto dell'Italia e fra le tette di ogni nobildonna si trovasse nella strada fra lui e il dominio assoluto del Nord Italia. Sconfitti gli Scaligeri, signori di Verona, nel 1387, Gian Galeazzo abbandonò ogni simulazione d'alleanza con i Carraresi, usando come pretesto gli insulti che Francesco da Carrara gli aveva lanciato quando l'aveva scoperto con la moglie. Nel 1388 il futuro duca mosse guerra a Padova e la sottomise, suscitando il timore in Firenze e Siena, ma l'orgoglio di Arcore e il supporto di Parigi - celebre la citazione di Carlo VI, "Finché si pestano fra di loro". Nel 1389 niente guerra (bingo).

Nel marzo del 1390 Gian Galeazzo mise in moto un poderoso esercito verso la Toscana, congiungendosi con gli alleati senesi e perugini per muovere guerra a Firenze e Bologna, le quali gli rinfacciarono ogni sgarro che avesse commesso in vita sua, primo fra tutti quello di nascere. I fiorentini misero al comando del proprio esercito il capitano di ventura inglesassone John Hawkwood, italianizzato in Giovanni Falcolegno Acuto, che accettò l'incarico soprattutto per dissapori personali con Gian Galeazzo, essendo genero del defunto Bernabò (col quale, curiosamente, non era imparentato). Stretta un'alleanza con i Savoia, senza perdersi d'animo il Visconti mandò Jacopo dal Verme, un altro dei suoi fedeli, ad assediare Bologna. Nella battaglia che ne seguì, nonostante la vittoria milanese su tutta la linea, la causa di Gian Galeazzo subì un duro colpo quando il generale fu ghermito da un nibbio al soldo dei fiorentini e in seguito divorato e scomunicato.

Dopo una scaramuccia con il duca di Baviera, conclusa con un'intensa disfida a birra e salsicce sul cui esito non vi sono fonti attendibili, il Visconti dovette battersi con il nemico più tosto che avrebbe mai affrontato - il conte d'Armagnac, Giovanni III, che ricevette dai più ricchi banchieri fiorentini un assegno a dodici zeri. Al grido rimasto celebre di "Scendo in campo!", Giovanni si batté a duello con Gian Galeazzo poco fuori Alessandria (non d'Egitto) nel 1391. La battaglia risultò in una completa sconfitta francese, e i mangialumache dovettero tornarsene oltre l'alpe. L'intero episodio suscitò tensione fra il conte di Savoia e il Visconti, dato che nonostante l'alleanza stabilita il Savoia aveva fatto passare i propri cugini francesi senza colpo ferire, ma lui si giustificò giurando che si fossero travestiti da messicani per attraversare il confine.

Il ducato

Gian Galeazzo stipulò a Genova la pace nel 1392. Nel trattato, che se piegato in una certa maniera faceva apparire la semplice scritta "Chi vince piglia tutto", il Visconti ottenne il dominio su gran parte dell'Italia Settentrionale, salvo per alcune repubbliche e signorie della taglia di San Marino che si rifiutò di conquistare più per pietà che per altro, per i domini pontifici, anche perché di lì a poco il parente Pietro Filargo sarebbe salito al soglio pontificio, quindi era come averla già in saccoccia, e soprattutto per quattro importanti stati sovrani: Firenze, Ferrara, Venezia e Savoia. Genova, che già era sotto la potestà del Visconti, passò poi per un periodo difficile nel quale il milanese l'avrebbe difesa dai presunti alleati francesi, che cominciavano ad essere più una spina nel fianco che altro.

Il già menzionato Filargo fu inviato nel 1395 a fare un'ambasciata all'imperatore, nella quale Gian Galeazzo faceva "gentil richiesta" della concessione ducale sulla Lombardia. Tale gentil richiesta era rafforzata dalla scorta, puramente per la protezione del Filargo, di oltre un milione di uomini (secondo alcune fonti, di ben due), i quali imperversarono durante il viaggio di andata e quello di ritorno per tutta la Germania - si dice anche che alcuni siano rimasti lì ed abbiano messo su famiglia. L'imperatore, sicuramente commosso dall'umiltà di tale domanda, "concesse" a Gian Galeazzo il titolo di duca di Milano, oltre che la conferma del titolo di vicario imperiale e l'aggiunta di varie piccole investiture per una serie di nobildonne e meno nobil-donne che il Visconti gli presentò.

Rara foto di Gian Galeazzo Visconti con alcuni nobili milanesi una sera del 1398.

Il 5 settembre 1395, dunque, Gian Galeazzo fu incoronato duca nella basilica di Sant'Ambrogio, evento cui seguì un lungo banchetto per gli ospiti e una serie di lunghe serate in tutti i night di Milano: si presentò infatti negli ultimi anni della sua vita la sfortunata abitudine di passare gran parte del proprio tempo libero a dilettarsi nella vita notturna milanese, il che aumentò la produzione di figli illegittimi arrivando a rivaleggiare la discendenza di Genghis Khan - si suppone che oggi in Lombardia una persona su tre sia discendente di Gian Galeazzo Visconti.

Durante questo periodo, il doge di Genova pensò bene di vendere la propria città al miglior offerente. Pensando si trattasse di una cartolina-scherzo, quasi nessuno si presentò - gli astanti erano tre: il re di Francia Carlo VI, Gian Galeazzo e tale Vittorio Mocenigo, che era entrato nell'asta facendosi passare per un patrizio Veneziano. La spuntò infine Carlo VI, per ventisei ducati - Vittorio era arrivato a venticinque e Gian Galeazzo si era tenuto del tutto fuori.

Nonostante il titolo di duca di Milano, Gian Galeazzo preferiva risiedere a Pavia, che stava trasformando nella propria capitale. A questo scopo vi edificò la Certosa di Pavia, la quale non riscosse lo stesso successo del duomo di Milano - indizio cruciale il fatto che non possieda una pagina sul nostro sito - ma che in compenso ospitò le salme di tutti i Visconti che succedettero a Gian Galeazzo.

E a proposito di salme.

Ultime imprese e morte

Il grande disegno monarchico di Gian Galeazzo Visconti, vale a dire un enorme pezzo di carta su cui aveva disegnato una corona con i pastelli a cera, si intonava bene con il suo piano per l'instaurazione della monarchia nazionale in Italia. Le sue campagne portarono alla presa di gran parte del Veneto, dell'Emilia-Romagna, dell'Umbria e della Toscana. L'unico stato che tenne testa alle ambizioni del Visconti, all'infuori dell'unica alleata Ferrara, fu la Repubblica Fiorentina, sostenuta da Francia ed Aragona oltre che dai debiti di mezza Europa che strategicamente sceglieva di chiedere indietro quando le cose si facevano difficili.

La battaglia culminante della carriera di Gian Galeazzo fu a Casalecchio, quando sconfisse definitivamente i bolognesi e ne sottomise la città una volta e per tutte, di nuovo, temporaneamente. Mentre si dirigeva a sud per fare da supervisore all'assedio di Firenze, non poté resistere all'invito contraffatto di una nobildonna sua amante all'Heaven DiscoPub di Melegnano, nel quale fu avvelenato con una pillola nello spritz a mezzanotte e mezza del 3 settembre 1402.

Personalità, eredità culturale e discendenza

Della personalità di Gian Galeazzo Visconti fuori dalla camera da letto non si sa molto e non si hanno fonti certe. Gli si attribuisce un machiavellico carattere, aumentato dalla propaganda Fiorentina che lo voleva personaggio mefistofelico. Tuttavia, secondo le sue stesse memorie, Gian Galeazzo si vedeva come uomo pio e approcciabile, "il re ideale per un popolo diviso politicamente, se ve ne fosse uno disponibile. Non so, l'Italia."

Il sogno regale di Gian Galeazzo non ha lasciato tracce tangibili quanto il suo mecenatismo, visti i monumenti che edificò e gli artisti che invitò a corte. Figurava fra di essi Giovannino de' Grassi, primo architetto capo del duomo - fu colui che disegnò i capitelli, di qui la leggenda che alcune delle statuette di diavoli abbiano le sembianze delle sue ex. Altri ospiti noti del Gianga alla corte Viscontea sono Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Gabriele d'Annunzio, Umberto Bossi e il fratellastro Pier Silvio Berlusconi.

Fra i discendenti certi di Gian Galeazzo Visconti, i più importanti sono:

- Valentina Visconti, di primo letto, che come s'è detto andò sposa al figlio del re di Francia e diede i natali a prodi come Carlo d'Orleans, che passò gran parte della tarda guerra dei cent'anni in una prigione inglese a comporre poesie dopo essere stato catturato il primo giorni di battaglia;

- Giovanni Maria Visconti, di secondo letto, che fu duca di Milano dopo Gian Galeazzo. Detto anche "Il Testa di Cazzo", si curò di uccidere la madre non appena fu abbastanza grande, far sbranare i propri servitori, compresi quelli che gli erano utili, dai suoi mastini, perdere ogni guerra in cui si imbarcò e soprattutto di essere misteriosamente assassinato da un gruppo di congiurati armati di pugnale dopo soli dieci anni di regno (se l'è anche cercata);

- Filippo Maria Visconti, che fu l'ultimo dei Visconti e salì al potere subito dopo l'assassinio del fratello. Basso e zoppo, oltre che probabilmente incapace, nonostante i numerosi tentativi riuscì a produrre solamente una figlia, peraltro illegittima, dall'amante Agnese del Maino. Questa figlia, Bianca Maria, andò poi sposa a Francesco Sforza, il quale sarebbe diventato duca dopo la morte di Filippo;

- Gabriele Maria Visconti, detto "Chissene", che probabilmente a un certo punto morì, ma è possibile che sia ancora in giro e semplicemente nessuno se n'è accorto;

- Gian Galeazzo Visconti 2, al cinema quest'estate.

Note

  1. ^ Il quale a sua volta, com'era costume, ricevette una mazzetta altrettanto speciale
  2. ^ Anch'esso costume diffusissimo dell'epoca
  3. ^ Nonostante ciò, rimase celebre l'episodio in cui nel 1387 Gian Galeazzo si presentò ad una riunione del partito Forza Italia, litigò con Silvio Berlusconi e fu obbligato a uscire dopo aver ucciso ben tre candidati senatori a fil di spada.