Giorgio Orsolano

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« No, io non credo sia un serial killer. Al massimo ne avrà fatte a pezzi due o tre. »
(Il miglior amico di Giorgio Orsolano)
« Sembrava una così brava persona »
(La vicina di casa)

Giorgio Orsolano (San Giorgio Canavese, 1803 - San Giorgio Canavese, 1835), detto la Jena di San Giorgio, Mangiacristiani e anche il Killer delle salsicce, è stato il primo serial killer italiano dichiaratamente non vegetariano. Era così benvoluto dai suoi compaesani che gli hanno dedicato il nome del paese.

Biografia

Giorgio non era un tipo socievole.

Nato da un uomo e una donna normali, quando sua mamma diventa vedova lo manda a stare da suo fratello prete e incomincia a dare segni di squilibrio. A scuola cerca di accoppiarsi con un banco e, quando questo si rifiuta, lo fa a pezzi con una scure. Nonostante un QI di 194 difatti non ha nessuna voglia di studiare, tanto che ripeterà la quinta elementare quattro volte, finché, a vent'anni, lo zio non lo rimanda indietro da sua madre accompagnandolo lungo la via con una sequela incredibile di bestemmie.

Non facendo più la pipì a letto dall'età di 16 anni, avendo paura del fuoco dopo che una volta gli è scoppiato un petardo che si è infilato nell'ano e soprattutto avendo smesso di seviziare animali per passare ai banchi di scuola nessuno pensa che possa diventare un serial killer.

Non avendo neppure nessuna voglia di lavorare, nonostante tentino a più riprese di fargli ripulire le stalle con le mani, passa il tempo in osteria e in chiesa, dove ruba delle candele e delle riviste pornografiche dalla sacrestia. Un sabato sera, dopo aver tentato ubriaco di sodomizzare la sedia di un altro, scoppia una rissa furibonda e Giorgio perde l'occhio destro, forse asportatogli con un bicchiere. Sfigurato irrimediabilmente (nel 1823 non esistono ancora i trapianti di occhi destri) incomincia a vagare solitario per i boschi e si fa crescere un ciuffo di capelli che gli copre metà faccia. I suoi compaesani cominciano così a prenderlo per il culo e a soprannominarlo Polifemo, ma essendo un nome troppo lungo lo chiamano poi solo Emo.

In galera

Due vittime della Jena.

Un giorno incrocia per caso una ragazza di sedici anni, e la invita a casa sua con la forza. Lei dice di no, allora lui la trascina per i piedi, le fa sbattere ripetutamente la testa sui gradini della scala e la tiene segregata in cantina per sei giorni, tentando ripetutamente di abusare di lei. Ma essendo abituato a brutalizzare solo oggetti di legno, non gli riesce. Cosicché lei lo manda affanculo e se ne va.

Denunciato dalla ragazza e dal parroco per la storia delle candele e dei porno, viene processato e condannato a otto anni di lavori forzati. Ma non riuscendo a farlo lavorare nemmeno con un fucile puntato alla schiena, viene mandato infine in galera, dove pare strangoli il compagno di cella per accoppiarsi col suo pagliericcio. Dopo sette anni e undici mesi, viene rilasciato per buona condotta. Uscendo dal carcere di Ivrea, si dice abbia chiesto di potersi portare via lo sgabello.

Il matrimonio e l'orribile serie di omicidi

L'Orsolano prepara le salsicce.

Ma nonostante tutto Giorgio è un uomo abbastanza normale. Conosce una giovane vedova di ventiquattro anni. Rivedendo in lei sua madre, la prende a botte, la scopa e ci fa una figlia. Da allora si metterà addirittura a lavorare, e la gente incomincia a chiedersi se non stia diventando pazzo. Quando l'anno dopo si sposano, ormai non ci sono più dubbi sulla sua infermità mentale. Insofferente a qualsiasi tipo di dipendenza, abbandona il lavoro, il feticismo mobiliare e la droga e si mette in proprio, aprendo una bottega di "ritagliatore e salsicciaio", ma in particolare ritagliatore.

Qui comincia la storia efferata dei suoi crimini: tutto quindi ha inizio quando, per la prima volta nella sua vita, lavora - e ha una vita sessuale normale.

Il 24 giugno 1834 rapisce una bambina di nove anni, la porta nella bottega, mette il cartello "CHIUSO" sulla porta, la stupra, la decapita con un'ascia, infila i resti nel cestino della merenda e li va a gettare nel torrente, forse nella speranza che li trovi qualche lupa. Le voci diranno poi che prima l'ha decapitata e poi stuprata, ma sono leggende.

Il 14 febbraio 1835 rapisce una bambina di dieci anni, la porta nella bottega, mette il cartello "SONO AL BAR" sulla porta, la stupra, la fa a pezzi con una mannaia, infila i pezzi nelle tasche del cappotto e li va a sparpagliare in giro per la campagna, forse per dare da mangiare agli uccellini. La gente dirà poi che prima l'ha fatta a pezzi e poi stuprata, pezzo per pezzo, ma soprattutto che ci ha fatto salsicce, servite poi come cena agli amici. Sono fantasie popolari, ma nessuno sapeva spiegare come potesse avere tutta quella carne quando in paese, allora, si mangiavano soltanto erba e fagioli. E soprattutto nessuno sapeva spiegarsi come quel dito fosse finito nella salsiccia.

A questo punto qualcuno si insospettisce, e si incominciano a cercare la ragazzine scomparse. Ma Giorgio tranquillizza tutti dicendo che probabilmente se le sono sbranate i lupi, e invita tutti a casa sua. Non trovando i corpi da nessuna parte, vanno tutti a mangiare da lui.

La merenda del Mangiacristiani.

Il 3 marzo 1835, martedì grasso, al mercato vede una ragazza di quattordici anni che tenta inutilmente di vendere le sue uova in compagnia della zia. Impietosito, la porta a casa togliendola dalla strada e promettendole una vita migliore, la fa entrare nella bottega, mette il cartello "CHIUSO DALL'UFFICIO D'IGIENE" sulla porta, la stupra, la massacra con una sega circolare, infila i pezzi e i trucioli in un sacco di juta e li va a sotterrare vicino al torrente, forse per compattare l'argine. Poi lava il sacco con la candeggina e torna a casa. Le dicerie racconteranno poi che prima l'ha segata e poi si è tirato una sega sulle frattaglie, che con il sangue ci ha fatto del salame piccante calabrese e con la segatura dei wurstel di pollo. Parrebbero tutte invenzioni, ma qualcuno giurò che quella volta il cotechino sapeva un po' di piedi.

Dopo la scomparsa della terza ragazza, i sospetti si fanno molto forti: la zia giura di aver visto la nipote allontanarsi con l'Orsolano, e che questo le stava toccando il culo. Quando si presenta alla bottega insieme ai genitori della ragazza per fargli delle domande, l'Orsolano gentilmente gli risponde:

« Io sono solo un macellaio, andatevene fuori dai coglioni, rotti in culo! »

Quando i genitori della ragazza fanno per allontanarsi, aggiunge poi una frase indecifrabile:

« Comunque le vostre uova fanno schifo! »

Ma quando questi si rivolgono ai carabinieri, i gendarmi scoprono infine tutti i suoi precedenti, soprattutto quello della sedia, e forti di un mandato della ASL di Chivasso irrompono a casa sua e la perquisiscono. Giorgio non sa spiegare la presenza nella sua bottega degli zoccoli della ragazza, delle spalline imbottite del suo vestito, di un sacco di juta scolorito, delle macchie di sangue sul soffitto, di un paio di mani trovate nella pentola e soprattutto delle uova trovate nella ciotola del cane.

Le indagini dei carabinieri e il processo

La terza vittima si è offesa perché a Giorgio non piacevano le sue uova.

Messo alle strette, non appena i carabinieri se ne vanno cercando di capire se il colpevole può essere lui, tenta di fuggire dalla finestra ma viene inseguito dalla folla che stava fuori e che lo vuole linciare e insaccare. Allora i carabinieri capiscono che potrebbe essere davvero lui e lo arrestano quando già qualcuno gli ha infilato una gamba nel tritacarne.

Condotto al Castello di Ivrea con i piombini alle mani e ai piedi, viene qui sottoposto a un estenuante interrogatorio appeso a due ganci da macellaio. Ma l'Orsolano si difende abilmente e continua a negare:

« Non è vero! Non le ho stuprate, fatte a pezzi, bollite e mangiate con i peperoni e un po' di cipolla quelle tre sgualdrine del cazzo! »
« Dunque neghi di essere stato tu? »
« Io non sono io! »

Allora, visto che non confessa, il brigadiere gli fa bere otto bottiglie di acqua minerale frizzante, che l'Orsolano non tiene, e gli assicura che se confessa e si dichiara malato di mente non gli taglieranno la testa. Ormai sbronzo, Giorgio ammette infine i suoi crimini efferati. Poi chiede invece se non ci vorrebbe una perizia psichiatrica, per stabilire che è davvero pazzo.

« Ormai non è più necessaria »
(gli risponde il brigadiere)

Dopo un processo durato una settimana, nonostante tenti di ottenere la prescrizione perché l'ultimo delitto è ormai successo dieci giorni prima e nonostante chieda il legittimo impedimento perché eletto nel frattempo priore del carnevale, l'Orsolano viene quindi condannato a morte.

Alla lettura della sentenza dice soltanto:

« Erano un po' stoppacciose »

La sentenza e l'esecuzione

I compaesani della Jena cenano con lui.

Quattro giorni dopo, il 17 marzo, viene impiccato all'albero della cuccagna di San Giorgio (che ricordiamo allora non si chiamava ancora così) insieme ai salami e alle salsicce, visto che nel frattempo è iniziato il carnevale. Si dice che la folla esultante ai piedi del patibolo si accalcasse e spintonasse per arrampicarsi su e staccargli qualche pezzo da mangiare per cena.

L'Università di Torino manda allora un paio di assistenti di chirurgia a dissezionare il cadavere per prelevare la testa e i giganteschi testicoli, tipici dei salsicciai assassini secondo la giovane scienza della fisiognomica, e ottimi per la zuppa. Il resto lo lascia ai suoi paesani. Il cranio finirà alla facoltà di anatomia legale, dove in seguito Lombroso, pur di dimostrare la validità delle sue tesi sull'atavismo criminale, di nascosto vi apporterà con uno scalpello la celebre fossetta occipitale mediana.

Chi volesse comunque ammirare il calco della testa di Giorgio Orsolano può recarsi a Torino, al Museo di Antropologia criminale, e chiedere di Beppe.