Suicidio

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« Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinova la paura! Tant'è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte. Io non so ben ridir com'i' v'intrai, tant'era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. Dante Alighieri, Inferno I, vv. 1-12 » L'Inferno, la prima delle tre cantiche, si apre con un Canto introduttivo (che serve da proemio all'intera opera), nel quale il poeta Dante Alighieri racconta in prima persona del suo smarrimento spirituale e dell’incontro con Virgilio, che lo condurrà poi ad intraprendere il viaggio ultraterreno raccontato magistralmente nelle tre cantiche. Dante si ritrae, infatti, "in una selva oscura", allegoria del peccato, nella quale era giunto avendo smarrito la "retta via", la via della virtù, e giunto alla fine della valle (“valle” come “selva oscura” sono allegorie entrambe dell’abisso della perdizione morale ed intellettuale) scorge un colle illuminato dal sole "vestito già dei raggi del pianeta/che mena dritto altrui per ogne calle".

Dante descrive con una similitudine il suo stato d’animo, come quello di chi salvatosi dai flutti giunge a riva e si volge indietro a scrutare le acque pericolose alle quali è appena scampato, così l’animo del poeta si volge a “rimirar lo passo” che non può essere superato da persona vivente. Ma ecco che, dopo essersi riposato e poi incamminato lungo la spiaggia deserta verso il colle, mentre si appresta ad affrontare la salita "quasi al cominciar de l'erta" gli si parano davanti, in sequenza, una lince (lonza) dal pelo maculato, un leone ed una lupa. Le tre fiere sono il simbolo, rispettivamente, di lussuria, superbia e cupidigia. La lince gli sbarra il cammino, impedendogli di avanzare e quasi forzandolo a tornare sui suoi passi "‘mpediva tanto il mio cammino/ch'i' fui per ritornar più volte vòlto", il leone pareva andargli incontro fiero, affamato e ruggente, mentre la lupa, ultima delle tre fiere a pararglisi davanti, incede verso il poeta, respingendolo indietro, verso l’abisso dal quale Dante sta tentando di allontanarsi. Ed ecco che, mentre Dante rovina indietro in “basso loco”, gli appare alla vista “chi per lungo silenzio parea fioco”, qualcuno la cui immagine era resa più flebile dal lungo silenzio, cioè morto da lunghissimo tempo. Dante invoca aiuto "«Miserere di me», gridai a lui" pur non riuscendo a distinguere se ciò che scorge è una persona o un’ombra.

L’anima di Virgilio risponde "non omo, omo già fui" e si presenta dichiarando le sue origini Mantovane, il tempo in cui visse e le sue opere, si che Dante lo riconosce. Trovandosi di fronte a cotanto personaggio Dante, con una punta di vergogna, dichiarandosi suo discepolo e dichiarando l’opera sua figlia dell’opera Virgiliana chiede aiuto per sfuggire alla lupa "la bestia per cu’ io mi volsi". Importante sottolineare che l’atteggiamento di Dante nei confronti di Virgilio non è di deferenza ma di ammirazione vera, Dante ha esplorato e conosce a menadito l’opera Virgiliana e la stessa Divina Commedia vi si ispira e ne attinge direttamente. Virgilio redarguisce Dante riguardo alla strada che ha imboccato, che non è quella giusta "a te convien tenere altro viaggio", si sofferma sulla natura mortifera e malvagia della "bestia" che gli sbarra il cammino e accenna una profezia sibillina circa il "Veltro" che ricaccerà la lupa nell'inferno dal quale proviene. Profezia che trova riscontro in altre profezie complementari molto più avanti nell'opera enunciate da Beatrice (Purgatorio XXXIII 34-45) e da San Pietro (Paradiso XXVII 55-63), mentre sul Veltro, indubbiamente figura della provvidenza, innumerevoli teorie sono state proposte per identificarlo con un personaggio storico definito (Cristo, Cangrande, Dante stesso, ecc.).

Infine Virgilio comunica al poeta smarrito che per il suo bene ("per lo tuo me’ " – dove “me’” sta per meglio) Dante dovrà seguirlo e Virgilio gli farà da guida “per loco eterno”, prima nell’inferno "ove udirai le disperate strida", poi in purgatorio "e vederai color che son contenti/nel foco, perché speran di venire/quando che sia alle beate genti", ma non in paradiso. Essendo un’anima del limbo a Virgilio non è permesso di ascendere fino a quelle altezze, un’anima più pura lo condurrà nell'ultima parte del viaggio "anima fia a ciò più di me degna:/con lei ti lascerò nel mio partire" e quell’anima pura è, ovviamente, Beatrice, sostituita da San Bernardo al termine del viaggio, in paradiso (Paradiso XXXI 105). Il gioco è fatto, Dante in nome di Dio e per salvarsi dalla misera condizione morale e intellettuale nella quale si trova "a ciò ch'io fugga questo male e peggio" prega Virgilio di condurlo nei luoghi ultraterreni che gli ha appena descritto "che tu mi meni là dov' or dicesti". L’ultimo verso non ha bisogno di commenti, è chiarissimo, e ci spalanca le porte dell’opera intera: Allor si mosse, e io li tenni dietro.

Inferno[modifica | modifica wikitesto] Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Inferno (Divina Commedia).

Sandro Botticelli, La voragine infernale - Disegni per la Divina Commedia Il vero e proprio viaggio attraverso l'Inferno ha inizio nel Canto III (nel precedente Dante esprime i suoi dubbi e le sue paure a Virgilio riguardo al viaggio che stanno per compiere e l'azione si svolge sulla Terra presso la selva). Dante e Virgilio si trovano sotto la città di Gerusalemme, davanti alla grande porta su cui sono impressi i versi celeberrimi che aprono questo canto. L'ultimo di quei versi: "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate", incute nuovi dubbi e nuovo timore in Dante, ma il suo maestro e guida gli sorride e lo prende per mano perché ormai bisogna andare avanti. In questo luogo senza tempo e senza luce, l'Antinferno, stazionano per sempre gli ignavi, ossia quelli che in vita non vollero prendere posizioni, ed ora sono ritenuti indegni sia di premio (Paradiso) che di castigo (Inferno) perché il primo sarebbe macchiato della loro presenza e nel secondo sarebbero un motivo di possibile vanto. La loro punizione consiste nel correre nudi dietro ad una bandiera senza stemma ed essere perennemente punti da vespe e da mosconi; poco più in là, sulla riva dell'Acheronte (il primo fiume infernale), stanno provvisoriamente le anime che devono raggiungere l'altra riva, in attesa che Caronte, il primo guardiano infernale, le spinga nella sua barca e le traghetti di là.


Giovanni Stradano (1523-1605): Inferno, mappa L'inferno dantesco è immaginato come una serie di anelli numerati, sempre più stretti, che si succedono in sequenza e formano un tronco di cono rovesciato; l'estremità più stretta si trova in corrispondenza del centro della Terra ed è interamente occupata da Lucifero che, movendo le sue enormi ali, produce un vento gelido: è il ghiaccio la massima pena. In questo Inferno, ad ogni peccato corrisponde un cerchio, ed ogni cerchio successivo è più profondo del precedente e più vicino a Lucifero; più grave è il peccato, maggiore sarà il numero del cerchio.

Al di là dell'Acheronte si trova il primo cerchio, il Limbo. Qui stanno le anime dei puri che non ricevettero il battesimo e che però vissero nel bene; vi si trovano anche — in un luogo a parte dominato da un "nobile castello" — gli antichi "spiriti magni" che compirono grandi opere a vantaggio del genere umano (Virgilio stesso è tra loro). Oltre il Limbo, Dante e il suo maestro entrano nell'Inferno vero e proprio. All'ingresso sta Minosse, il secondo guardiano infernale che, da giudice giusto quale fu, indica in quale cerchio infernale ogni anima dovrà scontare la sua pena, avvolgendo la coda tante volte quanti cerchi l'anima dovrà scendere. Superato Minosse, i due si ritrovano nel secondo cerchio, dove sono puniti i lussuriosi: tra essi le anime di Semiramide, Cleopatra, Elena di Troia ed Achille. Celebri i versi del quinto canto su Paolo e Francesca[12] che raccontano la loro storia e passione amorosa. Ai lussuriosi, travolti dal vento, succedono nel terzo cerchio i golosi; questi sono immersi in un fango puzzolente, sotto una pioggia senza tregua, e vengono morsi e graffiati da Cerbero, terzo guardiano infernale; dopo di loro, nel quarto cerchio, presidiato da Plutone, stanno gli avari e i prodighi, divisi in due schiere destinate a scontrarsi per l'eternità mentre fanno rotolare massi di pietra lungo la circonferenza del cerchio.

Dante e Virgilio giungono poi al quinto cerchio, davanti allo Stige (il secondo fiume infernale), nelle fangose acque del quale sono puniti iracondi e accidiosi, e qui i protagonisti hanno un alterco con Filippo Argenti; i due Poeti vengono traghettati sulla riva opposta dalla barca di Flegias, quinto guardiano infernale. Lì, sull'altra sponda, sorge la Città di Dite, in cui sono puniti i peccatori consapevoli del loro peccare. Davanti alla porta chiusa della città, i due sono bloccati dai demoni e dalle Erinni; entreranno solo grazie all'intervento dell'Arcangelo Michele, e vedranno come sono puniti coloro "che l'anima col corpo morta fanno", cioè gli epicurei e gli eretici in generale: essi si trovano all'interno di grandi sarcofaghi infuocati; tra gli eretici incontrano il ghibellino Farinata degli Uberti, uno dei più famosi personaggi dell'Inferno dantesco. Assieme a lui è presente Cavalcante dei Cavalcanti, padre di Guido, amico di Dante.

Oltre la città, il poeta e la sua guida scendono verso il settimo cerchio lungo uno scosceso burrone (burrato), alla fine del quale si trova il terzo fiume infernale, il Flegetonte, un fiume di sangue bollente presidiato dai Centauri. Questo fiume costituisce il primo dei tre gironi in cui è diviso il VII cerchio. Vi sono puniti i violenti contro il prossimo; tra essi il Minotauro, ucciso da Teseo con l'aiuto di Arianna. Oltre il fiume, sull'altra sponda è il secondo girone, (che Dante e Virgilio raggiungono grazie all'aiuto del centauro Nesso); qui stanno i violenti contro sé stessi, i suicidi, trasformati in arbusti secchi, feriti e straziati per l'eternità dalle Arpie (tra loro troviamo Pier della Vigna); nel secondo girone stanno anche gli scialacquatori, inseguiti e sbranati da cagne. L'ultimo girone, il terzo, è una landa infuocata, ed ospita i violenti contro Dio nella Parola, nella Natura e nell'Arte, ossia i bestemmiatori (Capaneo), i sodomiti (tra cui Brunetto Latini, maestro di Dante, quando il poeta era giovane) e gli usurai. A quest'ultimo girone Dante dedicherà molti versi dal Canto XIV al Canto XVII.

Alla fine del VII cerchio, Dante e Virgilio scendono per un burrone (ripa discoscesa) in groppa a Gerione, il mostro infernale dal volto umano, zampe leonine, corpo di serpente e coda di scorpione. Così raggiungono l'VIII cerchio chiamato Malebolge, dove sono puniti i traditori in chi non si fida. L'ottavo cerchio è diviso in dieci bolge; ogni bolgia è un fossato a forma di cerchio. I cerchi sono concentrici, scavati nella roccia e digradanti verso il basso, alla base di essi si apre il Pozzo dei Giganti. Nelle bolge sono puniti, nell'ordine, ruffiani e seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti — tra cui Ulisse e Diomede, i seminatori di discordia (Maometto) e i falsari. Infine i due accedono al IX ed ultimo cerchio, dove sono puniti i traditori in chi si fida.

Questo cerchio è diviso in quattro zone, coperte dalle acque gelate di Cocito. Nella prima zona, chiamata Caina (dal nome di Caino, che uccise il fratello Abele), sono puniti i traditori dei parenti; nella seconda, Antenora (dal nome Antenore, il troiano che consegnò il Palladio ai nemici greci), stanno i peccatori come lui, traditori della patria; nella terza, Tolomea (dal nome del re Tolomeo XIII, che al tempo di Cesare fece uccidere il suo ospite Pompeo), si trovano i traditori degli ospiti; infine nella quarta, Giudecca (dal nome di Giuda Iscariota, che tradì Gesù), sono puniti i traditori dei benefattori. Nell'Antenora Dante incontra il Conte Ugolino della Gherardesca che narra della sua segregazione nella Torre della Muda con i figli e la loro morte per fame, segregazione e morte volute dall'Arcivescovo Ruggieri. Ugolino appare nell'Inferno sia come un dannato che come un demone vendicatore, che rode per l'eternità il capo del suo aguzzino. Nell'ultima zona si trovano i tre grandi traditori: Cassio, Bruto (che complottarono contro Cesare) e Giuda Iscariota; la loro pena consiste nell'essere maciullati dalle tre bocche di Lucifero, che qui ha la sua dimora. Giuda si trova nella bocca centrale, a suggello della maggiore gravità del proprio tradimento.

Scendendo lungo il suo corpo peloso, Dante e Virgilio raggiungono una grotta e scendono alcune scale. Dante è stupito: non vede più la schiena di Lucifero e Virgilio gli spiega che ora si trovano nell'Emisfero Australe. Attraversano quindi la natural burella, il canale che li condurrà alla spiaggia del Purgatorio, alla base della quale usciranno poco dopo "a riveder le stelle".

Purgatorio[modifica | modifica wikitesto] Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Purgatorio (Divina Commedia).

Il primo canto del Purgatorio illustrato da Gustave Doré Usciti dall'Inferno attraverso la natural burella, Dante e Virgilio si ritrovano nell'emisfero australe terrestre (che si credeva interamente ricoperto d'acqua), dove, in mezzo al mare, s'innalza la montagna del Purgatorio, creata con la terra che avanzò dallo scavo del baratro dell'Inferno, quando Lucifero fu buttato fuori dal Paradiso dopo la rivolta contro Dio. Usciti dal cunicolo, i due giungono su una spiaggia, dove incontrano Catone Uticense, che svolge il compito di guardiano del Purgatorio. Dovendo cominciare a salire la ripida montagna, che si dimostra impossibile da scalare, tanto è ripida, Dante chiede ad alcune anime quale sia il varco più vicino; sono questi la prima schiera dei negligenti, i morti scomunicati, che hanno dimora nell'antipurgatorio. Nella I schiera di negligenti dell'antipurgatorio Dante incontra Manfredi di Sicilia. Assieme a coloro che tardarono a pentirsi per pigrizia, ai morti per violenza e ai principi negligenti, infatti, essi attendono il tempo di purificazione necessario a permettere loro di accedere al Purgatorio vero e proprio. All'ingresso della valletta dove si trovano i principi negligenti, Dante, su indicazione di Virgilio, chiede indicazioni ad un'anima che si rivela essere una sorta di guardiano della valletta, il concittadino di Virgilio Sordello, che sarà la guida dei due fino alla porta del Purgatorio.

Giunti alla fine dell'Antipurgatorio, superata una valletta fiorita, i due varcano la porta del Purgatorio; questa è custodita da un angelo recante in mano una spada fiammeggiante, che sembra avere vita propria, e preceduto da tre gradini, il primo di marmo bianco, il secondo di una pietra scura e il terzo in porfido rosso. L'angelo, seduto sulla soglia di diamante e appoggiando i piedi sul gradino rosso, incide sette "P" sulla fronte di Dante, poi apre loro la porta tramite due chiavi (una d'argento e una d'oro) che aveva ricevuto da San Pietro; quindi i due poeti si addentrano nel secondo regno.

Il Purgatorio è diviso in sette 'cornici', dove le anime scontano la loro inclinazione al peccato per purificarsi prima di accedere al Paradiso. Al contrario dell'Inferno, dove i peccati si aggravavano maggiore era il numero del cerchio, qui alla base della montagna, nella prima cornice, stanno coloro che si sono macchiati delle c