Nonno Fiorucci: differenze tra le versioni

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=== Strenta della coscia ===
=== Strenta della coscia ===
Quella che in realtà sembrerebbe un'opera minore del Nonno si rivela, all'occhio indagatore ed esperto, come una vera e propria miniera di innovazioni. L'opera comincia in medias res, a fatto già avvenuto, ed è capace di cogliere tutta la rabbia del Maestro che si manifesta con un "''avvelenata tubercolsa mille volte''", sicuramente rivolta alla madonna. Degno di nota è la presenza della tecnica moltiplicativa, ovvero la madonna è affetta da tubercolosi mille volte, tecnica che poi, per oscuri motivi, il Nonno ha deciso di abbandonare. A metà dell'opera compare la simpatica filastrocca "''porca troia lurida'mpestata luridona della madonna?''" che riassume quasi tutte le caratteristiche principali del bel parlare fiorucciano: oltre la rabbia , che come abbiamo già detto intride tutta l'opera, ci troviamo di fronte all'uso del genitivo per l'indicazione dei soggetti nonché all'uso di una salva di aggettivi per definire la divinità avversa, che potremmo anche considerare come una variazione sul tema della pluralità dei soggetti cooperanti. La voluta omissione della "''i''" di "''impestata''", abile artifizio metrico del Maestro nascosto da una falsa distorsione dialettale, crea un enjambement fra i due eptasillabi che compongono i versi, conferendone una struttura indissolubile all'interno della quale risulta impossibile esulare il singolo aggettivo dal contesto ("''por-ca-tro-ia-lu-ri-da / mpe-shta-ta-lu-ri-do-na''"). Da notare è anche il ''climax'' ascendente di aggettivi rivolti alla divinità in questione: all'inizio semplicemente "porca", rafforzato da un subitaneo "troia", crescente in un "lurida" e culminante nell'"impestata". l'attributo finale "luridona", accrescitivo del già citato "lurida", cosa che a un professorino da liceo apparirebbe come una ripetizione e conseguentemente un errore, in realtà sublima la grandezza espressiva del Maestro, giacché nell'ambito dell'opera, nello scorrere delle parole che escono dalla bocca del Nonno non "pesa" affatto, anzi risolve in maniera egregia il crescente pathos che caratterizza l'opera in questione. Attraverso un'analsi più attenta e approfondita, sottoforma di una nuova deformazione dialettale, si evince il voluto utilizzo onomatopeico del dittongo "''sc''" di "''scema''" da parte del Maestro, sositituito più volte alla lettera "''s''" (vedi "''mpeStata"'',"''Sta vigliacca''", "''Sta troia''", "''Sta luridona''") con lo scopo di evocare nell'ascoltatore il rumore dello strisciare del serpente, animale spesso accostato alla divinità per sottolinearne il carattere venefico e avvelenato. Sia direttmante nel proemio e nella conclusione, con il chiaro utilizzo dell'aggettivo "''avvelenata''" e dell'omnipresente "''dio serpente''", che nella parte centrale dell'opera, con gli artifizi onomatopeici che ne richiamano lo strisciare, tutto il passo è basato sull'accostamento fra la divinità e il rettile, venefico animale biblico che richiama la figura del diavolo fin dal primo libro della genesi: chi mai oltre al Sommo Fiorucci avrebbe potuto evocare un ossimoro dio-diavolo senza mai nominare direttamente il secondo e solo attraverso artifizi metrici e retorici, gran parte dei quali riferiti alla madonna per sottolinearene il carattere venefico e avvelenato, la natura animale, la deviazione sessuale, lo stato di degrado igenico-sanitario e la conseguente condizione di malattia? Se questa non è poesia cos'è?
Quella che in realtà sembrerebbe un'opera minore del Nonno si rivela, all'occhio indagatore ed esperto, come una vera e propria miniera di innovazioni. L'opera comincia in medias res, a fatto già avvenuto, ed è capace di cogliere tutta la rabbia del Maestro che si manifesta con un "''avvelenata tubercolsa mille volte''", sicuramente rivolta alla madonna. Degno di nota è la presenza della tecnica moltiplicativa, ovvero la madonna è affetta da tubercolosi mille volte, tecnica che poi, per oscuri motivi, il Nonno ha deciso di abbandonare. A metà dell'opera compare la simpatica filastrocca "''porca troia lurida'mpestata luridona della madonna?''" che riassume quasi tutte le caratteristiche principali del bel parlare fiorucciano: oltre la rabbia , che come abbiamo già detto intride tutta l'opera, ci troviamo di fronte all'uso del genitivo per l'indicazione dei soggetti nonché all'uso di una salva di aggettivi per definire la divinità avversa, che potremmo anche considerare come una variazione sul tema della pluralità dei soggetti cooperanti. La voluta omissione della "''i''" di "''impestata''", abile artifizio metrico del Maestro nascosto da una falsa distorsione dialettale, crea un enjambement fra i due eptasillabi che compongono i versi, conferendone una struttura indissolubile all'interno della quale risulta impossibile esulare il singolo aggettivo dal contesto ("''por-ca-tro-ia-lu-ri-da / mpe-shta-ta-lu-ri-do-na''"). Da notare è anche il ''climax'' ascendente di aggettivi rivolti alla divinità in questione: all'inizio semplicemente "porca", rafforzato da un subitaneo "troia", crescente in un "lurida" e culminante nell'"impestata". l'attributo finale "luridona", accrescitivo del già citato "lurida", cosa che a un professorino da liceo apparirebbe come una ripetizione e conseguentemente un errore, in realtà sublima la grandezza espressiva del Maestro, giacché nell'ambito dell'opera, nello scorrere delle parole che escono dalla bocca del Nonno non "pesa" affatto, anzi risolve in maniera egregia il crescente pathos che caratterizza l'opera in questione. Attraverso un'analsi più attenta e approfondita, sottoforma di una nuova deformazione dialettale, si evince il voluto utilizzo onomatopeico del dittongo "''sc''" di "''scema''" da parte del Maestro, sositituito più volte alla lettera "''s''" (vedi "''mpeStata"'',"''Sta vigliacca''", "''Sta troia''", "''Sta luridona''") con lo scopo di evocare nell'ascoltatore il rumore dello strisciare del serpente, animale spesso accostato alla divinità per sottolinearne il carattere venefico e avvelenato. Sia direttamente nel proemio e nella conclusione, con il chiaro utilizzo dell'aggettivo "''avvelenata''" e dell'omnipresente "''dio serpente''", che nella parte centrale dell'opera, con gli artifizi onomatopeici che ne richiamano lo strisciare, tutto il passo è basato sull'accostamento fra la divinità e il rettile, venefico animale biblico che richiama la figura del diavolo fin dal primo libro della genesi: chi mai oltre al Sommo Fiorucci avrebbe potuto evocare un ossimoro dio-diavolo senza mai nominare direttamente il secondo e solo attraverso artifizi metrici e retorici, gran parte dei quali riferiti alla madonna per sottolinearene il carattere venefico e avvelenato, la natura animale, la deviazione sessuale, lo stato di degrado igenico-sanitario e la conseguente condizione di malattia? Se questa non è poesia cos'è?
Sfortunatamente nella seconda parte le parole del Maestro sono coperte da quelle della moglie che con il solito "''fatte sentì''" ci conferma la grandezza e la fama del Nonno presso i suoi contemporanei. Tipica chiusura con il dio maiale, il classico inatteso.
Sfortunatamente nella seconda parte le parole del Maestro sono coperte da quelle della moglie che con il solito "''fatte sentì''" ci conferma la grandezza e la fama del Nonno presso i suoi contemporanei. Tipica chiusura con il dio maiale, il classico inatteso.
Il testo completo è: "''Avvelenata tubercolosa mille volte, dio serrpente avvelenato, dio cane allora. Me venghi a dà i pizzichi de 'sto modo nte la coscia? Porrca trroia lurida'mpestata luridona della madonna?
Il testo completo è: "''Avvelenata tubercolosa mille volte, dio serrpente avvelenato, dio cane allora. Me venghi a dà i pizzichi de 'sto modo nte la coscia? Porrca trroia lurida'mpestata luridona della madonna?