Giosuè: differenze tra le versioni

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== Infanzia, e successione a Mosè ==
Giosuè nacque in Egitto, con la carica sociale di "schiavo addetto a farsi schiavizzare". Lì per lì la sua condizione non gli fu causa di disperazione, dato che era solito coltivare l'hobby di subire frustate alla schiena e di secernere sudore dalle ascelle. Una volta che ebbe capito, però, che la stessa consuetudine l'avrebbe accompagnato per il resto della vita, decise di svoltare. Due erano le possibilità che si presentavano davanti al giovane Giosuè: diventare il canarino del campo, spifferando agli egizi gli autori dei soliti furti di rami secchi che disturbavano la tranquilla comunità ebraica, ovvero fuggire dall'Egitto insieme a Mosè. Nonostante gli egizi non se lo calcolassero minimamente, Giosuè decise ugualmente di mettersi dalla parte del Faraone, rilevando l'inconsistenza di una fuga nel deserto da parte di un popolo di decina di migliaia di persone; si recò dunque a [[Palazzo Madama]] con l'intento di fare la spia non già sull'[[Il Tilli|autore]] dei furti, ancora latitante, ma su Mosè e sulla sua idea di sottrargli gli schiavi al fine di farli propri. Il calcio sui denti che ricevette alla porta d'entrata del Palazzo gli ricordò che uno schiavo non poteva avvicinarsi al Faraone, nè a Palazzo, nè parlare con la bocca piena o vuota; decise pertanto di ritornare sui propri passi e accollarsi questo difficile compito: guidare il popolo ebraico nella lunga camminata verso la [[Terra promessa]], un mondo diverso dove continuare a coltivare i propri interessi non più costretto.
[[File:Baracca_in_rovina.jpg|thumb|right|300px|La casa di josuèGiosuè]]
I primi giorni della grande fuga furono uno spasso. L'arsura bruciava le gole e permetteva un'ottima sudorazione. Si era poi fatto strada all'interno della comitiva, sfruttando l'ascensore sociale e scalando i vari gradi del cursus honorum che al momento consistevano sostanzialmente in:
* Capra;
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Secondo quanto aveva detto Mosè, il popolo, si aspettava di trovare nella Terra Promessa (TP) fiumi di latte e miele. Invece trovò sassi, ortiche e borgiacche , e poi la Palestrina era una palestra troppo piccola per entrarci tutti. Ed il popolo chiese a Giosuè di mantenere la promessa fatta da [[Dio]] a Mosè e dargli fiumi di latte e miele. Giosuè che non aveva sentito la promessa, nè riteneva fossero possibili fiumi di latte, nè credeva in Dio, sentenziò:
{{quote|Manca ancora poco, svoltiamo quell'angolo e ci siamo. Sento già il ronzio delle api. | Giosuè}}<br/>
[[File:Deserto_bianco.jpg|thumb|right|400px|La nuova casa di JosuèGiosuè presso la Terra promessa]]
Il ronzio era quello delle armi ad affilare del popolo abitante di Gerico, comandati da [[Sandrino il Mazzulatore]], grande condottiero del deserto e vincitore dell'ultimo torneo cisgiordano di "gara a chi sputa più lontano controvento seduto su un cavallo in corsa". Questo non tollerava i latticini, ma soprattutto gli extracomunitari e al grido di <<Ci rubano il lavoro>> si lanciò contro il popolo invasore e igienicamente carente.
 
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{{quote|Mungimi un coglione | Giosuè}}<br/>
Gerico era una potente [[città]] che si trovava nella Terra Promessa. Aveva mura formidabili, un esercito poderoso, armi, catapulte, fionde, pistole ad acqua, mitragliatrici, mortaretti, castagnole e ogni sorta di mezzo di difesa.<br/>
L'esercito di Giosuè era un'accozzaglia sconnessa di disperati dal tono vagamente zingaresco, ed il cui fetore (quarant'anni senza doccia si sentono) provocava una fastidiosa lacrimazione. L'esercito era fornito di bastoni, lacci, catafionde, arpe, bastoni, danari, [[paracelli]] e sassi. Quest'ultimi erano in verità pochissimi.<br/>
La battaglia fu lunga e sanguinosa. I due capi si affrontarono a viso aperto, Sandrino nella sua lucente canottiera, pezzata qua e là di paurose macchie rosso rubino, ricordo delle precedenti mangiate alla "Fagiolata di Gerico", Giosuè intento a sudare all'interno della sua tenda protetto dalla moltitudine dei suoi uomini, i quali, ben più numerosi degli avversari, li sopraffarono con la pura forza numerica e con l'insensato menefreghismo di Giosuè per la vita umana in generale, e dei suoi uomini in particolare.<br/>
La città venne perciò conquistata e Giosuè portato in trionfo tra lanci di fiori, schiaffi e sputi. Nonostante le fatiche della battaglia, il condottiero non perse tempo e si apprestò a compiere la tanto voluta riforma del grano.
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Di tutte le nuove costruzioni la più grande fu senz'altro il Nuovo Palazzo della Regione di Gerico, sede del governo e dimora di Giosuè. Venne costruito con mattoni di paglia pressata uniti con lo sputo, e con l'utilizzo della tecnica dell'arco concavo. Venne poi accatastato come autorimessa, e distinto al Catasto Fabbricati di Gerico (TP) come segue:<br/>
Foglio 1 - Particella 1 - Cl c/3 - mq 1800 - Rendita Catastale 7,6 euri<br/>
[[File:Macerie2.jpg|thumb|right|300px|La casa di JosuèGosuè presso Gerico]]
L'aumento del [[PIL]] previsto da Giosuè non avvenne; decise pertanto di dare una scossa all'economia con le seguenti iniziative:
*insegnare il dialetto nelle scuole;
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== Installazione delle Tribù ==
Il popolo riparte per un nuovo avventuroso viaggio, portando con sè i prodotti della Terra e quel poco di Manna che gli rimaneva, oltre ad un po' di pane azzimo, frumento abbrustolito e mini-wurstel piccanti.<br/>
Di lì in poi fu un assalto continuo alle città fortificate canaanee. La tecnica d'assalto era costituita dall'utilizzo di grandi torri d'asssedio formate esclusivamente da uomini posti l'uno sopra l'altro, a sfidare forza di gravità e frecce nemiche, nonchè teste d'ariete per lo spuntino.
Dopo la conquista della quasi totalità del paese di Canaan, Giosuè amministra l'insediamento delle tribù e la divisione del territorio. Inizia dalle tribù di [[Giuda]] e di Manasse, cui sottrae loro la terra invitandoli ad un pic-nic fuori porta ed insediandosi di soppiatto nelle loro città. La tribù di Caleb ottiene un calcio in culo. L'Arca dell'Alleanza è trasportata da Guilgal, dove si trovava dopo il passaggio del Giordano, al silos di Silo.
Giosuè ormai [[Emilio Fede|vecchio]] si insedia a Timnath-quelcheserah, stabilendo la sua dimora sotto la panchina di Piazza della Carovana, e concedendosi nelle sue lunghe giornate oziose, brevi giochi d'odalische, regalo del re del Marocco.
Morirà all'età di centodieci anni solo e con l'unico e vano conforto dei suoi miliardi, di giovani donzelle e della compagni del Fido [[Emilio Fede|Fede]].
 
 
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