Devi morire

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"Devi morire" è l'essenza dello sport nella sua parte sana, genuina e socialmente costruttiva, come la stretta di mano prima e dopo un incontro, gli inni nazionali, gli spogliatoi separati, la disdetta Sky e le prestazioni attoriali di Neymar. Si tratta in sostanza di una sorta di buon auspicio, rivolto al rispettato avversario il quale, a seguito di infortunio subìto a seguito di azione di gioco, giace a terra, contorcendosi in preda a dolori talmente acuti che Katia Ricciarelli a confronto è un abbaio di un anziano Rottweiler con la raucedine in un fusto di birra vuoto. Contro ogni sorta di sofferenza, il pubblico avversario intona questo augurio a gran voce, come soluzione ultima alle indicibili sofferenze del malcapitato avversario. Lo sport, in fondo, è anche questo. Contrariamente a questa interpretazione, che è esatta in quanto in accordo con i più nobili principi sprotivi, è diffusa l'erronea tendenza a credere che tale intonazione sia elevata dai tifosi ai danni morali dell'avversario infortunato, approfittando di un momento difficile e di dolore, augurandigli la morte, possibilmente lenta e dolorosa come conseguenza delle ferite riportate sul campo, non come soluzione alle sue pene, ma come augurio che lo stesso scompaia dalla faccia della terra in quanto ritenuto insopportabile. Se tale credenza dovesse clamorosamente torvare mai riscontro, risulterebbe assai odiosa l'intonazione del coro, specie in considerazione del momento drammatico, già vissuto dal malcapitato destinatario. Ciò sarebbe in forte contrasto con i principi sani dello sport, pertanto l'interpretazione è da ritenersi assolutamente arbitraria ed infondata.