Philip Roth
Philip S’è Roth (Elizabeth, New Jersey, 1933 – Reparto di cardiochirurgia dell’ospedale di Jersey City, domani) è uno scrittore ebreo-americano di origine barese che in testa ha una sola cosa: quella cosa.
Dove è nato
Nato in New Jersey, ha parlato per tutta la vita di un tizio del New Jersey (che di solito si chiama Renato Manidizucchero) alla costante e spasmodica ricerca del modo per fare ritorno dove è nato, che non è dove pensate voi o dove pensava il suo vicino newyorkese e cugino di Scritture Woody Allen bensì la casa d’infanzia di Elizabeth, in New Jersey, e precisamente in camera da letto, esattamente lì, tra le calde cosce di Elizabeth.
Cosa ha scritto
Di figa.
Cos’altro ha scritto
I suoi romanzi seguono un filo conduttore mai coitointerrotto il cui aspetto più notevole è senza dubbio l’elasticità e che fa di Roth uno degli autori più coerenti del panorama americano e al tempo stesso uno dei più penetranti a livello inguinale, nonché intellettuale. Tra le uniche deviazioni e fuoriuscite da tale canale tematico si possono citare la capillare esplorazione analitica della figura femminile e la sua profonda espressività orale, che ne hanno fatto un’indimenticabile protagonista della letteratura iperrealista e di costume moderna, senza tuttavia scordarne la figa.
L’aspetto forse più interessante e caratterizzante della pagina di Roth è il suo esemplare approccio “clinico”, vale a dire focalizzato sui suoi problemi di salute in evoluzione e sui suoi mali di stagione, intesi qui nella particolare declinazione vascolare-coronarica e venerea, e sulla lucida, circostanziata, pallosa susseguente descrizione della professione di un personaggio qualsiasi del racconto, che può essere quella di orologiaio, guantaio o burattinaio, che, al pari delle opere di altri narratori ebreo-americani e a differenza per esempio di quelle di un Bukowski, ne fa dei romanzi trasudanti una lirica e realistica indagine dell’uomo – essenzialmente l’uomo borghese, e nello specifico l’uomo borghese ebreo – nei suoi aspetti più intimi e intrinsecamente esistenziali e che non danno assolutamente l’impressione di essere libri in cui si parla invece di figa.
A questo proposito, è curioso notare come la filogenesi narrativa di Roth si sia appunto modificata nel corso dei decenni, per cui ai lavori della giovinezza come “Lamento di Pornoy”, dove i genitali femminili compaiono già alla dodicesima pagina, dopo la sintetica digressione su un raffreddore e la sommaria illustrazione del mestiere di suo padre, si contrappongono le opere della maturità quali ad esempio “More sheath for everyman”, dove invece bisogna aspettare settantaquattro pagine per vedere una figa.
Come i più arguti, informati e maliziosi avranno notato, il numero delle pagine di attesa corrisponde all’incirca all’età di Roth al tempo della scrittura del libro. Pertanto, se Phil sopravvivrà al quattordicesimo intervento cardio-vasco-gastrico e al settimo bypass uretrale e avrà ancora il fegato per scrivere, ci dobbiamo aspettare almeno un’ottantina di pagine di attesa, la prossima volta, e se purtroppo non sarà più in grado di arrivare a opere di tali dimensioni ci dovremo accontentare di un’introduzione sull’ultima operazione a cuore aperto e a stomaco vuoto, di una pesantissima descrizione del lavoro forse di un calzolaio e basta. Quindi, se volete invece leggerne subito, andate in libreria e chiedete alla commessa una vecchia ristampa dei quaderni dell’asilo di Roth, dove già in prima pagina compaia una figa.