Francesco Petrarca: differenze tra le versioni

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STUDIATE LA STORIA
{{inrestauro|Big Jack}}
Nacque ad [[Arezzo]], nell'appartamento accanto a quello di [[Beppe Bigazzi]] in una non ben precisata mattina di luglio.
Nel frattempo suo padre Pietro, che era un notaio guelfo, fu condannato al taglio della mano (e probabilmente anche di un altra cosa) per aver tentato di palpare il posteriore a una bella fanciulla ghibellina: per paura di restarci secco e di non poter più nè scirvere nè potersi toccare l'uccello, Pietro scappò in Francia, trascinando con sè sia la moglie che il piccolo Francesco.
Francesco venne emarginato dai compagni di classe fin dai tempi degli studi alimentari, per i quali era chairamente negato, perché era sospettato di essere una [[checca]]. Questo fino all'eta di 23 anni quando, volgioso di emancipazione, decise di innamorarsi di [[Laura]], a noi descritta come [[gnocca]].
Tuttavia la questione è ancora all'esame dei critici.
Pare inoltre che Francesco fosse alto più di un metro e ottanta e più grasso di [[Giuliano Ferrara]], insomma era [[Gerry Scotti]] travestito. Un uomo di tale sorta per mantenersi ha bisogno di un camion di cibo al giorno, e pare che proprio in cibo il giovane Francesco avesse dilapidato tutto il patrimonio paterno e privato il fratello Gherardo del mangiare, il quale per la disperazione di fece frate. Francesco invece, dato che aveva solo bisogno di mangiare, decise di mantenersi per la vita facendosi [[prete]], non per vocazione, ma solo per "stare di Papa".

== L'identità di Laura ==

[[File:Vecchia orrenda.jpg|thumb|left|200px|Ecco quale probabilmente dovesse essere il vero aspetto di Laura (ammesso si trattasse di una donna e non semplicemente della mano masturbatoria di Francesco)]]Vi sono delle ipotesi sperimentali circa l'effettiva identità di Laura, non ancora provate dagli studiosi. Nell'adolescenza Petrarca conobbe Dante, il quale era compagno di battaglie e di sventure di suo padre. Dante sul punto di morire, decise di lasciare al giovane Francesco in eredità la sua miglior dose di erbe allucinogene, quelle con l'aiuto della quali scrisse la divina commedia. Erbe dalle quali il giovane Petrarca rimase subito affascinato, apprezzandone tutti gli effetti: Laura quindi altro non sarebbe stata che un'allucinazione: o meglio una vecchia laida, sposata e con le tette cadenti per via dell'aver allattato 11 figli nel corso della sua vita, che l'effetto magico dell'erba aveva trasformato in una splendida fanciulla bionda. Qualcun altro pensa che Laura altro non fosse che uno scherzoso garzoncello dalle delicatissime fattezza di cui Francesco, all' epoca baldo studente di legge se non gay quantomeno bisex, s'era innamorato. E del resto questa ipotesi è accreditata dal fatto che non è affatto normale farsi tante seghe mentali per una donna, perché al massimo le seghe generate da una donna si fanno da tutt'altra parte.
La terza ipotesi, forse la più credibile, è che quel culone di Francesco non avesse mai avuto donne in vita sua, ma l'unica a soddisfare il suo ''vago augellin'' fosse la cara mano [[Federica]]. Tuttavia se nelle sue poesie avesse chiamato l'oggetto del suo amore con quel nome, sarebbe stato etichettato come pippaiolo sfigato per tutta la vita. Così, per non farsi sgamare, decise di cambiare il nome della sua mano in Laura.
A questa oscura entità di nome Laura egli dedicò il ''Canzoniere'', una raccolta di pippe di qualsiasi genere trasposte su carta le quali tutto hanno avuto meno l'effetto di produrre altre pippe (non mentali ovviamente) in altri studenti maschi che pensassero a quella figona di Laura.

== Gli anni fuoricorso e gli esami al Cepu ==

Dopo l'incontro con Laura la vita di Francesco cambiò radicalmente: smise di studiare giurisprudenza (facoltà alla quale s'era iscritto per volere del padre e nella quale era già al 32° anno fuori corso), e la sua panza beneficiò di tutti i vantaggi dell'essere prete. Egli passò la sua vita a cazzeggiare in giro a cavallo per l'Europa, e a cercare antichi libri in modo tale che le muffe allucinogene che su di essi prosperavano gli potessero fornire ispirazione per un componimento poetico strafigo.
Fu proprio durante un delirio da funghi cartaiuoli in cui si credeva Ennio che compose la sua opera latina più importante: il poema ''[[Africa]]'', che tutto era forchè un appello per aiutare i negretti del terzo mondo (tanto finché la sua trippa era piena poco importava che gli altri avessero fame).
Francesco rimase così soddisfatto dell'Africa che con esso pensò di poter recuperare tutti i suoi anni persi in ambito universitario. Così, per intercessione del suo allora ragazzo Stefano Colonna, chiese una laurea honoris causa sia al re di Napoli che al re di Parigi.
Ad accettare fu il re di Napoli, a patto però che Francesco sostenesse presso di lui un esame CEPU per la facoltà di [[lettere e filosofia]]: in poche parole l'Africa poteva anche infilarsela in quel posto, dato il culone che si ritrovava.
Inutile dire che Francesco ci riuscì a passare l'esame col re: questo perché al Cepu, dato che ci è andato Totti, chiunque si chiami Francesco riesce spudoratamente a passare con 30 e lode. Il re diede a Francesco una colossale raccomandazione e gli regalò un manto di porpora per mascherare la sua sconcissima obesità. Fu laureato con 66/110 alla Sapienza di Roma, e da allora si credette talmente figo che inghiottì così tanta erba da cadere in trance, e vedere S.Agostino. Inutile dire che le sue confessioni feceoro venire l'esaurimento nervoso perfino ad Agostino, il quale lo calciorotò dicendo: "Sei giovane, piuttosto vai a guardare due fighe in discoteca che almeno stai in pace con te stesso e non pensi alla tua mano (Laura) che fosse per me te la mozzerei".

== Il ritiro ad Arquà ==

Dopo una vita fatta di ambizioni e seghe mentali, il nostro eroe, una volta vecchio decise di sparire dal mondo e di ritirarsi ad Arquà, una località veneta dove finalmente avrebbe potuto mangiare gatti in santa pace in compagnia dei suoi 10 figli illeggittimi avuti da laide vecchiacce che l'erba, nel corso della sua vita, gli aveva fatto apparire come strafighe da paura.
La sua mano Laura ormai era morta, non perché Francesco perfino da vecchio pervertito facesse la mano morta: era morta perché orrendamente esplosagli con un bubbone di [[peste]] nel 1348, e quindi al destino della mano monca era sfuggito suo padre, ma non lui. Da un lato per Francesco era una brutta disperazione, dall'altro era un vanto, perché poteva finalmente paragonarsi a Muzio Scevola, uno dei suoi cari romani.
Il vecchio, monco Francesco trascorse i suoi ultimi anni a leggere e a fare il contadino sui colli veneti, ma fu proprio un eccesso di studio a farlo morire da vero nerd: con la testa appoggiata sull'eneide.

== Note post mortem: i petrarchisti ==

Invidiosi del successo che ebbe quello sfigato di Francesco, i suoi compagni di banco sopravvissuti cominciarono a rubare tutti i componimenti sepolti nella sua tomba per copiarli spudoratamente, per cercare di raggranellare un po' di pecunia. Questo esercito di ovini fu battezzato dagli storici come "movimento petrarchista". Vediamo nel capitolo seguente di analizzare un testo di orma petrarchesca prodotto da uno di questi inutili personaggi, in cui si racconta un'esperienza patita in passato dallo stesso Francesco.

== Interpretazione di un testo di orma petrarchesca: Augellin vago canoro ==
[[File:Fra'Tuck.jpg|thumb|right|250px|Ecco il bellissimo Francesco in un momento di massima ispirazione]]
==== Prima quartina ====
<poem>{{Quote2|Augellin vago e canoro
tu sospiri il colle e'l prato
e pur sei tra lacci d'oro
dolcemente imprigionato.}}</poem>

Nella prima quartina apprendiamo come il giovane Francesco spendesse la maggior parte del suo tempo a spararsi seghe a destra e a manca, sui colli e nel prato, ambendo al monte di Venere (il colle) e a un bel pelame fitto fitto (prato) e intanto il suo uccello si innalzava (in [[volo]]?) pur essendo legato come un salame con dei lacci dorati di scarpe all stars, metodo che forse all'epoca funzionava da anticoncezionale. E si sa che in quei momenti, ogni costrizione da quelle parti fa un male cane...

==== Seconda quartina ====
<poem>{{Quote2|Pur senza mai posare
e l'ali e'l piede sempre
in perpetui giri
vago augel ti raggiri, ei tuoi concenti
sembran note de gioia e son lamenti.}}</poem>

Francesco, nel dedicarsi al suo onanistico piacere, ovviamente non si fermava mai, né con la mano (per ovvi motivi) né col piede, perché cambiava posto in continuazione per paura di farsi sgamare dagli amici. Nonostante il povero uccello sia letteralmente strapazzato da Francesco, esso incredibilmente non si stanca di adempiere al processo di innalzamento naturale. Ciò sembra un segnale di salute, ma Francesco sa che comunque, continuando così,il suo povero coso chiederà pietà, e si affloscerà spontaneamente (sembran note di gioia e son lamenti).

==== Terza quartina ====
<poem>{{Quote2|Io t'intendo canoro augelletto,
vai piangendo la tua servitú,
e vorresti d'ameno boschetto
le bell'ombre godere ancor tu.}}</poem>

Il povero ragazzo capisce che comunque l'apertura alare (leggi espansione in verticale) del suo uccello è solo un mero riflesso fisiologico allo sfregamento, e non un vero segnale di porcino piacere. Perciò Francesco capisce che se il povero paletto fosse dotato di vita propria, si ribellerebbe contro la servitù della mano insalivata che sale e che scende, e scapperebbe in un boschetto, dove all'ombra degli alberi troverebbe rifugio in una vera [[figa]].

==== Quarta e quinta quartina ====
<poem>{{Quote2|Ma del tuo duol fatta pietosa, Irene
scioglie le tue catene,
con la destra di neve
apre l'anguste porte
alla bella prigion dove sei chiuso,
e tu rapido e lieve
del primiero volar riprendi l'uso;
scorri dell'aria i campi e fai ritorno
sú le cime de faggi e degl'abeti
a salutar col tuo bel canto il giorno.}}</poem>

Francesco è inaspettatamente fortunato: il suo solitario piacere infatti non è sgamato da un suo compagno di corso di giurisprudenza (che lo avrebbe preso per culo tutta la vita, se solo l'avesse visto), ma una bella ragazzuola di nome Irene. In poche parole la vera figa di cui l'uccellone era affamato. Nel vedere Irene Francesco è così emozionato che il suo orgasmo, candido come neve, gli imbratta tutta la mano destra... e in un impeto di foga gli viene addirittura di liberare il bel volatile, pur se tutto inzaccherato. Questa azione fa molto onore al suo coso, il quale riprende a essere usato come natura vuole, penetrando nella foresta pelosa di irene (cime dei faggi e degli abeti)e non è più usato come un semplice mezzo onanistico per giovani poeti ciccioni sfigati.

==== Ultime due quartine ====
<poem>{{Quote2|Quanto invidio i tuoi bei voli
augeletto fortunato,
son anch'io preso e legato
ma non ho chi mi consoli.
Mi lamento e grido ogn'ora
per desio d'esser disciolto,
ma mi tien tra lacci avvolto
l'empia Irene e vuol ch'io mora.}}</poem>

Peccato però che la bella storia con Irene era solo un sogno che Francesco aveva appena fatto nel suo impeto segaiolo, e perché no, anche aiutato da una massiccia dose di erba. Infatti rendendosi conto che l'orgasmo era semplice frutto della sua mano, comincia a invidiare quel sé stesso che appariva nella fantasia erotica con Irene. Francesco si rende conto di essere solo un ragazzotto obeso che ha un disperato bisogno di figa, e ogni ora invoca la figa, lamentandosi della sua assenza e chiamando invano il suo nome. Irene è solo l'immagine di una perversa fantasia erotica che gli annebbia il cervello e proprio perché trattasi solo di una fantasia, Francesco soffre così tanto che gli sembra di morire. Altra interpretazione potrebbe essere che magari Irene esisteva per davvero, ma piuttosto che darla a Francesco avrebbe preferito vederlo morto.

== Voci correlate ==

*[[Prete]]
*[[Dante Alighieri]]
*[[Morto di figa]]

{{scrittori}}

[[Categoria:Poeti]]
[[Categoria:Personaggi inutili]]
[[Categoria:Ciccioni]]
[[Categoria:Scrittori]]

Versione delle 07:36, 2 set 2010

STUDIATE LA STORIA