Ernest Hemingway: differenze tra le versioni

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{{Cit2|Conosco la guerra come poche altre persone al mondo e niente mi è più rivoltante di essa. A parte il [[Bagaglino]].|Ernest Hemingway}}
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Sbarcato in [[Italia]], Ernest cercò subito un modo per imboscarsi in retrovia. Entrò nella redazione del giornale militare, che aveva il compito di rincuorare la truppa con freddure, foto di [[playmate]] e annunci mortuari che occupavano i due terzi della testata. Ernie aveva difficoltà a leggere le [[consonanti]], scriveva impugnando la penna con ambo le mani e credeva che le rotative fossero [[treno|treni]] ad alta velocità: aveva ottime possibilità di diventare [[direttore]] del [[giornale]].
 
Non andò così: Ernest stava conducendo un'intervista ai soldati in prima linea, quando un [[cecchino]] appostato in un palazzo semidistrutto dai carri armati statunitensi riversò su di loro un mare di piombo. Hemingway ingollò mezza fiaschetta di [[whisky]], si stracciò le vesti e si lanciò all'attacco ignorando le pallottole che gli sibilavano intorno. Stanato il cecchino, lo stese con una finta di corpo e un uno-due al mento. Più un calcio nelle palle supplementare. Piuttosto inutile, dato che a sorpresa il nemico si rivelò una giovanissima ragazza [[vietnamVietnam|vietnamita]]ita. Ah no, errore mio: è che [[ieri]] ho visto [[Full Metal Jacket]].
 
Uscito indenne dall'agguato, Ernest riportò orrende ferite da taglio al volto e alle braccia la sera stessa, quando provò ad aprire una scatoletta di [[tonno]]. Ricoverato in [[ospedale]] e decorato con la ''Croce al lievito di birra'', passò l'ultima fase del conflitto a fumare sigari nel reparto di [[Oncologia]], preparare [[Daiquiri]] nella padella e a provarci con un'[[infermiera]] mozzafiato, che gli spezzò il cuore quando gli rivelò di chiamarsi Mario. Continuò anche nella sua assidua opera di edulcorazione della realtà. All'indomani della [[Battaglia di Caporetto|disfatta di Caporetto]] titolò: