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Il suo vero e proprio [[apprendistato]] si svolse nella bottega di '''Filippo Pippi''' dal [[1464]] al [[1467]].<br />
Risalgono a questo periodo tutta una serie di [[Madonna|Madonne]], attribuite al Botticelli, che gli costarono trentatre frustatemesi agli [[arresti domiciliari]] per [[bestemmia]] reiterata. La primissima [[opera]] attribuita a Botticelli è la "''Madonna col Bambino, un angelo e una foca''"([[1465]] circa), la seconda è l'"''Orca Madosca''" ([[1466]]), entrambe dimostranti l’interesse del [[pittore]] verso il mondo [[animale]] e definiti dal Pippi degli “''stronzi liquefattiessiccati sulla [[tela]] che non valgono il [[prezzo]] della cornice utilizzata''”.<br />
Nonostante il talento del giovane Botticelli, il rapporto col maestro Pippi era difficile, forse per il carattere opprimente del ventenne apprendista. Il [[Vasari]], nelle sue ''Vite'' riporta alcuni dialoghi tra i due:
{{dialogo2|Sandro|[[Maestro]], posso dirle una cosa? Basta che non si offende|Pippi|Va bene, dimmi Sandrino}}
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{{dialogo2|Sandro|Maestro… non le conviene utilizzare un pennello in crine di [[cavallo|cavalla]] di [[razza]] [[arabo]] fenicia, piuttosto che un pennello in crine di asina mediorientale?|Pippi|Sandro, non esistono animali del genere, né tantomeno strumenti simili. Ora per favore, sto facendo un’opera importante. Guarda che belle quelle statuette! Guarda che belle! Vai a giocarci}}
{{dialogo2|Sandro|…Maestro... ma perché non disegniamo anche la parte opposta della tela?}}
L'accentuato [[linearismo verrocchiesco]], inteso come espressione di movimento, risulta poi evidente nella "''Madonna attraversa fuori dalle strisce''”, anch’esso di quel periodo, in cui le meditazioni sulla concezione [[matematica]] della [[pittura]], di grande attualità in quegli anni con gli studi di [[Piero della Francesca]], sono ben sintetizzate dalle [[sgommate]] degli [[pneumatici]].
Risultarono però determinanti nel progressivo processo di maturazione del suo linguaggio pittorico anche le influenze ricevute da [[Antonio del Pollaiuolo]] e [[Andrea del Verrocchio]], del quale potrebbe aver frequentato la bottega dopo la caduta in depressione e la fuga dall’[[Italia]] di Filippo Pippi.<br />
L'accentuato [[linearismo verrocchiesco]], inteso come espressione di movimento, risulta evidente nella "''Madonna attraversa fuori dalle strisce''”, anch’esso di quel periodo, in cui le meditazioni sulla concezione [[matematica]] della [[pittura]], di grande attualità in quegli anni con gli studi di [[Piero della Francesca]], sono ben sintetizzate dalle [[sgommate]] degli [[pneumatici]].
 
=== L’avvio della carriera in proprio ===
 
Dal [[18 agosto]] al [[18 agosto]] [[1949]] di quell'anno lavorò alla sua prima commissione pubblica, di notevole [[prestigio]] e [[risonanza]]: si trattava di una sedia del Palazzo di Giustizia che si era irrimediabilmente scheggiata qualche giorno prima. Botticelli per quel lavoro accolse lo schema presentato dal [[Pollaiolo]] nelle sue linee generali, ma impostò l'immagine in modo del tutto diverso: conficcò sul sedile un [[birillo]] puntato verso l’alto, così volendo operare un preciso richiamo alle [[qualità morali]] inerenti all'esercizio della [[magistratura]], in pratica un'allusione simbolica all’operato del [[giudice]]. L’opera fu salutata con eccitazione dal circolo [[Arcigay]] della zona, meno dai [[magistrati]] che gli comminarono il [[supplizio della ruota]].<br />
Nel [[1469]] Botticelli lavorava già da solo, come dimostra la portata al Catasto del [[1469]] in cui è segnalato come [[monolocale]]. Il [[9 ottobre 1470]] Filippo Pippi morì a [[Spoleto]], a seguito della visita di Botticelli, accorso al suo ritorno per fornirgli alcuni importanti consigli sull’importanza della tecnica pittorica alla [[Fosbury]].<br />
Dal [[18 agosto]] al [[18 agosto]] di quell'anno lavorò alla sua prima commissione pubblica, di notevole [[prestigio]] e [[risonanza]]: si trattava di una sedia del Palazzo di Giustizia che si era irrimediabilmente scheggiata qualche giorno prima. Botticelli per quel lavoro accolse lo schema presentato dal [[Pollaiolo]] nelle sue linee generali, ma impostò l'immagine in modo del tutto diverso: conficcò sul sedile un [[birillo]] puntato verso l’alto, così volendo operare un preciso richiamo alle [[qualità morali]] inerenti all'esercizio della [[magistratura]], in pratica un'allusione simbolica all’operato del [[giudice]]. L’opera fu salutata con eccitazione dal circolo [[Arcigay]] della zona, meno dai [[magistrati]] che gli comminarono il [[supplizio della ruota]].<br />
Prima di produrre questi autentici aborti pittorici egli ebbe però modo di ampliare la sua esperienza con altri dipinti, che costituiscono il necessario passaggio intermedio tra lo [[spasmo diarroico]] delle prime opere ed i grandi [[capolavori]] della [[maturità]].
 
=== Le opere degli [[anni settanta]] ===
 
A questo primo periodo appartiene il San Sebastiano opera in cui Botticelli mostra già un avvicinamento alla filosofia dei circoli culturali colti vicini alla famiglia Medici, animati da [[Marsilio Ficino]] e [[Agnolo Poliziano]]. Botticelli venne accolto con cordialità all'interno deldella salottocombriccola soprattutto perché faceva un Daiquiri importantissimo e serviva velocemente.<br />
Di quegli anni l’infortunio sul lavoro causato da un Marsilio Ficino in manifesto stato di [[ebbrezza]], il quale prendendo una pistola ordinò a Botticelli di [[ballare]] e per incitarlo fece partire diversi colpi mirando vicino ai piedi, tra le grasse risate degli astanti. Purtroppo una pallottola lo colpì in pieno, staccandogli l’alluce sinistro. Per questo motivo, da quel giorno, fu chiamato “Ragazzo, smettila di zoppicare e portami il mio cappuccino”.
Dalla frequentazione del salotto, fatta di umiliazioni e pernacchie, spesso intramezzate da un “Coglione” pronunciato dal [[Poliziano]] di turno per far ridere le ragazze, Botticelli acquisì nuova sicurezza nella pittura, espressa principalmente nella sua Adorazione dei Magi, quadro eseguito tra il [[1473]] e il [[1474]].
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Di quegli anni la Nascita di Venere e la Primavera sottratti a Pietro Perugino con una rapina a mano armata; tali opere gli fecero dichiarare:
{{Quote| Modestamente Giotto mi fa una pompa| Sandro Botticelli agli eredi del pittore, durante le celebrazione per il centocinquantenario dalla sua morte}}
 
== Ultimi anni ==
Nel 1493 morì suo fratello Giovanni e nel 1495 concluse alcuni lavori per i Medici del ramo "Popolano", dipingendo per loro alcune opere per la villa del Trebbio. Nel 1498 i beni denunciati al catasto testimoniano un cospicuo patrimonio: una casa nel quartiere di Santa Maria Novella e un reddito garantito dalla villa di Bellosguardo nei dintorni di Firenze[3]. Del 1502 è un suo celebre scritto relativo alla realizzazione di un giornaletto denominato beceri, di carattere prevalentemente satirico, destinato ad allietare la lettura delle frange nobiliari della società rinascimentale. Tale progetto, tuttavia, restò tale, non essendo mai stato portato a compimento.[senza fonte]
 
Nel 1502 una denuncia anonima lo accusò di sodomia. Nel registro degli Ufficiali di Notte, al 16 novembre di quell'anno, è riportato come il pittore "si tiene un garzone"... In ogni caso sia quest'episodio che quello di dodici anni prima si risolsero apparentemente senza danni per l'artista[10].
 
La sua fama era ormai in pieno declino anche perché l'ambiente artistico, non solamente fiorentino, era dominato dal già affermato Leonardo e dal giovane astro nascente Michelangelo. Dopo la Natività mistica Botticelli sembra rimanere inattivo. Nel 1502 scrisse una lettera a Isabella d'Este offrendosi, libero da impegni, per lavorare alla decorazione del suo studiolo[11].
 
Nonostante fosse anziano e piuttosto in disparte il suo parere artistico doveva essere ancora tenuto in considerazione se nel 1504 venne incluso tra i membri della commissione incaricata di scegliere la collocazione più idonea per il David di Michelangelo[11].
 
Il pittore ormai anziano e quasi inattivo trascorse gli ultimi anni di vita isolato e in povertà, morendo il 17 maggio 1510. Fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di Ognissanti a Firenze[11].
 
L'unico suo vero erede fu Filippino Lippi, che condivise con lui l'inquietudine presente nelle sua ultima produzione.
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