Tito Lucrezio Caro: differenze tra le versioni

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{{Cit|Ma che due palle!|[[Chiunque]] leggendo Lucrezio}}
[[File:Scheletro chino su libro.jpg|thumb|Lucrezio passava molto tempo sui libri.]]
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[[Epicuro]] scrisse in prosa, ma Lucrezio dice che la forma poetica è abbellimento per il messaggio. Nonostante la promessa, scrisse di merda.
La filosofia epicurea era l’unica che potesse liberare l’uomo dalle sue paure, secondo Lucrezio, e lui la diffonde perché la gente ancora si divertiva a giocare a [[nascondino]] e a spaventarsi. Lucrezio voleva liberare tutti dalla paura, ritirando dal mercato le copie dei film ''The Ring'', [[Shining]] e via dicendo. Tra una canna e l’altra, quotò il suo caro amico defunto Epicuro additando la felicità nella ''''''[[atarassia]]'''''', ovvero l’assenza di turbamenti, e questo si otteneva isolandosi dalla vita pubblica, politica, le ambizioni e soddisfazioni mondane, e si otteneva dedicandosi alla masturbazione, rinchiusi in camera.
 
Secondo questa filosofia, basta la [[masturbazione]] e un po’ di lubrificante (assenza di dolore fisico). Epicuro chiama ciò piacere ''catastematico'' (piacere in stato di quiete), per distinguerlo dal piacere ''cinetico'' (piacere sfrenato), cui lui poteva solo aspirare.
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Nella terza sezione evidentemente non si era ancora rotto il cazzo di elogiare Epicuro, e lo fa in modo [[gay]], con passi gioiosi. Successivamente viene tracciato un quadro cupo della vita umana, che nonostante la felicità ottenuta con la masturbazione è schiacciata dal terrore della morte, come impossibilità di continuarsi a masturbare. Lucrezio dimostra qui che anche l’anima ha natura materiale, essendo composta da atomi sottilissimi ed è destinata a perire con il corpo. Dunque farsele ora, che dopo non si potrà più, ma non c’è da temere, perché non saremo più dopo la morte, e non avremo necessità. Successivamente illustra le malattie di anima e corpo, [[impotenza]] ed eviralità. Nel finale illustra la massima epicurea con argomenti diversi, secondo cui la morte non ci riguarda per nulla, tanto merde siamo e merde resteremo.
 
[[File:UomodilettereUomo di lettere.gif|left|thumb|188px|Lucrezio si può sicuramente definire un uomo di lettere.]]
Nella quarta sezione finalmente si era rotto il cazzo di elogiare quell’idolo gay di un Epicuro e svolge la dottrina epicurea delle sensazioni. L’unico modo per poter sentire (il resto è immateriale ed è male) è ottenere l’estasi tramite il fumo dell’erba. Si ottiene la vera sensazione solo attraverso la droga. Nel finale della parte di rotolo tratta dell’amore come una folle illusione dei sensi, come sentimento che suscita orrore e ripugnanza, perché causa continua di disagio, tedio e dolori al pisello.
 
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== La paura degli dei ==
Nega il rapporto tra uomo e divinità, dicendo che è assolutamente impossibile ottenere sconti da loro sulla droga. Fa l’esempio del sacrificio di [[Ifigenia]], sacrificata dal padre [[Agamennone]], per ottenere un grande carico di [[Ganja]] a un prezzo conveniente. Gli nega la provvidenza divina, tanti sono i sobri del mondo. Però vi è una ''voluctasvoluptas'' mista a horror, in venerazione magnificente e timorosa per questi smistatori di allucinogeni. Insiste sulla necessità della morte, suggerendo immagini di agonia, precarietà e disfacimento del pene. Lucrezio vede ovunque segni che preannunciano la fine del mostro mondo e della possibilità di masturbarsi.
 
== La paura della morte ==