Utente:SlyK/Sandbox/L'Infinito di Leopardi: differenze tra le versioni

nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 1:
L' '''Infinito''' è una poesia di [[Giacomo Leopardi]] scritta durante il suo giovanile soggiorno nelle [[Marche]], quando scoprì la bellezza del [[figa|gentil sesso]] e dell'[[masturbazione|onanismo]]. Quest'opera fu scritta tra ilnel [[1818]] ed il [[1821]], molto probabilmente nel periodo in cui il poeta realizzò e quantificò il numero dei 2 di picche nella sua vita - per l'appunto, infiniti.
 
Quest'opera appartiene alla serie di scritti pubblicati nelcinque [[1826]]anni dopo con il titolo di ''Idilli'' (il titolo deriva dallo stato d'animo idilliaco che provò il giorno del suo compleanno, l'unico giorno in cui non fu insultato dalla sua famiglia). In questo periodo, Leopardi pubblica anche le ''Perette Anali'', conosciute come ''Operette Morali'' per un errore di stampa.
 
==Testo dell'opera==
Riga 8:
 
''Sempre caro mi fu quest'ermo colle,''<BR>''e questa siepe, che da la finestra''<BR>''de la vicina il guardo esclude.''
<BR>''Ma sedendo e mirando, interminati''<BR>''nudi di là da quella, e sovrumani''<BR>''seni, e profondissimo pilu''<BR>''io nel bacino mi tocco; ove per poco''<BR>''il coito non mi sporca. E come il vento''<BR>''odo stormir tra queste piante, io quella''<BR>''infinita madonna nel mio giaciglio''<BR>''vo immaginando: e mi sovvien l'eterno,''<BR>''e le nude carni, e la presente''<BR>''e viva, e il gemito di lei. Così tra questa''<BR>''cinquina s'annega il [[pene|fratellotruffello]] mio:''<BR>''e il naufragarl'imbiancar m'è dolce in questoqueste maredita.''
 
==Significato del componimento==
L' '''idillio''' si configura come uno studio visivo-prospettico degli elementi del paesaggio per produrre nel lettore la suggestione "dell' Infinito". La '''vaghezza del linguaggio''', basata sull' uso di parole di significato '''indeterminato''', le quali, più che precisare le cose secondo le categorie di spazio e di tempo, ne sfumano i contorni, e con il caratteristico vocabolario leopardiano (ermo, interminati, sovrumano, ecc..) producono quella poesia dell' indefinito che è spesso funzionale a quella dell' infinito.
Nell'''Infinito'' Leopardi si concentra decisamente sull'interiorità, sul proprio ''io'', e lo rapporta ad una realtà spaziale e fisica, in modo da arrivare a ricercare l'Infinito. L'esercizio poetico, dunque, si pone come superamento di ogni capacità [[Percezione|percettiva]], di cui la natura è il limite (rappresentato dalla ''siepe''). Tra la minaccia del silenzio (''e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo, ove per poco / il cor non si spaura'' versi dal 5 all'8) e la sonorità della natura (''E come il vento / odo stormir tra queste piante'', versi 8 e 9), il pensiero afferra l'inafferrabile universalità dell'[[Infinito]], superando la contingenza di ciò che ci circonda, che è l'esperienza fortemente voluta dall'autore.
 
Il poeta, seduto davanti ad una siepe, immagina oltre questa spazi interminabili, che vanno oltre anche la linea dell'orizzonte che la siepe in realtà nascondeva. Richiamato alla realtà da un rumore, da una sensazione uditiva, estende il suo fantasticare anche nell'immensità del tempo. L'Infinito, dunque, ha una duplice valenza: spaziale e temporale.
 
L'Infinito, nella visione leopardiana, non è un infinito ''reale'', ma è frutto dell'immaginazione dell'uomo e, quindi, da trattare in senso [[Metafisica|metafisico]]. Esso rappresenta quello slancio vitale e quella tensione verso la felicità connaturati ad ogni uomo, diventando in questo modo il principio stesso del piacere. L'esperienza dell'Infinito è un'esperienza duplice, che porta chi la compie ad essere in bilico tra la perdità di sé stesso (''Così tra questa / immensità s'annega il pensier mio'' versi 13 e 14) e il piacere che da ciò deriva (''e il naufragar m'è dolce in questo mare'' verso 15).
 
Per l'autore il desiderio di piacere è destinato a rinnovarsi; ricercando sempre nuove sensazioni, scontrandosi inevitabilmente con il carattere provvisorio della realtà, per terminare al momento della morte. Secondo questa teoria (''teoria del piacere''), espressa nello [[Zibaldone]], l'uomo non si può appagare di piaceri finiti, ma ha necessità di piaceri infiniti nel numero, nella durata e nell'estensione: tali piaceri, però, non sono possibili nell'esperienza umana. Questo limite, tuttavia, non persiste nel campo dell'immaginazione, che diventa una via d'accesso ad un sentimento di piacere (espresso nell'ultimo verso) nella fusione con l'infinità del mare dell'essere.
 
È importante notare, tuttavia, che l'infinito leopardiano non è simile a quello di altri poeti [[Romanticismo|romantici]], in cui esso era straniamento dalla realtà per mezzo della semplice fuga nell'[[irrazionalità]] e nel [[sogno]]: la scoperta e l'esperienza dell'Infinito sono processi [[Immaginazione|immaginativi]] sottoposti al controllo razionale. Il soggetto, cioè, crea consapevolmente il contrasto tra ciò che è limitato e ciò che è illimitato (l'ostacolo e l'infinito spaziale), e tra ciò che è contingente e ciò che è eterno.
 
Tale considerazione ci porta a contemplare quello che è il [[pessimismo]] dell'autore: egli è consapevole della vanità del suo tendere, sa che tutto è frutto della sua immaginazione, per quanto questa situazione sia dolce.
0

contributi