Nonno Fiorucci: differenze tra le versioni

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Quest'opera segue il cliché della apprezzata "Secchiata", ma le tematiche affrontate raggiungono l'apice della drammaticità. Il Nonno è intento a riposarsi dopo una giornata di fatiche fisiche e intellettuali quando viene raggiunto da un piombino sparato da una pistola. In pochi secondi l'ira del Sommo si scatena generando una produzione letteraria degna del miglior Cavalcanti. Esordendo con l'evocazione impulsiva del nipote, suo incubo ricorrente, con un selvaggio urlo "''ahhh .... Lorèèèè!!!!''". In preda a un'epica e incontrollabile furia il Maestro, nell'atto di alzarsi faticosamente dal lettino su cui prima giaceva beato, prosegue sentenziando "''dio madonna dio scannato, te pia 'n cancr tal signore''" con urla viscerali, quasi a voler trasmigrare alle divinità la propria sofferenza. Finalmente giratosi inquadra come un cecchino serbo l'oggetto della sua ira nella nipote intenta a riprenderlo e immantinente si scaglia contro quest'ultima con una poca lusinghiera litania che così recita: "stupida, sei sempre la solita, scema, deficiente, scema, scema, scema, (te lo) torn'a ddi n'altra volta, scema". Sicuramente ci troviamo di fronte a una delle opere più complesse del Nonno, a cui non è possibile dare una spiegazione univoca, inoltre bisogna notare come accompagna la parola "scema" con il movimento perentorio del braccio abbinato all'apertura automatica della mano. Ma qui, la vera perla, è sicuramente la frase finale rivolta al nipote che cercava di difendere l'autrice dello scherzo: "e tu va ffica tonto, va ffica tonto, tonto!!!". In questo c'è una vera a propria arte; l'intimare il nipote a dedicarsi a qualcos'altro piuttosto che a questi sciocchi scherzi, invitandolo non a una qualsiasi attività, ma piuttosto a quella di dedicarsi alle donne, in modo tale fornire un valido insegnamento di vita. Un mix di blasfemia e saggezza da tramandare alle generazioni postere.
 
=== StrentaA della cosciaraffica!! ===
Quella che in realtà sembrerebbe un'opera minore del Nonno si rivela, all'occhio indagatore ed esperto, come una vera e propria miniera di innovazioni. L'opera comincia in medias res, a fatto già avvenuto, ed è capace di cogliere tutta la rabbia del Maestro che si manifesta con un "''avvelenata tubercolsa mille volte''", sicuramente rivolta alla madonna. Degno di nota è la presenza della tecnica moltiplicativa, ovvero la madonna è affetta da tubercolosi mille volte, tecnica che poi, per oscuri motivi, il Nonno ha deciso di abbandonare. A metà dell'opera compare la simpatica filastrocca "''porca troia lurida'mpestata luridona della madonna?''" che riassume quasi tutte le caratteristiche principali del bel parlare fiorucciano: oltre la rabbia, che come abbiamo già detto intride tutta l'opera, ci troviamo di fronte all'uso del genitivo per l'indicazione dei soggetti nonché all'uso di una salva di aggettivi per definire la divinità avversa, che potremmo anche considerare come una variazione sul tema della pluralità dei soggetti cooperanti. La voluta omissione della "''i''" di "''impestata''", abile artifizio metrico del Maestro nascosto da una falsa distorsione dialettale, crea un enjambement fra i due eptasillabi che compongono i versi, conferendone una struttura indissolubile all'interno della quale risulta impossibile esulare il singolo aggettivo dal contesto ("''por-ca-tro-ia-lu-ri-da / mpe-shta-ta-lu-ri-do-na''"). Da notare è anche il ''climax'' ascendente di aggettivi rivolti alla divinità in questione: all'inizio semplicemente "porca", rafforzato da un subitaneo "troia", crescente in un "lurida" e culminante nell'"impestata". l'attributo finale "luridona", accrescitivo del già citato "lurida", cosa che a un professorino da liceo apparirebbe come una ripetizione e conseguentemente un errore, in realtà sublima la grandezza espressiva del Maestro, giacché nell'ambito dell'opera, nello scorrere delle parole che escono dalla bocca del Nonno non "pesa" affatto, anzi risolve in maniera egregia il crescente pathos che caratterizza l'opera in questione. Attraverso un'analsi più attenta e approfondita, sottoforma di una nuova deformazione dialettale, si evince il voluto utilizzo onomatopeico del dittongo "''sc''" di "''scema''" da parte del Maestro, sositituito più volte alla lettera "''s''" (vedi "''mpeStata"'',"''Sta vigliacca''", "''Sta troia''", "''Sta luridona''") con lo scopo di evocare nell'ascoltatore il rumore dello strisciare del serpente, animale spesso accostato alla divinità per sottolinearne il carattere venefico e avvelenato. Sia direttamente nel proemio e nella conclusione, con il chiaro utilizzo dell'aggettivo "''avvelenata''" e dell'omnipresente "''dio serpente''", che nella parte centrale dell'opera, con gli artifizi onomatopeici che ne richiamano lo strisciare, tutto il passo è basato sull'accostamento fra la divinità e il rettile, venefico animale biblico che richiama la figura del diavolo fin dal primo libro della genesi: chi mai oltre al Sommo Fiorucci avrebbe potuto evocare un ossimoro dio-diavolo senza mai nominare direttamente il secondo e solo attraverso artifizi metrici e retorici, gran parte dei quali riferiti alla Madonna per sottolinearene il carattere venefico e avvelenato, la natura animale, la deviazione sessuale, lo stato di degrado igenico-sanitario e la conseguente condizione di malattia? Se questa non è poesia cos'è?
Sfortunatamente nella seconda parte le parole del Maestro sono coperte da quelle della moglie che con il solito "''fatte sentì''" ci conferma la grandezza e la fama del Nonno presso i suoi contemporanei. Tipica chiusura con il dio maiale, il classico inatteso.
Utente anonimo