Utente:KaiserIta/Sandbox

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Superata la via della legazione arrivarono in piazza dell'obelisco. Raggiunto il solito quisibeve si sedettero nei tavolini all'esterno e finalmente Cesare cambió discorso:"Io prendo un caffeol" "Come fai a bere quella roba roba?" "Parla quello che beve l'acqua rossa dell'Eritrea..." Tarcisio rispose con una faccia disgustata "É buono il karkadé..." fissando la tazza di liquido nero che la cameriera aveva appena posato sul tavolo. Per distrarsi dall'insopportabile odore di cicoria tostata cominciò a guardarsi intorno, come ogni mattina. A dominare il panorama della piazza, di fronte all'obelisco egizio, si ergeva con arroganza il vecchio e fatiscente palazzaccio. Un'enorme costruzione, molto piú antica del fascismo stesso. La superficie annerita e scrostata, le finestre ridotte a buchi, coperte da grate arrigginite, i tre portoni d'ingresso murati e bloccati da pesanti travi di metallo. In cima al palazzo, nella parte piú alta della facciata, subito sotto al semidistrutto campanile a vela, troneggiava la colossale scritta "ME NE FREGO !". A rendere ancora piú sgraziata la spettrale struttura era il deleterio contrasto con l'ambasciata tedesca, perfettamente mantenuta e praticamente attaccata al palazzaccio. Tarcisio guardava quella peculiare edificazione, cosí differente da quelle circostanti, con molto interesse. Non era facile trovare informazioni relative a quel palazzo, nonostante fosse in una zona cosí centrale della capitale. Non aveva nessuna targa con il nome, e sulle cartine risultava anonimo. Da quel poco che c'era scritto sui libri di scuola, si sapeva che prima delle ere fasciste quella era la sede di una sorta di assemblea, dove i partecipanti governavano il paese. A Tarcisio questa idea sembrava pazzia: centinaia di persone, con idee diverse, che parlavano una sull'altra per decidere le leggi dello Stato, pazzia. "Non capisco perché non lo demiliscano..." Cesare appoggió, sorpreso, la tazzina sul tavolino. "Che?" "Il palazzaccio... perché non lo demoliscono?" Cesare alzó gli occhi e riportó la tazzina alla bocca. "Ancora sta' storia... Ma che fastidio ti dà, scusa?" "Ma no... Nessun fastidio, peró quell'altro, quello sul colle Quirinale, lo hanno buttato giú... perché questo no?" "Vabbe, ma che c'entra? Lí ci dovevano mettere il monumento dei traditori..." "Guarda che potevano metterlo anche da un'altra parte il monumento dei traditori eh..." "Senti... Ma se lí abitavano i traditori, e lí hanno impiccato i traditori, dove lo dovevano mettere il monumento dei traditori?" "Vabbe, lascia perdere... andiamo?" "Si, va bene, dai..." Cesare lasció cadere sul tavolo mille Lire, e si alzò lentamente. I due ripresero a camminare, con calma. La sede del Maresciallo non era lontana e loro erano in anticipo, non avevano fretta. Il Maresciallo non era un grande quotiano, sicuramente non era il Popolo o la stampa, ma già poter pubblicare tutti i giorni era un buon traguardo. Tarcisio si occupava della sezione politica, una delle meno importanti. Gli articoli di politica solitamente finivano per riempire gli spazi a fondo pagina e quasi sempre trattavano dei traguardi del regime giorno per giorno;troppi numeri, pochi colpi di scena: il lettore si annoiava facilmente. Tarcisio non ne pativa piú di tanto, sapeva bene che gli articoli piú letti erano quelli di notizie militari, attività dopolavoro e sport. Se avesse dimostrato di poter rendere anche la politica interessante, fose avrebbe potuto anche lui, come Cesare, occuparsi di argomenti da prima pagina. Il segreto per scrivere buoni articoli politici lo sapeva: semplificare il piú possibile. Pochi numeri e percentuali, se possibile nessuno, molte parole chiare e assolute. All' Italia non servono opinioni, servono certezze. Finita la breve passegiata i due arrivarono alla sede del maresciallo. Ricominciava la breve serie di operazioni di ruotine: svuotare le tasche, perquisizione, controllo documenti e ingresso. Tutto nella norma, un'altra gionata come le precedenti. Come tutti i giorni Tarquisio avrebbe salutato Cesare, come tutti i giorni si sarebbe diretto verso la sua postazione, come tutti i giorni avrebbe rivolto un imbarazzato saluto alla vignettista Libia, come tutti i giorni l'avrebbe guardata di nascosto per un po', come tutti i giorni si sarebbe promesso di invitarla ad un appuntamento il giorno dopo e, infine, come tutti i giorni avrebbe aspettato le direttive del partito per poi mettersi a lavoro. Intanto nell'ufficio principale il direttore parlava con il suo vice, fumando lentamente una lunga sigaretta, mentre sfogliava una copia del quotidiano del giorno precedente. "Ieri mi ha fatto firmare le carte per il divorzio..." "Quindi é cosi... Mi spiace..." "Non importa... Se é la sua decisione, va bene..." "E con i bambini?" Il direttore spense la sigaretta nel portacenere, sbuffando via il fumo. "Non lo so"