Tito Lucrezio Caro: differenze tra le versioni

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Di Lucrezio sappiamo che nasce attorno al 96 e muore nel 53 a.C., come ci dice [[Jerry Scotti]] in una puntata di [[Chi vuol essere milionario?]], che si rifà a notizie di [[Svetonio]], autore latino, secondo cui Lucrezio sarebbe impazzito dopo essersi fumato una canna dai forti poteri mistici e che avrebbe scritto l’opera negli intervalli della sua malattia mentale, tra visioni di draghi volanti e angioletti che giocavano a poker e poi si sarebbe tolto la vita ancora giovane. L’opera fu poi pubblicata a cura di [[Cicerone]], stampata sui rotoli di carta igienica Scottex.
All’inizio del rotolo è stampato il titolo: ''De Rerum Natura'', copiata da Epicuro, dalla sua ‘sulla natura’. Altri da cui copiò sono [[Empedocle]] d’Agrigento e [[Democrito]].
[[ImmagineFile:Manfotanfo.jpg|left|thumb|Una delle pagine del ''De Rerum Natura''.]]
La tesi della pazzia sembra essere confermata da alcuni passi che descrivono corse di cani che si rincorrono alla ricerca di un famigerato boccino d’oro, inseguiti a loro volta da conigli che cavalcano colombe bianche che volano componendo una treccia in cielo. Lucrezio è pazzo, volano parallelamente le colombe.
Lucrezio fu così sfigato, senza amici, che si creò amici immaginari. Uno di loro è [[Caio]] Memnio, un tizio di cui non sentirai mai parlare in tutta la storia romana, ma che in Lucrezio rappresenta un’antica famiglia aristocratica, un optimate, al quale Lucrezio dedica pure l’opera. Evidentemente ci era affezionato.
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== De Rerum Natura ==
[[ImmagineFile:DeRerumNatura.jpg|thumb|250px|right|L'opera]]
Il rotolo è diviso in sei parti, caratterizzati da fogli di diverso colore.
I libri hanno proemi che elogiano Epicuro come grandissimo uomo dotato, bello, bruno, limpido e formoso.
La prima sezione si apre con un proemio che contiene l’invocazione a ''Samantha'', grandissima gnocca forza fecondatrice della natura. Ma ha anche altri significati, per esempio si dice che sia la progenitrice dell’immaginaria ''gens memnia''. Dopo l’inno troviamo l’elogio di [[Epicuro]] che liberò l’umanità dall’ignoranza e dalla [[superstizione]], con frasi come ''io sono l’unico pene''. Questo libro tratta della fisica epicurea. In pratica parla delle cose, no? E sono solo cose, non ci sono non cose, anche ciò che noi pensiamo sia non cosa è cosa, perché in verità o è cosa o non è, e se non è, non è non cosa, ma è bensì non non cosa, cosa e non. Le cose sono formate da piccole parti indivisibili, dette cosine, o [[atomo|atomi]]. Vi è la parte scritta durante la fumata di erba, che parla di infinità di [[mondo|mondi]], e di universi paralleli, e nega [[Matrix]].
La seconda sezione inizia con l’esaltazione del sapiente epicureo, e dunque della scienza epicurea, fonte di felicità. Il sapiente non si lascia assalire dalle passioni, ma fa tutto da solo, non accetta aiuti altrui, usa la sua mano. Continua illustrando la fisica, soffermandosi sulle immagini degli atomi. Al centro del libro troviamo la descrizione del culto orgiastico di una videocassetta trovata al porno shop. Alla fine parla dell’infinità dei mondi (ancora). Vi introduce un’immagine pessimistica, dicendo che il nostro mondo è destinato a perire, a causa della comparsa dei [[Finley]].
Nella terza sezione evidentemente non si era ancora rotto il cazzo di elogiare Epicuro, e lo fa in modo [[gay]], con passi gioiosi. Successivamente viene tracciato un quadro cupo della vita umana, che nonostante la felicità ottenuta con la masturbazione è schiacciata dal terrore della morte, come impossibilità di continuarsi a masturbare. Lucrezio dimostra qui che anche l’anima ha natura materiale, essendo composta da atomi sottilissimi ed è destinata a perire con il corpo. Dunque farsele ora, che dopo non si potrà più, ma non c’è da temere, perché non saremo più dopo la morte, e non avremo necessità. Successivamente illustra le malattie di anima e corpo, [[impotenza]] ed eviralità. Nel finale illustra la massima epicurea con argomenti diversi, secondo cui la morte non ci riguarda per nulla, tanto merde siamo e merde resteremo.[[ImmagineFile:Uomodilettere.gif|left|thumb|Lucrezio si può sicuramente definire un uomo di lettere.]]
Nella quarta sezione finalmente si era rotto il cazzo di elogiare quell’idolo gay di un Epicuro e svolge la dottrina epicurea delle sensazioni. L’unico modo per poter sentire (il resto è immateriale ed è male) è ottenere l’estasi tramite il fumo dell’erba. Si ottiene la vera sensazione solo attraverso la droga. Nel finale della parte di rotolo tratta dell’amore come una folle illusione dei sensi, come sentimento che suscita orrore e ripugnanza, perché causa continua di disagio, tedio e dolori al pisello.
La quinta sezione si apre con un altro elogio a Epicuro, porc... Tratta della formazione casuale del mondo, di come quando qualche [[dio]], fumata l’erba eterea creò alla cazzo il mondo, ma comunque destinato a morire. Annuncia la fine di esso, e il concetto attraverso il verso latino: ''merda sumus, merda erimus''. Il poeta delinea tutta la storia della [[Terra]] e dell’[[umanità]], dall’antica giovinezza del mondo, sbagliando ogni cosa, senza azzeccare uno che fosse uno degli stadi della civiltà umana, ciò dimostra quanto danno fecero i testi dei [[Finley]] alla popolazione romana. L’idea del progresso che emerge è negativa. Da convinto [[emo]], Lucrezio voleva solo la scoperta del cobalto, per potersi tagliare le vene con una lametta, ma il progresso scopriva solo stronzate, non necessarie alla felicità e contro l’etica della masturbazione.
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