William Faulkner

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Faulkner pensa a dove diavolo ha lasciato l'ultima bottiglia di bourbon.
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« Delicato equilibrio di periodico sudiciume tra due lune contrapposte »
(Metafora barocca di Faulkner su mestruazioni)
« Tra uno scotch e niente, meglio lo scotch »
(Ermetica battuta di Faulkner)
« Le donne non sono ancora abbastanza civili da essere felici senza sposarsi »
(Affermazione possibilista di Faulkner sulle donne)

William Cutberto Faulkner (Oxford, Mississippi, 1897 - Jefferson, Mississippi, 1962) prima di morire di cirrosi è stato uno dei più grandi alcoolizzati americani che, tra un periodo di disintossicazione e l'altro, ha scritto tra i più grandi capolavori alcoolici della letteratura mondiale di sempre, se non addirittura americana degli anni venti: perché a differenza di altri grandi autori avvinazzati beveva solo bourbon, a differenza di Hemingway, che alla fine dovette spararsi, riuscì a bere fino a morirne, e a differenza di Bukowski era in grado di scrivere e bere contemporaneamente.

L'apertura della bottiglia

La condanna di Faulkner.

Nato “Falkner” (Falconero) in una famiglia di sudisti assassini e veterani della Guerra di secessione e di qualsiasi altra guerra combattuta dagli Stati Uniti fino al 1917, all'età di vent'anni, scartato dall'esercito americano perché bevuto, decise di arruolarsi nell'aviazione canadese. Ma per farlo dovette cambiare nome in “Faulkner” (Faulconero), che non era altro che Falkner in lingua canadese, non si sa bene quale. Sfortunatamente, quando stava ormai per finire le guide previste, era ormai finita anche la guerra così che Bill dovette smettere col Canadian e tornare a bere Jim Beam in Mississippi, tenendosi però il suo bel nome canadese e fingendosi zoppo e invalido di guerra per impietosire i suoi concittadini di Oxford, così che non lo facessero lavorare, stessero ad ascoltare le sue storie di guerra finte e ogni tanto gli offrissero da bere. Faulkner fu così bravo nell'inventarsi storie che divenne ben presto uno scrittore, oltre che un alcoolizzato.

- Signora fuori da teatro alla prima di “Santuario”[1], storia faulkneriana di una donna violentata con una pannocchia: “Mister Faulkner, lei che parte fa?”
- Faulkner: “La parte della pannocchia”

Le visioni

Gli amici sudisti aspettano Faulkner per cena.

Tutta la produzione di Faulkner si potrebbe sintetizzare con:

“Non rompetemi i coglioni, sto bevendo”

che nel suo caso significava scrivere storie tremende dall’andamento temporale di un viaggio onirico e scaturite appunto da estasi alcooliche sudiste, nelle quali ritornano sempre eroi ubriachi, donne distrutte, negri trogloditi, psicopatici violenti e opossum morti. È sufficiente dosare, mischiare e shakerare queste carte e verrà sempre fuori un capolavoro di Faulkner, come per esempio “L'urlo e il furore”[2], versione ridotta, sudista, calda, esasperata ed etilica dell'Ulisse di Joyce, dove il vero protagonista è un ritardato mentale di campagna che, per aver molestato una bambina, viene per precauzione barbaramente evirato. Il suo punto di vista inverso è la giusta prospettiva in cui porsi per apprezzare al meglio l'opera di Faulkner, altrimenti si potrebbe correre il rischio di confonderlo con un pazzo qualunque in preda al delirium tremens.

- Proprietario terriero sudista: “Bubbo, vuota la stalla dallo sterco entro mezzogiorno”
- Negro: “Entro il mezzogiorno non l'è posibile, capo, c'ho da montare la vecchia”
- Padrone: “La monti oggi pomeriggio tua moglie, adesso vai a levare quella merda”
- Negro: “Ma signore capo, lo sei stato tu a dirmi di incintarla”
- Padrone: “Vai a togliere quella cazzo di merda o ti prendo a frustate!”
- Negro: “Come lo vuoi tu, capo, epperò ogi pomerigio non ti posso più montare a te, alora”
Faulkner e la sua amichetta a Hollywood.

Dialogo a caso tra un bianco sudista e un nero in un qualsiasi racconto faulkneriano.

Se si aggiungono il latente odio per le donne, soprattutto la moglie, l'ambiguo rapporto con la madre, l'ancor più sospetto antirazzismo e il conseguente sentirsi spostato in una terra di razzisti - che lo ingiuriavano perché nei suoi romanzi faceva di loro dei nazisti - si spiega il suo infinito bisogno di bere e tutto ciò che ne è scaturito: vomito visionario al livello più alto. D'altronde

« Uno scrittore è troppo preoccupato di creare personaggi in carne e ossa che stiano in piedi per aver tempo di rendersi conto di tutto il simbolismo che può aver messo in ciò che ha scritto »
(Faulkner, senza staccare le labbra dalla bottiglia di bourbon)

Il bicchiere mezzo vuoto e il bicchiere mezzo pieno

Tipica ambientazione faulkneriana.
- Giornalista: “Mister Faulkner, il suo bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?”
- Faulkner: “Che sia mezzo vuoto o mezzo pieno, è sempre mezzo bicchiere, porca puttana.”

La realtà è che nonostante non pubblicasse un accidenti era un mezzo genio; malgrado fosse povero viveva in un castello; nonostante avesse paura delle donne sposò una certa Stella Vecchioprosciutto, ebbe una figlia e, a Hollywood, dove aveva visioni di sceneggiature e scriveva copioni per film muti, portava avanti una relazione extraconiugale con Metà Carpentiere, l’altra metà di Giovanni Carpentiere; pur non sapendo cavalcare andava a cavallo fino a cadere ogni volta nella polvere, forse per un inconscio desiderio di diventare un antieroe; malgrado pensasse in bianco e nero, avrebbe voluto scrivere a colori; malgrado vedesse il mondo in bianco e nero, le sue allucinazioni erano colorate; e infine, pur lottando per l'emancipazione dei neri, era un sudista. Tutto ciò non si spiega con un disturbo da personalità multipla, bensì con l'alternarsi di momenti di lucidità e di ubriachezza, e per il bene della letteratura questi ultimi erano quasi sempre preponderanti, tanto che alla fine gli valsero il Nobel per l'alcoolismo.

« Il vero alcoolizzato non è quello che finisce le bottiglie, ma quello che le apre »
(Faulkner, aprendo una bottiglia di bourbon)

Gli Dei sinistri

Il gatto di Faulkner.
« Solo da solo non mi sento ridicolo, e anche allora soltanto ai miei occhi »
(Faulkner sull'impossibilità di uscirne)

Faulkner si sentì perseguitato per tutta la vita da strani demoni che, dal buio del cielo, lo guardavano con i loro orrendi occhi gialli e senza palpebre, paurose presenze che infestano quasi tutti i suoi lavori, e morì infine senza sapere che era il suo gatto che lo fissava dalla spalliera del letto.

Migliori party, nel senso di sgravamenti

L'armadietto dei medicinali di Bill.
  • Il fiasco di marmo (1924, poesie)
  • La sbronza del soldato (1926)
  • Zanzare di merda (1927)
  • Giovanni Sartoris, noto, durante il proibizionismo, anche come Bottiglie nella polvere (1929)
  • Il rutto e il Four Roses (1929)
  • Mentre morivo dalla voglia di bere (1930)
  • San Wild Turkey (1931)
  • Stappata in agosto (1932)
  • Absolut! Absolut! (1936)
  • Il bourbon (1938)
  • In vino veritas (1938)
  • Le palme ubriache (1939)
  • Bevi Mosè (1942)
  • Storia del cognac (1942, sceneggiatura)
  • Non si fruga nella sangria (1948)
  • Riesling per una monaca (1954)
  • Un'allucinazione (1954)
  • I trincheggiatori (1962, ultimo prima di schiattare)

Curiosità

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Il personaggio dell'idiota che, incapace di distinguere il bene dal male, tenta di abusare di una bambina, sarà ripreso tra gli altri da Giovanni Stambecco in “Uomini e topi”, dal regista Franco De Felitta in “La notte buia dello spaventapasseri” e da Mariano Apicella nella canzone “Il babbo e Noemi.”

Note stonate

  1. ^ San Wild Turkey.
  2. ^ Il rutto e il Four Roses.

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Collegamento

Il nome delle quattro rose