Utente:KaiserIta/Sandbox: differenze tra le versioni

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Gli occhi fuori dalle orbite, sembrava impazzito. Teneva stetta in mano una copia del giornale aperta. Tarcisio alzó lo sguardo e comprese in pochi secondi il perché di tanta agitazione.
Gli occhi fuori dalle orbite, sembrava impazzito. Teneva stetta in mano una copia del giornale aperta. Tarcisio alzó lo sguardo e comprese in pochi secondi il perché di tanta agitazione.
Sulla pagina del quotidiano aperta era stampata un'immagine. Un pugno rosso, puntato verso il cielo: palese propaganda sovversiva.
Sulla pagina del quotidiano aperta era stampata un'immagine. Un pugno rosso, puntato verso il cielo: palese propaganda sovversiva.
"Ditemi che é solo uno scherzo... Ditemi che é solo questa copia!"
"Ditemi che é solo uno scherzo... Ditemi che é solo la mia copia!"
"C-c'é anche sulla mia...", balbettò qualcuno.
"C-c'é anche sulla mia...", balbettò qualcuno.
"Cazzo... No... Io... Eh..."
"Cazzo... No... Io... Eh..."
Il direttore era in palese stato confusionale, dopo poco si riprese con uno scossone.
Il direttore era in palese stato confusionale, dopo poco si riprese con uno scossone.
"Chi é stato? Chi é il vignettista?"
Libia si portó le mani alla bocca scioccata.
"No, io non ho fatto niente, io non ho..."
Le lacrime uscivano copiose dagli occhi
"Calma adesso evidentemente non é stato nessuno di noi, qualcuno deve essere antrato stanotte nel..."
Si sentí il forte rombo di un motore, un improvvisa frenata. Un giornalista guardò fuori dalla finestra:
"Sono i carabieri, sono arrivati!"
Qualcuno urló, altri si misero a piangere o si infilarono le mani nei capelli, Tarcisio era paralizzato, non sapeva cosa fare.
Il direttore alzó la voce:
"Calma, dobbiamo rimanere calmi..."
Era scioccato, non sapeva dove posare lo sguardo. Fissó per terra e disse:
"Tutti in piedi, con le mani in alto. Mantenete la calma e non succederà nulla..."
Si sentiva il pesante passo delle guardie in tenuta anti-sommossa risalire le scale.
Qualche secondo di silenzio.
Un, forte scoppio, assordante. Un oggetto di metallo fumante sfondó la porta chiusa, colpendo il pavimento. L'oggetto cilindrico rotoló per qualche centimetro, poi liberó una fitta coltre di fumo, soffocando i presenti.
Si sentí un urlo, poi colpi d'arma da fuoco. I proiettili fischiavano nell'aria. Si sentivano urli disumani, stronacati a metà, e rumore di oggetti e persone, scaraventanti rovinosamente a terra.
Tarcisio si giró, e si mise a correre. Colpí con la gamba una sedia, ribaltandola a terra, e si diresse verso la porta del bagno, oscurata dal fumo. Sentí un'acuto dolore al fianco, ma lo ignoró: si stava avvicinando alla porta, alla salvezza. Una fitta alla spalla sinistra, strinse i denti, ancora pochi metri. Quasi arrivato, allungó la mano destra verso la maniglia. Un dolore atroce alle gambe, rumore di ossa spezzate. Perse l'equilibrio, proiettandosi in avanti. Una forte facciata contro la porta di legno, sapore

Versione delle 16:19, 5 set 2016

Superata la via della legazione arrivarono in piazza dell'obelisco. Raggiunto il solito quisibeve si sedettero nei tavolini all'esterno e finalmente Cesare cambió discorso:"Io prendo un caffeol" "Come fai a bere quella roba roba?" "Parla quello che beve l'acqua rossa dell'Eritrea..." Tarcisio rispose con una faccia disgustata "É buono il karkadé..." fissando la tazza di liquido nero che la cameriera aveva appena posato sul tavolo. Per distrarsi dall'insopportabile odore di cicoria tostata cominciò a guardarsi intorno, come ogni mattina. A dominare il panorama della piazza, di fronte all'obelisco egizio, si ergeva con arroganza il vecchio e fatiscente palazzaccio. Un'enorme costruzione, molto piú antica del fascismo stesso. La superficie annerita e scrostata, le finestre ridotte a buchi, coperte da grate arrigginite, i tre portoni d'ingresso murati e bloccati da pesanti travi di metallo. In cima al palazzo, nella parte piú alta della facciata, subito sotto al semidistrutto campanile a vela, troneggiava la colossale scritta "ME NE FREGO !". A rendere ancora piú sgraziata la spettrale struttura era il deleterio contrasto con l'ambasciata tedesca, perfettamente mantenuta e praticamente attaccata al palazzaccio. Tarcisio guardava quella peculiare edificazione, cosí differente da quelle circostanti, con molto interesse. Non era facile trovare informazioni relative a quel palazzo, nonostante fosse in una zona cosí centrale della capitale. Non aveva nessuna targa con il nome, e sulle cartine risultava anonimo. Da quel poco che c'era scritto sui libri di scuola, si sapeva che prima delle ere fasciste quella era la sede di una sorta di assemblea, dove i partecipanti governavano il paese. A Tarcisio questa idea sembrava pazzia: centinaia di persone, con idee diverse, che parlavano una sull'altra per decidere le leggi dello Stato, pazzia. "Non capisco perché non lo demiliscano..." Cesare appoggió, sorpreso, la tazzina sul tavolino. "Che?" "Il palazzaccio... perché non lo demoliscono?" Cesare alzó gli occhi e riportó la tazzina alla bocca. "Ancora sta' storia... Ma che fastidio ti dà, scusa?" "Ma no... Nessun fastidio, peró quell'altro, quello sul colle Quirinale, lo hanno buttato giú... perché questo no?" "Vabbe, ma che c'entra? Lí ci dovevano mettere il monumento dei traditori..." "Guarda che potevano metterlo anche da un'altra parte il monumento dei traditori eh..." "Senti... Ma se lí abitavano i traditori, e lí hanno impiccato i traditori, dove lo dovevano mettere il monumento dei traditori?" "Vabbe, lascia perdere... andiamo?" "Si, va bene, dai..." Cesare lasció cadere sul tavolo mille Lire, e si alzò lentamente. I due ripresero a camminare, con calma. La sede del Maresciallo non era lontana e loro erano in anticipo, non avevano fretta. Il Maresciallo non era un grande quotiano, sicuramente non era il Popolo o la stampa, ma già poter pubblicare tutti i giorni era un buon traguardo. Tarcisio si occupava della sezione politica, una delle meno importanti. Gli articoli di politica solitamente finivano per riempire gli spazi a fondo pagina e quasi sempre trattavano dei traguardi del regime giorno per giorno;troppi numeri, pochi colpi di scena: il lettore si annoiava facilmente. Tarcisio non ne pativa piú di tanto, sapeva bene che gli articoli piú letti erano quelli di notizie militari, attività dopolavoro e sport. Se avesse dimostrato di poter rendere anche la politica interessante, fose avrebbe potuto anche lui, come Cesare, occuparsi di argomenti da prima pagina. Il segreto per scrivere buoni articoli politici lo sapeva: semplificare il piú possibile. Pochi numeri e percentuali, se possibile nessuno, molte parole chiare e assolute. All' Italia non servono opinioni, servono certezze. Finita la breve passegiata i due arrivarono alla sede del maresciallo. Ricominciava la breve serie di operazioni di ruotine: svuotare le tasche, perquisizione, controllo documenti e ingresso. Tutto nella norma, un'altra gionata come le precedenti. Come tutti i giorni Tarquisio avrebbe salutato Cesare, come tutti i giorni si sarebbe diretto verso la sua postazione, come tutti i giorni avrebbe rivolto un imbarazzato saluto alla vignettista Libia, come tutti i giorni l'avrebbe guardata di nascosto per un po', come tutti i giorni si sarebbe promesso di invitarla ad un appuntamento il giorno dopo e, infine, come tutti i giorni avrebbe aspettato le direttive del partito per poi mettersi a lavoro. Intanto nell'ufficio principale il direttore parlava con il suo vice, fumando lentamente una lunga sigaretta, mentre sfogliava una copia del quotidiano del giorno precedente. "É già arrivata la velina?" "Non ancora, come va a casa?" "Ieri mi ha fatto firmare le carte per il divorzio..." "Quindi é cosi... Mi spiace..." "Non importa... Se é la sua decisione, va bene..." "E con i bambini?" Il direttore spense la sigaretta nel portacenere, sbuffando via il fumo. "Non lo so, senti..." Il principale s'interruppe di colpo. Impallidí, iniziò a tremare, poi a sudare. In pochi secondi era diventato bianco come un fantasma, il suo assistente non lo aveva mai visto in quelle condizioni. Si avvicinò alla scrivania preoccupato e guardò la pagina del giornale che aveva impietrito il suo superiore. "Oh... Cristo. Cristo in croce, come... cosa... come..."

Tarcisio era ancora fermo a giochicchiare con la sua penna e fissare, ogni tanto, la sua vicina di posto con la coda dell'occhio. Senza la velina nessuno poteva iniziare a lavorare, e oggi sembrava che l'inviato del partito non arrivasse piú. Quando il direttore uscí dal suo ufficio, sbattendo la porta, Tarcisio fu colto di sorpresa e la penna gli scivoló dalle mani. Non aveva mai visto il suo principale in quelle condizioni: bianco e sudato, sembrava facesse fatica a tenersi in piedi. Dopo qualche, interminabile, secondo il direttore aprí bocca: "C-chi? Chi é stato ?" Gli occhi fuori dalle orbite, sembrava impazzito. Teneva stetta in mano una copia del giornale aperta. Tarcisio alzó lo sguardo e comprese in pochi secondi il perché di tanta agitazione. Sulla pagina del quotidiano aperta era stampata un'immagine. Un pugno rosso, puntato verso il cielo: palese propaganda sovversiva. "Ditemi che é solo uno scherzo... Ditemi che é solo la mia copia!" "C-c'é anche sulla mia...", balbettò qualcuno. "Cazzo... No... Io... Eh..." Il direttore era in palese stato confusionale, dopo poco si riprese con uno scossone. "Chi é stato? Chi é il vignettista?" Libia si portó le mani alla bocca scioccata. "No, io non ho fatto niente, io non ho..." Le lacrime uscivano copiose dagli occhi "Calma adesso evidentemente non é stato nessuno di noi, qualcuno deve essere antrato stanotte nel..." Si sentí il forte rombo di un motore, un improvvisa frenata. Un giornalista guardò fuori dalla finestra: "Sono i carabieri, sono arrivati!" Qualcuno urló, altri si misero a piangere o si infilarono le mani nei capelli, Tarcisio era paralizzato, non sapeva cosa fare. Il direttore alzó la voce: "Calma, dobbiamo rimanere calmi..." Era scioccato, non sapeva dove posare lo sguardo. Fissó per terra e disse: "Tutti in piedi, con le mani in alto. Mantenete la calma e non succederà nulla..." Si sentiva il pesante passo delle guardie in tenuta anti-sommossa risalire le scale. Qualche secondo di silenzio. Un, forte scoppio, assordante. Un oggetto di metallo fumante sfondó la porta chiusa, colpendo il pavimento. L'oggetto cilindrico rotoló per qualche centimetro, poi liberó una fitta coltre di fumo, soffocando i presenti. Si sentí un urlo, poi colpi d'arma da fuoco. I proiettili fischiavano nell'aria. Si sentivano urli disumani, stronacati a metà, e rumore di oggetti e persone, scaraventanti rovinosamente a terra. Tarcisio si giró, e si mise a correre. Colpí con la gamba una sedia, ribaltandola a terra, e si diresse verso la porta del bagno, oscurata dal fumo. Sentí un'acuto dolore al fianco, ma lo ignoró: si stava avvicinando alla porta, alla salvezza. Una fitta alla spalla sinistra, strinse i denti, ancora pochi metri. Quasi arrivato, allungó la mano destra verso la maniglia. Un dolore atroce alle gambe, rumore di ossa spezzate. Perse l'equilibrio, proiettandosi in avanti. Una forte facciata contro la porta di legno, sapore