Giuliano l'Apostata: differenze tra le versioni

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{{Cit2|Non nominare il nome di Giove, Saturno, Bacco, Venere, Marte e tutti gli altri invano|Giuliano riscrive il secondo comandamento}}
 
'''Giuliano l’Apostata''' (Flavius Claudius Iulianus la Prostata), [Istanbul 0, – Ctesifonte, 33] è stato l’ultimo imperatore romano pagano che si ricordi e il primo imperatore romano letterato che si dimentichi.
 
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*Costanzo s’incazza per finta con Magnenzio perché gli ha ucciso il penultimo fratello rimasto, lo fa suicidare e diventa unico imperatore assoluto col nome di Costanzo II, perché c’era già stato un Costanzo Cloro (per via degli occhi arrossati) una ventina di anni prima;
*Nel frattempo Giulio Costanzo, il fratello di Costantino, fa cagare alla moglie Parisina un bimbo, il nostro Giuliano, prima di essere barbaramente assassinato insieme a tutto il resto della famiglia da Costanzo, che a questo punto non voleva più parenti tra le palle, a parte il piccolo sopravvissuto Giuliano, che fu detto per questo Salvato Giuliano;
*Maurizio Costanzo invece sposa [[Marta Flavi]].
 
== La scuola ==
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== In giro ==
 
Giuliano, uscito di prigione, sceglie così di approfondire il discorso filosofico che aveva iniziato col fratello di due anni e, prima a Istanbul e poi a Nicomediaworld, frequenta tutti i reading dei più grandi letterati pagani dell’epoca: [[Libano]], Edemasio, Crisancho, Eusebio (il fratello di sant’Eusebio), Max e Maurizio Costanzo, grandi adoratori di divinità sacrileghe. Di conseguenza, in segreto inizia a sacrificare vergini agli dei.
 
Per paura che prima o poi gli facciano fare la fine dell’adorato fratello, la sua protettrice sant’Eusebia (sorella di Eusebio, di sant’Eusebio e moglie dell’imperatore, Costanzo) lo spedisce ad [[Atene]], tanto per farlo diventare ancora più pagano, e quindi a [[Milano]], dove si avvicina ai milanisti.
 
== La fine della disgrazia ==
 
Quindi, una mattina che si era svegliato male, Costanzo prima lo nomina [[Cesare]], poi gli dà in moglie Elena di [[Troia]] e, prima di lasciarsi prendere la mano e dargli appunto anche la mano lo spedisce alla Malpensa e di qui in [[Francia]], l’odierna Gallia. Giuliano ha ora circa ventiquattro anni, ormai è un ometto e può fare come cazzo gli pare. A Parigi, prima sbriga un paio di fatture rimaste in sospeso, poi legge ancora un po’ di Foucault, scrive qualcosa e, tra una scopata e l’altra con Elena, spacca le corna a dei barbari puzzolenti.
 
== L’impero ==
 
A Costanzo naturalmente non va proprio giù che Giuliano vinca di qua e di là come uno stronzo di generale qualunque mentre lui, l’imperatore, non riesce a battere nemmeno uno [[stronzo]] di persiano. Allora manda a dirgli tramite il tribuno Indecenzio che gli spedisca subito i suoi soldati più intolleranti in oriente, e i soldati xenofobi di Giuliano in tutta risposta prendono a calci in culo l’albanese Indecenzio dicendogli di dire all’imperatore che adesso l’imperatore è Giuliano. Costanzo prende così male la notizia, e soprattutto la notizia che Giuliano sta marciando su Istanbul contro di lui, che gli viene un coccolone e, mentre già gli stanno facendo un completo di legno, nomina suo erede proprio Giuliano, nella speranza che i persiani lo uccidano al più presto.
 
Entrato con tutta l’Unione Europea in Turchia, Giuliano, nell’ordine:
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=== La guerra persiana ===
 
Ma i persiani non si lasciano impressionare e continuano a rompere i marroni come niente fosse. Allora Giuly carica sul cavallo l’opera omnia di [[Socrate]], si reca ad Antiochia e, in attesa di iniziare la guerra, passa un anno a scrivere, perché Socrate non ha scritto nulla e quindi non ha niente da leggere, diventando così il primo imperatore intellettuale dopo [[Caligola]].
 
Ma alla fine, controvoglia, deve andare in guerra e, detestando qualunque essere umano monoteista, ha facilmente ragione nel massacrare a più riprese i poveri persiani mazdeisti, arrivando con tutto il suo esercito pagano fin sotto le mura della loro barbara capitale monoteista: Ctesifonte. Diventa così il primo imperatore ad esportare il paganesimo in uno stato canaglia mediorientale dai tempi di Settimio Severo.
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=== La bella morte ===
 
Non si sa perché, a questo punto va a farsi un giro in campagna, dando così modo ai persiani di ritirarsi bruciando dietro di sé tutte le copie della [[Repubblica]] di [[Platone]]. Accecato di rabbia, Giuliano li insegue tutti personalmente brandendo la spada, impugnando un pugnale sacrificale, mordendo un crocifisso, bestemmiando e sputando sul Nuovo Testamento, ma qualcuno prende la rincorsa da bordo pista e gli lancia da novantasettemetri (record mondiale del IV secolo d.C.) un giavellotto che purtroppo lo trafigge passandolo all’istante da parte a parte. Qualcuno dice che è stato un persiano, qualcun altro che l’imperatore è stato vittima del fuoco amico, ma gli inquirenti rinverranno poi, legati al giavellotto, dei santini e delle statuette della madonna piene di acqua benedetta.
 
== Damnatio ==
 
Naturalmente, essendo ormai morto, i cristiani poterono poi inventarsi qualunque calunnia sul suo conto, come quella odiosa che non diceva mai le preghiere prima di andare a dormire, facendone un [[anticristo]] al pari di [[Attila]] e [[Piero Angela]].
 
== Le opere pubblicate ==
 
*'''''Al consiglio e al popolo degli Ateniesi, io consiglio di attenersi al popolo''''' (sulla sua disperata prigionia, che gli aveva ormai bruciato il cervello)
*'''''Alla [[madre]] degli dei, la dia''''' (sulla sua mistica mitologia della [[minchia]])
*'''''Mi son pagano, ti sei terun''''' (satira contro i corrotti e degenerati cristiani siriani)
*'''''Baccanale dei Cesari''''' (biografie di vari imperatori, tra i quali non copre di merda solo Marco Aurelio, perché soldato e letterato come lui, e Diocleziano, perché ha un nome che ricorda una [[bestemmia]])
*'''''Contro i Galilei''''' (accusa nei confronti degli scienziati, che non sopportava)
*'''''La [[pistola]] agli Ateniesi''''' (esortazione a prendere le armi contro i cristiani greco-ortodossi)
*'''''Commentarii de bello Gallico''''' (opera storica plagiata)
*'''''L’elogio dell’imperatrice Eusebia''''' (apologia del [[sedere]] dell’imperatrice)
 
 
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